Equo compenso, le associazioni rivendicano la rappresentanza dei professionisti

I presidenti di ALA, ANTEC, Asso Ingegneri e Architetti, FIDAF e INARSID: “Gli unici organismi cui compete la rappresentanza dei professionisti sono i loro sindacati costituiti in libere associazioni cui essi hanno aderito liberamente”

Il 25 giugno 2021 è stata presentata la proposta di legge (C. 3179), formulata dai deputati Meloni, Morrone, Mandelli, recante “Disposizioni in materia di equo compenso e di clausole vessatorie nelle convenzioni relative allo svolgimento di attività professionali in favore delle banche, delle assicurazioni e delle imprese di maggiori dimensioni”. Con una nota congiunta, i presidenti nazionali di ALA, ANTEC, Asso Ingegneri e Architetti, FIDAF e INARSID, Bruno Gabbiani, Amos Giardino, Alberto Molinari, Andrea Sonnino e Carmelo Russo, hanno espresso perplessità e critiche sul provvedimento.

“Nel premettere che della proposta di legge in discussione alla Camera dei Deputati si apprezza la struttura e l’intento di ripristinare il vero senso degli artt. 1 e 36 della Costituzione”, si legge, “non possiamo tacere sul fatto che alcune sue previsioni disconoscono il vero principio della rappresentanza sociale delle Associazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro. Chiediamo che siano ripristinati i giusti canoni di rappresentanza: agli Ordini il controllo dei Professionisti, a difesa della società civile; alle Associazioni Sindacali la giusta rappresentatività dei Professionisti”.

“Le nostre ragioni necessitano di opportune premesse. In Italia lo svolgimento di alcune professioni è subordinato all’iscrizione ad uno specifico Ordine professionale, al fine di garantire il possesso ed il mantenimento di determinati requisiti essenziali. Gli Ordini professionali”, prosegue la nota, “ricoprono un ruolo di controllo e di gestione della professione sotto la vigilanza del Ministero della Giustizia del quale sono emanazione e sono quindi Enti Pubblici, ai quali tutti i professionisti che vogliono esercitare la professione sono, ripetiamo, obbligati ad iscriversi: è evidente che l’obbligatorietà dell’iscrizione è la negazione del fondamento democratico sul quale si fonda la rappresentanza, che presuppone assolutamente la volontarietà di adesione: nessun Ordine pertanto, ai quali sono iscritti anche i professori universitari, i dipendenti pubblici o privati, e persino i colleghi che non esercitano la libera professione, può svolgere rappresentanza dei liberi professionisti”.

“Tantomeno possono svolgere attività di rappresentanza dei liberi professionisti i Consigli Nazionali o la Rete delle Professioni Tecniche perché si tratta di organismi di secondo e terzo livello, che non hanno alcun rapporto diretto con coloro che svolgono la libera professione. Ugualmente le Casse di Previdenza privatizzate, (che non ci risulta rivendichino alcun ruolo di questa natura), che si devono occupare, per legge, di Previdenza, non hanno statutariamente alcuna rappresentanza sociale e così ovviamente, le loro emanazioni” scrivono. “Del resto, analogamente, la Camera di Commercio alla quale devono essere obbligatoriamente iscritte le imprese, non ha, né può avere la rappresentanza sociale dei commercianti, degli industriali, degli artigiani o degli agricoltori, rappresentanza che compete alle sole associazioni di categoria. Così gli unici organismi cui compete la rappresentanza dei professionisti sono i loro sindacati e le libere associazioni cui essi hanno aderito liberamente”.

“Chiediamo quindi”, continua la nota, “che siano ripristinati i giusti ruoli di rappresentanza: agli Ordini la rappresentanza della professione e il controllo deontologico dei professionisti, quindi la tutela dei nostri clienti, alle Associazioni Sindacali la rappresentanza sociale ed economica dei Liberi Professionisti. Ciò premesso, l’equo compenso è il corretto riconoscimento di un lavoro svolto, ma soprattutto il diritto del professionista di essere adeguatamente pagato, indipendentemente dalla qualifica e dalla natura del suo committente. Ma è soprattutto laddove la proposta prevede la tutela dei diritti attraverso la Class Action che esprime la più grande delle contraddizioni, allorquando ne riserva la facoltà dell’iniziativa all’Ordine Professionale Nazionale, ovvero ad una diretta emanazione dello Stato, invece che a Enti e Sindacati che rappresentano liberamente i loro iscritti professionisti. Perché creare questo pericoloso precedente? Perché normare confusamente ciò che è già correttamente normato nella legge della Class Action? (vedi disciplina dall’art. 140-bis del Codice del Consumo (Decreto legislativo n. 206/2005), come modificato dall’art. 49 della Legge n. 99 del 23 luglio 2009 e dall’articolo 6 del decreto-legge n. 1/2012, convertito nella legge n. 27/2012)”.

“L’istituzione di un Osservatorio sull’Equo Compenso, che la proposta di legge prevede sia demandato al Ministero della Giustizia e costituito solo con la partecipazione dei Consigli Nazionali degli Ordini, di fatto rappresenterebbe un organo di controllo a presenza unica, quella dello Stato, dal momento che gli unici altri organismi che ne farebbero parte sarebbero quelli dallo Stato stesso emanati e/o controllati” sostengono i presidenti. “Inoltre riconoscere la rappresentanza degli iscritti al sistema ordinistico creerebbe un palese conflitto del ruolo istituzionale proprio degli Ordini, i quali hanno, il compito di dare il parere di congruità della prestazione professionale, come correttamente previsto all’art. 5 della proposta di legge, proprio in forza della propria terzietà istituzionale. Terzietà che verrebbe mancare se gli stessi al tempo stesso dovessero certificare la congruità del compenso e contestualmente procedere con l’attivazione delle class actions in rappresentanza degli iscritti”.

“Gli unici organismi cui compete la rappresentanza dei professionisti sono i loro sindacati costituiti in libere associazioni cui essi hanno aderito liberamente. Né ci si può nascondere dietro il paravento che i Consigli degli Ordini sarebbero determinati da libere elezioni tra gli iscritti dal momento che le funzioni degli Ordini previste dalla legge e quindi delle loro espressioni di secondo e di terzo grado (Consigli nazionali e Rete delle Professioni), non comprendono la rappresentanza sociale dei professionisti ad essi obbligatoriamente iscritti” concludono.