Il contrasto della violenza contro le donne

La rubrica Progetto Spazio Psicologico a cura di PLP

Il contrasto della violenza contro le donne a partire dalla cultura e dal dialogo interprofessionale

di Elisa Mulone
Psicologa e psicoterapeuta
Presidente Nazionale PLP

In due precedenti contributi pubblicati per lo Spazio Psicologico il 15 luglio 2020 e il 28 gennaio 2021, ci siamo occupati di parità di genere.

Oggi ci addentriamo oltre le differenze e le disparità, affrontando il tema ancora più delicato della violenza di genere, con un focus sulle donne, intrecciando le competenze psicologiche e giuridiche con un approccio interprofessionale.

Lo facciamo partendo dal resoconto di un evento online dal titolo “Dialoghi interprofessionali per il contrasto alla violenza di genere: una rivoluzione possibile?”, che l’associazione PLP Psicologi Liberi Professionisti ha organizzato il 15 aprile 2021 in collaborazione con l’associazione #GreenItalia e il movimento #Rewriters.  Ospite d’onore, la scrittrice Dacia Maraini, esponente di spicco della letteratura italiana, ha aperto i lavori insieme a Brunella Franceschini, Assessora Pari opportunità Comune di Allumiere che ha presentato il premio letterario “Femminile Plurale” che si svolge (da ormai 5 anni) raccogliendo contributi di autrici donne provenienti da tutta Italia. A moderare l’evento con puntuale eleganza e competenza ci hanno pensato Simona Landi, presidente in pectore del comitato PLP regione Lazio e Anna Chiara Forte dello staff di presidenza di Green Italia.

La violenza si declina in varie forme: fisica, sessuale, psicologica, economica e in tutte quelle forme che negano pari opportunità e diritti.

Come afferma Dacia Maraini, per comprendere la violenza contro le donne bisogna interrogare la storia. La violenza domestica, ad esempio, è trasversale in tutto il mondo ed è aumentata nel tempo. Sono diminuiti gli omicidi, ma sono aumentati i femminicidi che in alcuni paesi del mondo sono numericamente superiori rispetto ad altri, e costantemente perpetrati. A livello culturale e antropologico, se l’uomo identifica la propria virilità con il possesso, della donna in particolare e dei privilegi a lui ascritti in generale, è chiaro che l’autonomia e la maggiore presenza della donna nella società mette in crisi la sua identità innescando un meccanismo folle.

Per portare avanti e rendere più incisiva la rivoluzione che conduca ad una involuzione del fenomeno della violenza contro le donne bisogna puntare sulla cultura e sull’educazione al rispetto.

“Chi non conosce l’eleganza della relazione è a rischio di esercitare violenza”, afferma il professor Giovanni Salonia, “educare alla bellezza, educare alla relazione è il futuro di cui abbiamo bisogno e possiamo farlo promuovendo tre atteggiamenti che appartengono all’emergenza educativa a qualsiasi età: rispetto, interesse (curiosità per la differenza) e gratitudine per la diversità. I cambiamenti culturali ci trovano impreparati e richiedono una destrutturazione di pregiudizi scontati e di concetti patriarcali ancora in essere che identificano la donna come il sesso debole”. “Liberare la creatività della donna che la storia non ha riconosciuto e non ha valorizzato, è la strada da seguire”, afferma Dacia Maraini. Negli anni il contributo delle donne è stato taciuto, dimenticato, alimentando una forma di violenza subdola e meno riconosciuta: quella che rende le donne invisibili. Mancano nelle piazze, nelle vie, nei libri di storia, eppure sono esistite non solo tra le mura domestiche.

Eugenia Romanelli, riscrittrice dell’immaginario collettivo, come il nome del movimento da lei fondato e della omonima testata giornalistica che dirige, porta la necessità di “creare una coscienza, un’etica collettiva che includa i concetti basati sul consenso, sulla relazione, sulla cura e non sul dominio, non sulla prevaricazione per creare una convivenza sociale che sia cooperante e resiliente”.

E a riscrivere l’immaginario ci ha pensato anche Annalisa Corrado, ingegnera ed ecofemminista che con il suo libro “Le ragazze salveranno il mondo” racconta storie di donne che hanno fatto la storia.

Nella seconda parte dell’incontro ci siamo soffermati sugli aspetti psico-giuridici in tema di violenza di genere. Dal punto di vista normativo c’è una attenzione parziale a questa tematica. “Dalla ricerca scientifica emerge”, come afferma la professoressa Chiara Rollero, “che bisogna definire la violenza di genere come una questione di salute pubblica, non come una faccenda privata, perché c’è sempre un contesto sociale, un contesto culturale, un contesto normativo (inteso come norme sociali e norme giuridiche) che influiscono sulla capacità di intendere, percepire e riconoscere le varie forme di violenza, da quelle più visibili che producono segni evidenti, a quelle più subdole, come la limitazione della libertà personale e delle risorse economiche. La concezione della violenza produce anche delle conseguenze sulla possibilità delle persone di richiedere aiuto”. Prestare attenzione a come il contesto è capace di riconoscere le varie forme di violenza permetterebbe alle vittime di non sentirsi colpevoli e in diritto di chiedere aiuto. Allo stesso tempo, permetterebbe agli autori di reato di rendersi conto che anche alcuni comportamenti culturalmente determinati sono in realtà forme di violenza. Grande peso hanno in questo senso il sessismo e gli stereotipi di genere, che attribuiscono al maschile e al femminile determinate caratteristiche e quali siano i comportamenti più adeguati. Altrettanto peso rivestono i “miti dello stupro”, false credenze trasversali e indipendenti dal livello culturale, che tendono a considerare la vittima parzialmente responsabile della violenza subita e ad esonerare in parte l’autore. La colpevolizzazione della vittima è un fenomeno che riscontriamo sia nelle aule di tribunale che a livello mediatico. Come afferma Dacia Maraini, nessuno si sognerebbe di chiedere a una persona che è stata rapinata se era consenziente, altrettanto dovrebbe accadere quando una donna viene stuprata.

L’incontro è proseguito con l’intervento della fotografa Marzia Bianchi che ha portato una visione della violenza che passa attraverso la rappresentazione per immagini. Il racconto della sua esperienza con donne vittime di violenza visibile, invisibile e di mutilazioni genitali è stata accompagnata dal commento di alcune immagini tratte dai suoi progetti fotografici.

Dal punto di vista giuridico è innegabile che siano stati fatti dei passi avanti negli ultimi anni. Pensiamo al riconoscimento dello stalking come reato, ma c’è ancora difficoltà a riconoscere la violenza nelle forme meno esplicite. In particolare la criminologa e psicologa forense Margherita Carlini denuncia come la convenzione di Istanbul non venga recepita e applicata nei contesti giudiziari, col rischio di confondere situazioni conflittuali con situazioni di violenza e utilizzate metodologie e strumenti inadeguati che non tutelino le vittime. Per cui, quando una donna decide di denunciare una violenza viene introdotta in un percorso che la vittimizza. Spesso si sovrappongono i piani del processo civile e di quello penale che non tengono conto l’uno dell’altro, col paradosso che, se si utilizzano le metodologie classiche, un genitore maltrattante può risultare più adeguato del genitore vittima di violenza.

In conclusione, non avendo pretesa di esaustività, si ravvede la necessità di continuare a sviluppare questi temi, a cambiare gli schemi, a smuovere le coscienze, non solo il 25 novembre, come il titolo di un nostro precedente evento, promuovendo dialoghi culturali e scientifici a più voci e reti di professionisti e professioniste competenti.