STP – Pressing per la neutralità fiscale

Tenuto conto del pressing che continua serrato in sede parlamentare al fine di rendere fiscalmente neutrale la “trasformazione” da studio professionale individuale a società tra professionisti, merita che sia fatto il punto della situazione posto che è oramai consolidata la sua fattibilità dal punto di vista giuridico e consolidata la posizione dell’amministrazione finanziaria circa i

Tenuto conto del pressing che continua serrato in sede parlamentare al fine di rendere fiscalmente neutrale la “trasformazione” da studio professionale individuale a società tra professionisti, merita che sia fatto il punto della situazione posto che è oramai consolidata la sua fattibilità dal punto di vista giuridico e consolidata la posizione dell’amministrazione finanziaria circa i risvolti fiscali.

 

 

La fattibilità dal punto di vista giuridico

L’operazione di passaggio dello studio professionale alla forma della società tra professionisti è inquadrabile, per essere esaustivi, come segue:

  • trasformazione atipica: laddove si parta da una associazione tra professionisti e ci si trasformi in una STP avente la natura di società in nome collettivo o in accomandita semplice. Ciò in quanto l’associazione tra professionisti e, secondo i più, assimilabile alla società semplice;
  • trasformazione eterogenea progressiva: laddove si parta da una associazione tra professionisti e ci si trasformi ina una STP avente la natura di società a responsabilità limitato o società per azioni;
  • conferimento: nell’ipotesi in cui lo studio professionale venga conferito in società tra professionisti, sia essa di persone o di capitali.

 

Il Consiglio del Notariato del Triveneto, già da molto tempo, con la Massima K.A.39), ha ribadito possibile la trasformazione di un’associazione professionale in STP, come peraltro già precedentemente (Massima K.A.28) nella quale era stata ammessa la trasformazione eterogenea atipica delle associazioni tra professionisti in società di persone o di capitali.

Più precisamente, il Consiglio del Notariato del Triveneto, ha puntualizzato che si tratta di:

  • trasformazione eterogenea, se l’associazione è da considerarsi soggetto autonomo di imputazione di rapporti giuridici, nonostante sia priva di personalità giuridica (questione controversa);
  • trasformazione progressiva omogenea, se l’associazione professionale abbia natura di società semplice e si intenda adottare un nuovo modello societario.

Insomma come la si metta, si metta, la cosa si può fare.

 

 

La trasformazione dello studio professionale in STP – società tra professionisti

Circa l’opportunità di strutturare l’attività professionale sotto forma di società tra professionisti non ci dilunghiamo: ci sono pregi e difetti e il tutto dipende da una analisi personale degli interessati.

I principali vantaggi sono quelli di adottare la governance di una società e approfittare della partnership con un socio di capitale, per poter finanziare eventuali investimenti in beni strumentali. Gli svantaggi sono quelli riferiti ai maggiori oneri legati alla veste societaria, quali gli organi amministrativi e/o di controllo, l’obbligo di un capitale sociale minimo la pubblicità dei bilanci con la possibilità da parte di chiunque di poter verificare i ricavi e i costi di gestione della società.

Ebbene, partiamo dunque dal fatto che una STP può essere costituita sotto forma di:

  • società di persone (formula scarsamente usata per via della responsabilità dei soci)
  • società di capitali (nel caso di specie per la quasi totalità si tratta di S.r.l.).

 

 

Le problematiche fiscali

Mettendo a fattor comune l’ipotesi della trasformazione dell’associazione tra professionisti in STP e il conferimento dello studio professionale in STP il problema (critico) di fondo è costituito dal fatto che lo studio professionale ovvero quello associato dichiarano reddito di lavoro autonomo, mentre la STP dichiara reddito d’impresa. In sostanza si passa da un soggetto con una modalità di tassazione diverso rispetto al soggetto di arrivo e ciò, da sempre, ha comportato la presa di posizione (non solamente riferita all’ipotesi della STP ma in tutte le ipotesi in cui ci si trasforma da un soggetto commerciale ad uno non commerciale e dunque si cambia comparto impositivo) nel senso di considerare tassata l’operazione.

Nello specifico l’Agenzia delle entrate con la risoluzione n. 35 del 7 maggio 2018 ha sottolineato che sul piano civilistico le società tra avvocati (ma le conclusioni sono utilizzabili anche per le STP in generale) sono costituite secondo i modelli regolati dai titoli V e VI del codice civile. Pertanto, non costituiscono un genere autonomo con causa propria, ma appartengono alle società tipiche regolate dal codice civile e, come tali, sono soggette integralmente alla disciplina legale del modello societario prescelto.

E dunque, in assenza di una norma ad hoc, l’esercizio della professione forense svolta in forma societaria costituisce attività d’impresa, in quanto, risulta determinante il fatto di operare in una veste giuridica societaria piuttosto che lo svolgimento di un’attività professionale.

In relazione a quanto precede si ritiene, conclude l’Agenzia, che anche sul piano fiscale alle società tra avvocati costituite sotto forma di società di persone, di capitali o cooperative, si applichino le previsioni di cui agli articoli 6, ultimo comma, e 81 del TUIR, per effetto delle quali il reddito complessivo delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, delle società e degli enti commerciali di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 73, comma 1, lettere a) e b), da qualsiasi fonte provenga è considerato reddito d’impresa.

Dunque, si assiste in questi casi ad una modifica del comparto impositivo, con criteri di determinazione del reddito disciplinate da norme diverse.

Ne consegue, sempre secondo l’Agenzia, che se il conferimento di studio professionale singolo in associazione tra professionisti, in assenza di conguagli all’atto del conferimento dello studio singolo e al momento della fuoriuscita dell’associato è fiscalmente neutrale restando confinata l’operazione nell’ambito del reddito di lavoro autonomo, talché non determina alcun realizzo di plusvalenze, ciò non appare possibile nel caso di trasformazione/conferimento in una STP che dichiara reddito d’impresa.

 

In tal senso la risposta ad interpello n. 107/2018, nella quale ’Agenzia delle entrate, nel rispondere ad uno studio associato tra commercialisti in ordine alle conseguenze fiscali della trasformazione in STP sotto forma di società in accomandita semplice, ha chiarito che sia nel caso di trasformazione da associazione in STP sia nell’ipotesi di conferimento dello studio singolo in STP, gli effetti sono gli stessi, posto che si passa da un soggetto che dichiara reddito di lavoro autonomo in soggetto che dichiara reddito d’impresa.

In particolare l’Agenzia elle entrate ha preso atto come sia indubitabile che l’articolo 170 del TUIR, rubricato “Trasformazione della società” prevede che “la trasformazione della società non costituisce realizzo né distribuzione delle plusvalenze e minusvalenze dei beni comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento” ma ciò quando avviene nell’ambito di soggetti societari che, dunque, dichiarazione reddito d’impresa.

Al contrario, il successivo articolo 171 del TUIR che disciplina le trasformazioni eterogenee che comportano il passaggio da società lucrative ad enti non commerciali e viceversa disciplina la trasformazione tra soggetti che dichiarano reddito d’impresa a soggetti che non lo dichiarano.

Sul punto, va segnalato che, coerentemente, l’Agenzia ha fatto presente che nell’ipotesi in cui la società commerciale si trasforma in ente che oltre all’attività istituzionale svolge anche attività commerciale, (fermo restando il fine non lucrativo che è connotato dal fatto che non è possibile distribuire utili o ripartire il patrimonio all’atto della cessazione) se i beni della società commerciale confluiscono al momento della trasformazione nella eventuale azienda commerciale gestita dall’ente di arrivo (ad esempio in una Fondazione o in un ente di promozione sociale) relativamente ai predetti beni ( e solo con riferimento ad essi), non si ha alcun realizzo di plusvalenze/minusvalenze. Viceversa, se l’ente di arrivo non svolge alcuna attività commerciale ma solo attività istituzionale e, quindi, non dichiara reddito d’impresa l’operazione di trasformazione è tassata.

Dunque, non si può certo affermare che la posizione dell’amministrazione finanziaria sia priva di giustificazioni sulla base delle interpretazioni consolidate.

In conclusione l’Agenzia delle entrate, Risposta n. 107 del 12 del dicembre 2018 ha fatto presente che la norma di riferimento è dunque contenuta nell’articolo 9 del Tuir, il quale prevede che i conferimenti sono assimilati alle cessioni e che il corrispettivo della cessione è costituito dal valore di ciò che si conferisce, con tutto ciò che ne consegue in termini di realizzo della plusvalenza. Dunque, chiarisce l’Agenzia, forma plusvalenza tassata il maggior valore dei beni strumentali e dei crediti che in capo al professionista conferente è data dalla differenza tra il valore dell’azienda professionale e il costo fiscale dei beni che la compongono (ossia i cespiti al netto degli ammortamenti).  L’agenzia nello smentire l’istante il quale affermava l’ipotesi della neutralità fiscale dell’operazione chiarisce che passando dal reddito di lavoro autonomo a quello d’impresa l’operazione è tassata.

 

Ci si può dispiacere della risposta ma a nostro avviso occorre, invece, rallegrarsi, dal momento che nonostante l’istante faccia espresso riferimento all’avviamento l’agenzia sul punto resta vaga e non affonda il coltello affermando genericamente “per i soggetti che esercitano arti e professioni la rilevanza reddituale del conferimento degli elementi materiali ed immateriali va esaminata in base alle disposizioni di cui all’art. 54 del TUIR, riguardante la determinazione del reddito di lavoro autonomo. Ad esempio, concorrono a formare il reddito di lavoro autonomo le plusvalenze dei beni strumentali realizzate, fra l’altro, mediante cessione a titolo oneroso (comma 1-bis). Ai sensi del successivo comma 1-ter, il valore della plusvalenza imponibile è dato dalla differenza tra il corrispettivo e il costo non ammortizzato ovvero, in assenza di corrispettivo, la differenza tra il valore normale del bene e il costo non ammortizzato”.

Come evidente sull’avviamento tutto tace. E’ vero che la frase è preceduta da “ad esempio” ma è anche altrettanto vero che quando l’agenzia vuole portare a casa il risultato (in termini di convenienza in funzione del gettito) è più che esplicita (statene certi).

D’altronde anche nella precedente (di poco) risposta n. 107/2018 l’agenzia sia era mantenuta altrettanto vaga: “per i beni diversi da quelli strumentali e per i crediti conferiti trova, invece, applicazione l’articolo 9, comma 2, del TUIR secondo cui si considera corrispettivo conseguito il valore normale dei beni e dei crediti conferiti a seguito della trasformazione in società tra professionisti – S.a.s., il quale concorrerà alla formazione del reddito di lavoro autonomo.”

E’ per questo che la risposta per quanto deludente va accolta in fin dei conti con favore, posto che nell’ipotesi di cessione dello studio professionale è del tutto pacifico che ai fini della determinazione del reddito del cedente e dell’acquirente, l’avviamento anche se non definito tale, è tassato. Non si chiama avviamento ma si definisce “attività volta ad agevolare il passaggio della clientela da chi vende lo studio a chi lo acquista”. Siccome il prezzo di cessione dello studio è di gran lunga superiore al valore dei mobili, arredi e computer, macchinari e attrezzature (dipende ovviamente dall’attività professionale svolta) va da se che una quota di prezzo è riferibile all’innominabile (a bassa voce: avviamento).

D’altronde, la sentenza della Cassazione civile Sez. II, 09-02-2010, n. 2860 nel confermare che questa quota di prezzo non può essere definitiva avviamento (ma sempre di soldi si tratta) conclude con il seguente principio di diritto: “E’ lecitamente e validamente stipulato il contratto di trasferimento a titolo oneroso di uno studio professionale, comprensivo non solo di elementi materiali e degli arredi, ma anche della clientela, essendo configurabile, con riferimento a quest’ultima, non una cessione in senso tecnico (attesi il carattere personale e fiduciario del rapporto tra prestatore d’opera intellettuale e cliente e la necessità, quindi, del conferimento di un nuovo incarico dal cliente al cessionario), ma un complessivo impegno del cedente volto a favorire – attraverso l’assunzione di obblighi positivi di fare (mediante un’attività promozionale di presentazione e di canalizzazione) e negativi di non fare (quale il divieto di riprendere ad esercitare la medesima attività nello stesso luogo) – la prosecuzione del rapporto professionale tra i vecchi clienti ed il soggetto subentrante”.

Se così deve essere dobbiamo però cercare di uscire dall’angolo: è vero che nella compravendita dell’azienda l’avviamento è tassato (se compreso nel prezzo) ed è vero che in caso di vendita di uno studio professionale la cessione della clientela è tassata facendo parte del prezzo (l’art. 50 del Tuir ne prevede la rilevanza fiscale), ma è anche vero che in questo caso tale valore è effettivamente realizzato posto che è da una parte pagato e dall’altra incassato.

Non così né nell’ipotesi di trasformazione di associazione professionale in STP, dove l’evento realizzativo è, al di là di tutto, scongiurato dal fatto che i soci dell’associazione divengono soci della STP, sempre che non si addivenga alla redistribuzione delle quote della STP. Stesso dicasi nell’ipotesi di conferimento dello studio professionale singolo nella STP: non si una monetizzazione dell’operazione, posto che non si tratta di evento “economicamente” realizzativo ma meramente riorganizzativo. Il che merita il fatto che almeno l’avviamento non venga tassato in capo al conferente, anche perché se così non dovesse essere occorrerebbe ammettere che lo studio professionale conferente dovrebbe tassare l’avviamento ma la STP si potrebbe iscrivere in attivo di bilancio una posta ammortizzabile a tale titolo.

 

Dunque, la neutralità della trasformazione e il conferimento dello studio in STP è “mission impossible”?

Mai dire mai: d’altronde quando il legislatore fiscale ha voluto, ha introdotto norme di favore quali, ad esempio, la trasformazione della società commerciale in società semplice, non diciamo in neutralità ma a condizioni molto agevolate.

Inoltre, da tempo si assistono a norme fiscali di favore volte a favorire le aggregazioni delle imprese (scambi di partecipazioni, conferimenti agevolati, etc.) e, vedrete, a molto breve ne vedremo partorire delle altre.

E allora, tanto vale insistere!.

D’altronde, che la trasformazione o il conferimento in STP sia un evento economicamente riorganizzativo e, in particolare, aggregativo è pacifico per tutti. Ebbene, visto che si parla tanto di necessità di crescita in termini di messa in comune di competenze, esperienze, ottimizzazione delle risorse, perché non fare una norma che al comma 1 preveda:

“tenuto conto del ruolo centrale svolto dai liberi professionisti per la crescita dell’economia del paese e per il rispetto dell’osservanza degli obblighi di legge, allo scopo di favorire l’aggregazione e la crescita delle attività professionali nell’ottica di migliorare la competitività in ambito internazionale, favorire la crescita dell’occupazione, a decorrere dal 1° gennaio 2021, ….”

Il resto fate voi.

Autore/i:
Lelio Cacciapaglia a Maurizio Tozzi