Lo Smart Working come sfida tra autonomia, efficienza e qualità della vita

Un nuovo appuntamento con Progetto Spazio Psicologico, la rubrica di approfondimento curata dall’associazione Psicologi Liberi Professionisti di Massimo Agnoletti, Ph.D. Membro PLP (Psicologi Liberi Professionisti)     Lo Smart Working (tradotto talvolta erroneamente con il termine italiano “lavoro agile”) è definito dall’obiettivo di aumentare l’autonomia e la flessibilità dei lavoratori dipendenti attribuendo loro anche maggiori
Un nuovo appuntamento con Progetto Spazio Psicologico, la rubrica di approfondimento curata dall’associazione Psicologi Liberi Professionisti

di Massimo Agnoletti, Ph.D.

Membro PLP (Psicologi Liberi Professionisti)

 

 

Lo Smart Working (tradotto talvolta erroneamente con il termine italiano “lavoro agile”) è definito dall’obiettivo di aumentare l’autonomia e la flessibilità dei lavoratori dipendenti attribuendo loro anche maggiori responsabilità.

 

Questa modalità viene definita “smart” (“intelligente” in italiano), presumibilmente perché contrapposta rispetto a quella più tradizionale (meno “smart”) in cui il dipendente ha vincoli spaziali, temporali e legati alle scelte che può effettuare (e quindi alle conseguenti responsabilità), molto più restrittivi.

 

La pandemia da COVID-19 ha notevolmente (e forzatamente) accelerato i processi di Smart Working e di digitalizzazione di molte professioni perché ha obbligato a considerare l’unica modalità che poteva garantire un minimo standard di efficienza lavorativa rispettando contemporaneamente il distanziamento sociale fisico imposto dal lockdown.  

 

Ormai già da diversi anni, grazie a vari studi ed esperienze aziendali, sappiamo che il cosiddetto Smart Working implica molti vantaggi sia per le aziende (aumenta la produttività dei lavoratori, riduce l’assenteismo ed i costi di gestione logistici) sia per i lavoratori (per il senso di autonomia e di motivazione intrinseca che psicologicamente vengono percepiti dalle persone) ma, in Italia, non si è mai realmente diffuso in maniera significativa (almeno rispetto alle altre nazioni), se non attualmente, per la necessità imposta dalle politiche di contenimento del COVID-19.

 

Senza un’adeguata cultura e competenza specifica legata a come svolgere correttamente lo Smart Working probabilmente diversi milioni di lavoratori subordinati italiani hanno vissuto in questi mesi di pandemia tutta una serie di esperienze (sia positive che negative) che fino a qualche mese fa erano invece caratteristiche quasi esclusivamente del libero professionista.

 

Sia la positiva percezione di una maggiore libertà di scelta legata al proprio tempo, che la difficoltà di definire psicologicamente con chiarezza gli spazi ed i tempi professionali da quelli personali/familiari ed il dover effettuare in autonomia un insieme di processi decisionali che implicano significative responsabilità lavorative, sono tutti fattori che, dal contesto libero professionale, si sono estesi, quasi improvvisamente, ad una moltitudine di lavoratori dipendenti (privati e pubblici) che hanno vissuto lo stress da adattamento a questo nuovo scenario lavorativo.

 

Lo Smart Working, per milioni di persone, non è stato scelto dai lavoratori stessi, ma imposto velocemente dal contesto situazionale della pandemia con conseguenze sia a livello motivazionale che di qualità di vita (personale e professionale) dovute alla scarsa cultura e alla bassa formazione presente legata a questa modalità di lavoro. 

 

Per svolgere efficacemente lo Smart Working occorrono delle competenze non tanto, e non solo, tecniche/tecnologiche, ma, soprattutto, psicologiche legate alla gestione del tempo e dello stress indotto da questo diverso contesto che presenta nuove sfide psicosociali relative, ad esempio, alla qualità dei rapporti sociali/familiari, così come l’autocontrollo richiesto per contenere le potenziali molteplici attività distraenti ed i comportamenti procrastinatori.