Perché piangiamo? Funzione e valore delle lacrime

Nuovo appuntamento con la rubrica Spazio Psicologico a cura di PLP Elisa Mulone Psicologa e psicoterapeuta Presidente Nazionale PLP   In tutte le epoche e in tutte le culture sono state versate lacrime. Attraverso le lacrime l’essere umano esprime emozioni e sentimenti.   Si piange per un dolore fisico o per una sofferenza emotiva, per
Nuovo appuntamento con la rubrica Spazio Psicologico a cura di PLP

Elisa Mulone

Psicologa e psicoterapeuta

Presidente Nazionale PLP

 

In tutte le epoche e in tutte le culture sono state versate lacrime. Attraverso le lacrime l’essere umano esprime emozioni e sentimenti.

 

Si piange per un dolore fisico o per una sofferenza emotiva, per la perdita di una persona cara. Ci sono lacrime di tristezza, di dispiacere, ma anche di rabbia, di frustrazione, addirittura di gioia! E ci sono lacrime trattenute, mai versate.

 

Quali significati e che funzione possono avere le lacrime?

 

Il pianto si manifesta in concomitanza alla nascita ed è la prima forma di comunicazione del neonato. Attraverso il pianto e le lacrime, l’essere umano nel suo divenire esprime i suoi bisogni primari: fame, sete, dolore, bisogno di accudimento. Successivamente, esprimerà emozioni e sentimenti più complessi: dolore, rabbia, frustrazione, tristezza, cordoglio, felicità.

 

Nei bambini, e ancor più nei neonati, le lacrime svolgono una funzione fondamentale che è quella di sollecitare l’attenzione e la cura da parte delle figure di accudimento. Se le esigenze del bambino non vengono soddisfatte, il pianto diventa disperato e manifesta una condizione di stress che a lungo andare può comportare effetti neurologici a medio e lungo termine. Il pianto prolungato nei neonati è stato associato ad un abbassamento delle difese immunitarie, con maggiore suscettibilità alle infezioni. Il pianto prolungato oltre ad avere effetti psicologici a breve e a lungo termine, ha particolari effetti endocrini: si instaura uno stato di forte stress, tale da innalzare i livelli di cortisolo, che influiscono sullo sviluppo dei sistemi di neurotrasmettitori e sullo sviluppo delle connessioni neuronali.

 

In campo medico il pianto e le lacrime vengono descritti come il prodotto di processi neurofisiologici o di affezioni caratterizzate o da abbondante attività secretoria, come nel caso di allergie o congiuntiviti, o da una progressiva essiccazione delle ghiandole lacrimali, come nella sindrome di Sjögren.

 

Le lacrime sono state distinte in basali, riflesse ed emotive. Le prime avrebbero la funzione di mantenere costantemente umido l’occhio, le seconde derivano da traumi o sostanze irritanti, le ultime sarebbero correlate con le variazioni degli stati affettivi. In condizioni normali le lacrime basali defluiscono nel naso attraverso particolari condotti, senza lasciare tracce visibili del loro passaggio, ma quando il flusso è particolarmente abbondante le lacrime traboccano all’esterno. Secondo alcuni ricercatori la composizione chimica delle lacrime è diversa a secon­da che ci sia un coinvolgi­mento emotivo o un semplice meccanismo di protezione per l’occhio, ad esempio da freddo o vento o quando sbuc­ciamo una cipol­la. Le lacrime emotive conterrebbero livelli più alti di proteine, manganese, potassio e ormoni come prolattina e corticotropina. Attraverso le lacrime il corpo si libererebbe, quindi, di sostanze che, in quantità eccessive, potrebbero risultare dan­nose.

 

Per Ippocrate, le lacrime erano prodotte dal cervello e servivano a regolare il flusso e la concentrazione degli umori (sangue, bile gialla, bile nera, flemma) e, quindi, a mantenere l’omeostasi interna. Da qui nasce la concezione del pianto catartico come liberazione e scarica. Darwin sosteneva che le lacrime assolvono, da una parte, a una funzione meccanica, consistente nel raffreddamento dei bulbi oculari surriscaldati da un aumentato afflusso di sangue e, quindi, nella riduzione della tensione interna dell’occhio, dall’altra esercitano una funzione psicosociale contribuendo a richiamare aiuto e conforto da parte degli altri.

 

Alle lacrime sono state attribuite caratteristiche di sacralità, come nel caso delle varie statue religiose da cui sgorgherebbero liquidi miracolosi. In altri casi, vengono demonizzate, quando, ad esempio, si pronunciano frasi del tipo “Gli uomini non piangono!”, “Non piagnucolare”, dando il senso che piangere sia segno di debolezza o motivo di vergogna.

 

E che dire della reazione che suscita vedere le lacrime altrui? Di fronte ad un pianto le reazioni possono essere diverse: imbarazzo, compassione, rabbia, tristezza, evitamento. Spesso di fronte al pianto di qualcuno che vive una sofferenza, la prima reazione è quella di dire frasi di circostanza nel vano tentativo di alleviare la pena di chi ci sta di fronte, ma, in realtà, questo serve per lenire il senso di impotenza che percepiamo. Purtroppo, spesso, questo comportamento genera un effetto contrario. La persona non si sente capita nel suo dolore, unico e irripetibile. Nella mia professione, sia durante la mia formazione che nell’esperienza clinica, ho imparato ad accogliere le lacrime come dono prezioso. Le lacrime, infatti, quando riescono a farsi strada, fanno emergere vissuti profondi che cercano solo accoglienza e riconoscimento. Quali parole potrebbero alleviare la sofferenza di una persona che ha appena ricevuto una diagnosi infausta o di qualcuno che ha appena perso una persona cara? In questi casi, come in altri meno drammatici, la cosa più sbagliata da dire è “Non piangere”, perché le lacrime permettono di veicolare emozioni troppo intense e dolorose per essere tradotte in parole. Se blocchiamo le lacrime, teniamo dentro una carica tossica. Ci sarà un momento in cui le lacrime lasceranno il posto alle parole, ma sarà la singola persona, titolare di quel dolore, a sentire quando sarà il momento giusto.

 

Frequenza e intensità del pianto ci possono dare indicazioni rispetto al fatto che un normale dolore della vita si è cronicizzato fino a diventare un danno che impedisce alla persona di crescere. Un genitore che ha perso un figlio e piange tutti i giorni disperatamente nelle prime settimane dopo l’evento, è una situazione comprensibile; altra cosa è una moglie che dopo 10 anni piange il marito come se fosse il primo giorno. Anche il dolore più grande può essere attraversato se accompagnato.

 

Rendono l’idea della potenza delle lacrime le parole di Shakespeare “Voi v’aspettate di vedermi piangere. Non piango, se pur n’abbia ben ragione; ma questo cuore si frantumerà, prima ch’io pianga, in centomila schegge”.

 

È importante dare valore e dignità alle lacrime in quanto canale espressivo dell’essere umano e dal potere trasformativo. Ancor più nella società attuale, in cui sembra farsi strada la legge del più forte, come in una giungla in cui bisogna sopravvivere, forse serve trasmettere ai bambini il messaggio che tutti i sentimenti hanno pari dignità di esistere e di essere espressi, che la sensibilità non è segno di debolezza ma di umanità. Solo l’esempio degli adulti può permettere questo.

 

Per concludere, condivido la citazione fatta dalla Prof.ssa Paola Argentino, psichiatra e psicoterapeuta della Gestalt, in una sua recente riflessione sulle lacrime, di alcuni versi di Alda Merini tratti da Mistica d’amore, Cantico dei Vangeli.

 

E beati voi

che avete il dono delle sante lacrime,

e se anche le trovate ingiuste

agli occhi di Dio

appariranno rugiada

che farà crescere rose

nella vostra carne.