Uno sguardo sull’autismo e le relazioni sociali in tempi di pandemia

La rubrica Progetto Spazio Psicologico a cura di PLP Simona Landi Psicologa e psicoterapeuta Presidente in pectore PLP Lazio   “Mamma, quest’anno sono felice! Gli altri anni ero triste, non avevo amici, ora ho tanti amici!”. Valerio ha 9 anni e trascorre le vacanze estive nella casa al mare. Ha una diagnosi di Disturbo dello
La rubrica Progetto Spazio Psicologico a cura di PLP

Simona Landi

Psicologa e psicoterapeuta

Presidente in pectore PLP Lazio

 

“Mamma, quest’anno sono felice! Gli altri anni ero triste, non avevo amici, ora ho tanti amici!”. Valerio ha 9 anni e trascorre le vacanze estive nella casa al mare. Ha una diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico.

Dalle sue parole emerge il desiderio e il piacere di avere amici. Ma questo tipo di relazioni sociali, specie con i coetanei, per lui non sono facili da costruire e mantenere, per via della sua difficoltà a capire le intenzioni e le emozioni degli altri, per la difficoltà a prestare attenzione ai ritmi del dialogo, per la fatica a comprendere le sfumature non verbali, di capire alcune reazioni che gli provocano le interazioni sociali come le urla, il parlare tutti insieme o il contatto fisico inaspettato. A volte è tale la fatica di capire e mantenere il filo sull’argomento di conversazione dei compagni che Valerio interviene dicendo cose incongrue o se ne va, con risvolti talvolta negativi nei rapporti con i pari.

 

Per un addetto ai lavori può apparire scontato che questa sia una delle molteplici fragilità con cui si può esprimere l’autismo, ma nell’opinione comune ancora esso coincide con un immaginario di gravità tale da far pensare ad una mancanza di interesse verso gli altri, o tale da impedire una vita autonoma e soddisfacente.

Ad essere precisi oggi si parla di Autismi, proprio per sottolinearne la grande complessità poiché la stessa diagnosi racconta storie e funzionamenti tanto diversi.

Vediamo quindi cosa accade in questo momento da quando il Covid-19 è entrato nelle nostre vite insinuandosi, al di là delle limitazioni, nei giochi sottili che riguardano le relazioni interpersonali.

 

Da marzo l’aspetto più penalizzato e più fortemente reclamato da famiglie e professionisti nel susseguirsi dei vari decreti finalizzati al contenimento della pandemia, è stato il bisogno di uno sguardo di cura verso le situazioni di disabilità, che nell’autismo in particolare hanno significato diverse cose: interruzione di routine indispensabili, scomparsa di figure di riferimento extra-familiari, mancanza di contesti di relazione, interruzione di processi riabilitativi e non solo.

E allora ecco cosa è accaduto e cosa sta accadendo. Ciò che era nello sfondo è emerso diventando risorsa o danno. Alcune famiglie hanno saputo contenere e incanalare le difficoltà emerse imparando a dedicarsi con efficacia ai propri figli o familiari disabili innescando risorse importanti. A titolo di esempio: introdurre nuove abitudini sane o essere più attivi e resilienti nel rapporto con i propri figli. Altre non hanno retto il colpo fino a condizioni estreme di violenza domestica o di perdita di controllo.

 

Ma tornando alle sfumature a me care: Valerio, che nel contesto della terapia non sopportava il minimo contatto fisico, benché io fossi un suo solido riferimento, ad un certo punto lo ha chiesto, ha preso la mia mano sul viso, ascoltato la mia voce che poteva dirgli “Si lo so che è difficile in questo momento non potersi alzare dal banco, dover tenere la mascherina durante la seduta perché vogliamo continuare ad essere qui”. Hai diritto di essere arrabbiato e frustrato. Ma qualcosa di nuovo lo possiamo fare: possiamo toccarci se lo vuoi, anche se dobbiamo prima e dopo igienizzare le mani. Dobbiamo toccarci, perché si plachi quel desiderio e quella fatica del contatto che ora diventa così necessario da poter superare anche il limite del funzionamento neurologico.