Più autonomia per i fondi sanitari

Qualche passo in avanti per cercare di tirare le fila del mondo della sanità integrativa e migliorare la relazione tra pubblico e privato è già stato compiuto. Ma si potrebbe fare di più. Un esempio? Allargare la rosa ristretta di prestazioni già previste dal Decreto Sacconi per i fondi di assistenza sanitaria integrativa. E non solo. La parola a Luca De Gregorio direttore di Cadiprof

da il Libero Professionista Reloaded #13

 

Il mondo della sanità integrativa è un insieme di galassie molto differenti tra loro: c’è quella legata alle compagnie assicuratrici, quella delle società di mutuo soccorso, i fondi DOC e i fondi di derivazione contrattuale, che sono andati a coprire le esigenze specifiche dei lavoratori dei vari settori di operatività. Galassie che convergono verso il sistema sanitario nazionale. «Ma è indubbio che per rendere efficiente l’integrazione tra sistema sanitario nazionale e quello privato nel suo insieme debba essere fatto un po’ di ordine», dice Luca De Gregorio, direttore di Cadiprof, Cassa di assistenza sanitaria integrativa degli studi professionali. «E qualcosa, a dire il vero, è già stato fatto».

D. Per esempio?

Nel 2009 il Decreto Ministeriale “Sacconi” aveva istituito, all’interno del Ministero della Salute, l’Anagrafe dei Fondi Sanitari incaricata di certificare, ai fini del riconoscimento della deducibilità dei contributi (art. 51 TUIR), le forme di sanità integrativa rispondenti al requisito cardine: destinare almeno il 20% delle risorse impiegate annualmente nell’erogazione delle prestazioni sanitarie, al rimborso di determinate prestazioni riconosciute come “integrative” rispetto a quelle erogate dal SSN, ovvero: odontoiatria, prestazioni di assistenza specifica per persone non autosufficienti e prestazioni di riabilitazione fisica. Negli anni, però, i fondi hanno orientato i propri comportamenti e prestazioni sulle esigenze della loro popolazione di riferimento, erogando molteplici prestazioni oltre quelle previste dal Decreto Sacconi.

D. Una tendenza che però rischia di creare disparità sociali…

Da una parte può creare disparità sociali, favorendo determinate categorie di cittadini, ma a ben vedere dall’altra agevola anche il Servizio sanitario nazionale, specie in quelle regioni dove le liste di attesa per accedere a controlli di routine ed esami sono esageratamente lunghe, dal momento che molti cittadini, utilizzando la sanità integrativa, libereranno posti per altri. Piuttosto bisognerebbe puntare all’efficientamento organizzativo della sanità pubblica.

D. Dunque che fare per arrivare a un’integrazione strutturata tra sistema sanitario pubblico e privato?

Tre sono le direzioni su cui si potrebbe lavorare. La prima: come già detto, portare il servizio sanitario nazionale a livelli di efficienza degni di un Paese sviluppato come l’Italia. La seconda: aumentare la percentuale di risorse da destinare a tutte le prestazioni che il Ssn non riesce a erogare in modo efficiente allargando, quindi, la rosa ristretta di prestazioni già previste dal Decreto Sacconi, dando così una maggiore autonomia ai fondi sanitari in tema di scelta di destinazione delle risorse. Per esempio si potrebbero includere le attività di prevenzione, come check-up e screening (cardiovascolari ed oncologici), fondamentali per salvaguardare la salute dei lavoratori. Cadiprof anni fa aveva già fatto un esperimento in questa direzione siglando un accordo con l’Azienda ospedaliera di Verona che si era resa disponibile per fare attività di prevenzione ai nostri iscritti residenti nella provincia. E, se venivano intercettate problematiche durante le visite, l’ospedale prendeva in carico il lavoratore nell’ambito del Ssn. Il tutto senza gravare sulla popolazione del territorio visto che l’Azienda ospedaliera locale, non avendo liste di attesa, era in grado di erogare prestazioni aggiuntive per i nostri iscritti. Il risultato è stata una collaborazione virtuosa che potrebbe diventare un punto di riferimento sul fronte dell’integrazione efficiente tra sistema sanitario pubblico e privato.

D. E la terza direzione?

Iniziare a ragionare sulla possibilità di estendere le prestazioni di assistenza che nascono in ambito aziendale anche ai familiari dei lavoratori dipendenti (es. coniugi e figli), cosa che si sta ipotizzando anche nel mondo degli studi professionali. E’ ovvio che ci devono essere le giuste condizioni di sostenibilità economica, ciò significa aumentare le risorse da destinare a queste tutele e garanzie. Risorse che, ricordiamolo, nel caso dei fondi di derivazione contrattuale sono da individuare nell’ambito dei contratti, con tutto ciò che questo comporta in termini di aumento del costo del lavoro.

D. Non ritiene opportuno prima di tutto lavorare anche per migliorare la comunicazione tra Ssn e fondi sanitari integrativi?

Il legislatore conosce effettivamente poco il mondo della sanità integrativa nel senso che non ha una visione precisa delle attività svolte dai fondi. Parla la sua lingua che è fatta di livelli essenziali di assistenza (Lea). Del resto, come è stato detto precedentemente, quello della sanità integrativa è un mondo variegato e complesso. Il sistema pubblico dovrebbe cercare un filo comune tra formule simili per poi creare regole adatte alle diverse forme di assistenza integrativa. Non si possono uniformare o cercare di condurre a un’unica fattispecie tutti gli operatori della sanità integrativa. Va fatto uno sforzo di comprensione da parte del Sistema sanitario pubblico che finora non è stato fatto. I fondi di derivazione contrattuale, al contrario, conoscono bene il Ssn e i diversi livelli di assistenza offerti sul territorio nazionale e proprio in funzione delle marcate differenze tra le diverse regioni, prevedono prestazioni che a volte vanno anche a sovrapporsi a quelle del pubblico ma con il solo obiettivo di tutelare i lavoratori assistiti e migliorare la loro qualità della vita.

D. Creare un organo di rappresentanza dei fondi aiuterebbe a rendere più fluide le relazioni con il Ssn?

Sono le fonti istitutive (nel ns. caso le “parti sociali”) quelle che devono interagire con il sistema pubblico per far capire le esigenze dei nostri mondi: ecco perché i sindacati si stanno muovendo e perché Confprofessioni, parte datoriale firmataria del CCNL, lo scorso marzo è stata audita dalla Commissione Affari sociali del Senato, nell’ambito dell’“Indagine conoscitiva sulle forme integrative di previdenza e di assistenza sanitaria nel quadro dell’efficacia complessiva dei sistemi di welfare e di tutela della salute”. Detto questo, qualche passo in avanti per cercare di tirare le fila del mondo della sanità integrativa e migliorare la relazione tra pubblico e privato è già stato compiuto.

D. A che cosa si riferisce?

Al decreto del Ministro della salute del 15 settembre 2022, per esempio, che ha attivato un Osservatorio dei Fondi Sanitari Integrativi (OFSI) presso la Direzione generale della programmazione sanitaria del Ministero della salute. L’Osservatorio, che comprende anche quattro rappresentanti dei fondi sanitari, svolge funzioni di studio e ricerca sul complesso delle attività delle forme di assistenza complementare e sulle relative modalità di funzionamento, ai fini dell’implementazione della governance istituzionale del settore, nonché dell’aggiornamento periodico della normativa. C’è poi stato un secondo Decreto Ministeriale del 30 settembre 2022 con il quale è stata assegnata all’Anagrafe dei Fondi la funzione di monitoraggio delle attività svolte dai fondi sanitari integrativi. La principale novità, che avrà un forte impatto sull’operatività dei fondi sanitari, deriva dalla previsione che il monitoraggio dovrà avvenire tramite un apposito cruscotto, che ha la finalità di identificare, in maniera specifica e univoca, le singole prestazioni sanitarie e socio-sanitarie erogate dai fondi sanitari integrativi. Con l’introduzione del cruscotto, tutti gli attori dovranno parlare la stessa lingua. Un primo passo importante nella direzione della chiarezza a patto, ovviamente, che si individuino e vengano condivise con i fondi le più opportune modalità di rendicontazione e non che le stesse vengano “calate dall’alto” come spesso accaduto in precedenza.