Geologi: in 15mila in Italia, ma non trovano lavoro

Di seguito riportiamo l’intervento del presidente SinGeoP, Guglielmo Emanuele, al Tavolo Tecnico Permanente del Coordinamento Nazionale AEC Terremotati e Alluvionati Italiani Ce li ricordiamo solo dopo le scosse di terremoto, le alluvioni o le frane. Li vediamo in televisione e sulle pagine dei quotidiani, mentre rispondono alle domande dei giornalisti sulle caratteristiche dei terreni e
Di seguito riportiamo l’intervento del presidente SinGeoP, Guglielmo Emanuele, al Tavolo Tecnico Permanente del Coordinamento Nazionale AEC Terremotati e Alluvionati Italiani

Ce li ricordiamo solo dopo le scosse di terremoto, le alluvioni o le frane. Li vediamo in televisione e sulle pagine dei quotidiani, mentre rispondono alle domande dei giornalisti sulle caratteristiche dei terreni e i danni “che potevano essere evitati”. Per poi ripiombare nell’oblio generale.

 

Ma i geologi in Italia ci sono eccome: oltre 15 mila, secondo le iscrizioni all’albo professionale nazionale. Eppure in un Paese ad altro rischio sismico e idrogeologico, i neolaureati faticano a trovare lavoro. Soprattutto nelle istituzioni pubbliche. Tanto che il rapporto tra posti di lavoro e i giovani che escono dalle Università (0,51) è ben al di sotto della media europea (0,95), dietro Paese come la Germania o la Francia, considerati a rischio sismico “basso” o “moderato”. 

Devo, purtroppo, registrare un sintomatico fenomeno delle scarse cognizioni culturali circa il “dissesto idrogeologico” e dei criteri metodologici con i quali affrontare un evento che ogni anno sconvolge il territorio italiano provocando perdite di vite umane e gravissimi danni al patrimonio agro-silvo-pastorale delle zone montane e collinari e a quello urbanistico ed edilizio delle città e dei centri abitati minori. Il tutto con gravissimi effetti sui sistemi economico-produttivo, sociale, culturale del Paese.

 

Alla generalità di alcune categorie del mondo tecnico nell’argomentare sui fenomeni naturali mancano gli essenziali riferimenti, di natura squisitamente culturale, al concetto di “territorio” inteso nella sua complessa e dinamica evoluzione, di come si è formato e qual è il contesto geografico: manca la consequenzialità logica per giungere alla soluzione del problema: causa, effetti, rimedi.

 

Molti tecnici guardano al “progetto dei rimedi” senza, però, la benché minima cognizione del perché e del come si è innescato il movimento franoso. Con chiara evidenza ignorano anche le differenze tra “evento accaduto” ed “evento potenziale” così che vengono prodotti progetti e realizzate opere che hanno provocato danni molto più gravi di quanto può fare la natura. Di questi fatti esiste una vastissima casistica che altri del mondo tecnico dovrebbero consultare ed analizzare per trarne i necessari insegnamenti. Bisogna dare rilevante importanza alle politiche di pianificazione e gestione del territorio con aggregati connessi al sistema edilizio residenziale e pubblico, al recupero e valorizzazione del patrimonio storico. Spesso viene centrato in minore misura lo specifico tema del “dissesto idrogeologico” (più correttamente definirlo “geomorfologico”).

 

Allora entriamo nel vivo del problema, ricordando che il sistema fluviale del territorio italiano è condizionato dalla catena appenninica che da Nord-Ovest a Sud-Est copre una fascia larga da 40 a 120 Km e lunga ben 1.350 Km. Le alture montane e i rilievi collinari si estendono per i quattro/quinti dell’intera superficie italiana. I corsi d’acqua che si riversano nei mari Tirreno ed Adriatico hanno un relativamente breve percorso e sottendono bacini idrologici a “profilo d’equilibrio” molto accentuato dove il deflusso delle acque (sorgive e meteoriche) ha carattere torrentizio ad elevata velocità che agisce con l’erosione del substrato che è costituito dall’insieme geologico del bacino di raccolta e di deflusso con effetti “selettivi” in funzione della natura litologica, della giacitura delle formazioni rocciose, della loro composizione chimico-mineralogica, dell’esposizione e dell’inclinazione dei versanti, e quant’altro.

 

Il processo erosivo provoca franamenti delle pendici montane e collinari trasportando a valle masse d’acqua fangosa più o meno voluminose a seconda del regime pluviometrico stagionale, senza trascurare l’incidenza del cambiamento climatico in atto, ma sempre contenenti pezzate lapideo (e massi anche ciclopici) e tronchi d’albero sradicati che si riversano impetuosamente dai torrenti secondari nelle aste principali dei fiumi travolgendo tutto quanto incontra provocando l’alluvionamento delle aree golenali di pianura e il disastro nelle zone urbanizzate. Le soluzioni ingegneristiche guardano a ciò che avviene “a valle” ignorando quando accade nelle zone di “monte”. Così sono progettate e realizzate tombinature dei rivi cittadini costruendovi sopra anche edifici (eclatanti esempi a Genova e Provincia e non solo). Auspicherei per il prossimo futuro non sentire e leggere più la dizione “bomba d’acqua”. Oltre ad avere la necessità di conoscere la lingua inglese impariamo a leggere la natura e rispettare il Creato.