Transizione digitale professionisti, Confprofessioni: Incentivare i sistemi di I.A. negli studi

Oggi in audizione presso la commissione Lavoro della Camera, la Confederazione ha ribadito la centralità del ruolo del professionista nella prestazione. Fondamentale l’aggregazione in forma multidisciplinare per sostenere gli investimenti. Assente la formazione e l’acquisizione delle competenze tecnologiche nei percorsi universitari

«È necessario incentivare l’adozione di sistemi di Intelligenza Artificiale negli studi professionali in quanto espressione di un fenomeno più ampio e ormai consolidato: la transizione digitale del mondo professionale. Tuttavia, le caratteristiche proprie delle materie trattate dai liberi professionisti ci impongono di trattare il tema con una certa cautela perché la personalità della prestazione professionale deve rimanere centrale. Pensiamo, ad esempio, al tema della privacy e della GDPR in cui i professionisti assumono il ruolo di custodi dell’appropriatezza tecnologica». È la posizione di Confprofessioni in merito all’“Indagine conoscitiva sul rapporto tra Intelligenza Artificiale e mondo del lavoro, con particolare riferimento agli impatti che l’intelligenza artificiale generativa può avere sul mercato del lavoro”, che si è svolta oggi presso la commissione Lavoro della Camera.

Secondo la Confederazione, pur con differenze tra le diverse categorie professionali (gli studi tecnici sono infatti molto più avanti rispetto agli studi legali, mentre per alcune professioni, come le sanitarie con la telemedicina, i sistemi sono già da tempo in fase di attuazione), l’innovazione dei modelli di business riguarderà tanto i piccoli quanto i grandi studi professionali. «I primi, per restare competitivi – sostiene Confprofessioni – saranno chiamati a fare rete con altre realtà e ad aggregarsi in forma multidisciplinare per sostenere gli investimenti necessari e sviluppare le specializzazioni professionali. I grandi studi, invece, avranno l’opportunità di specializzarsi internamente con nuove mansioni ad elevato livello di complessità e persino avvalendosi di nuove figure professionali molto diverse da quelle tradizionalmente operanti negli studi, quali data scientists, esperti di e-commerce, data protection officiers».

Ma la Confederazione lamenta l’assenza di una formazione trasversale agli strumenti di I.A. nei percorsi universitari. «Se si fa eccezione per le facoltà tecniche, quali ingegneria, architettura e medicina, nel resto dei casi la formazione universitaria professionalizzante, anche a livello di master di secondo livello, è del tutto inadeguata alla trasmissione del sapere in questo ambito. Questa grave lacuna nel mondo universitario fa sì che l’esigenza di acquisizione delle competenze tecnologiche necessarie venga rimessa ai singoli studi e ai professionisti, anche in fase di tirocinio, o al più alla formazione continua». Secondo la Confederazione, per raggiungere una migliore sinergia tra mondo universitario e mondo del lavoro sul tema dell’I.A. «si potrebbero avviare con le Università progetti di specifico interesse per i liberi professionisti e le Pmi. Allo stesso tempo si potrebbe incentivare il mondo accademico assegnando punteggi specifici per le collaborazioni, sia in termini di formazione sia di progetti nel settore dell’I.A., ai fini dell’assunzione in ruolo dei professori associati e ordinari».

Il testo dell’audizione.