La politica? Un lavoro da professionisti

Riforma delle pensioni, reddito di cittadinanza e lavoro autonomo. Sulla sua scrivania passano i dossier più delicati del programma di governo. La sua esperienza nell’ambito del lavoro e delle professioni è una garanzia per sburocratizzare e risollevare l’occupazione. Anche negli studi professionali. Nel segno del confronto e della collaborazione. Parla il ministro Marina Elvira Calderone

Di Giovanni Francavilla, da Il Libero Professionista Reloaded #10

Sciogliere i nodi che bloccano il mercato del lavoro, per riannodare i fili che sostengono l’occupazione. Il compito che attende il ministro del Lavoro, Marina Elvira Calderone, è forse uno dei più complessi del programma politico del Governo Meloni. Sulla sua scrivania passano i dossier più delicati per la ripresa economica e la tenuta sociale del Paese: riforma delle pensioni, revisione del reddito di cittadinanza, sicurezza sul lavoro, contrasto al sommerso, immigrazione, riordino della normativa sugli ammortizzatori sociali e, naturalmente, rilancio del lavoro autonomo. Materie tutte altamente infiammabili. E non è un caso se la premier Giorgia Meloni ha chiamato al suo fianco una libera professionista che da quasi trent’anni si nutre di lavoro, tesse relazioni industriali e incita al dialogo sociale.

Consulente del lavoro dal 1994, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro dal 2005, membro del Comitato economico e sociale europeo, al vertice del Cup e di ProfessionItaliane, il nuovo ministro del Lavoro è senza dubbio una professionista prestata alla politica, ma anche una “politica” che conosce a fondo i punti di forza e di debolezza del mondo delle professioni. Uno dei primi provvedimenti che porta la sua firma ha esteso ad autonomi e professionisti non titolari di partita Iva l’accesso all’indennità di 200 euro prevista dal decreto Aiuti. E non a caso uno dei suoi primi passi al dicastero di via Veneto è stato quello di riaprire il tavolo del lavoro autonomo – rimasto nel limbo del jobs act degli autonomi per oltre cinque anni – nel segno del dialogo e del confronto con tutti gli attori del panorama professionale italiano, come ha detto lo scorso 15 dicembre al Cnel davanti alla platea di Confprofessioni in occasione della presentazione del VII Rapporto sulle libere professioni. E come ribadisce in questa intervista esclusiva con il Libero Professionista Reloaded.

Ministro, la prima domanda è d’obbligo: come ci si trova dall’altra parte del “tavolo”?

Arrivo alla nomina come Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali con il mio bagaglio da professionista e, in particolare, di consulente del lavoro. Tra l’altro negli ultimi anni anche con l’incarico di rappresentare la componente ordinistica attraverso il CUP e poi ProfessionItaliane. Rimango una professionista. E in particolare porto questa esperienza nel guardare alla situazione del lavoro nel nostro Paese, cercando di renderlo sempre più strumento per la dignità della persona. Sia esso lavoratore o datore di lavoro. Per farlo seguirò quelle linee strategiche indicate nel documento d’indirizzo per l’azione del Ministero che ho presentato nei giorni scorsi in Parlamento.

Da dove si comincia?

Dalla semplificazione, anche grazie agli strumenti che il digitale ci mette a disposizione. E poi da una riforma delle politiche attive in grado di sviluppare sinergie tra pubblico e privato, integrando i centri di responsabilità per favorire il matching tra domanda e offerta di lavoro in modo da dare piena attuazione al programma Gol (Garanzia di occupabilità dei lavoratori), previsto dal Pnrr, nonché in vista della riforma del reddito di cittadinanza che intende superare la logica meramente assistenziale dello strumento. Per chi si trovasse in condizioni di fragilità, però, sarà immaginato un nuovo strumento di inclusione sociale.

Quali altre azioni intende mettere in campo?

Dobbiamo delineare una strategia di rilancio della produttività che sia compatibile con la sicurezza sul lavoro. Parallelamente partirà il confronto con i sindacati e le associazioni datoriali su sicurezza sul lavoro, pensioni e semplificazioni in materia di lavoro.

E sul fronte del lavoro autonomo e professionale, quali saranno gli interventi del Ministero?

Il lavoro autonomo rientra nelle linee programmatiche del Ministero e prevediamo interventi di sostegno e tutela per questa ampia fascia di lavoratori che comprendono anche i liberi professionisti. La dicotomia tra lavoro autonomo e subordinato è ormai obsoleta. La convocazione, a breve termine dall’insediamento, del tavolo sul lavoro autonomo indica il percorso che ci accompagnerà nel prossimo periodo, in cui lavoreremo insieme per migliorare normative e prassi, anche se con ruoli diversi e nel mio caso inaspettati. Credo molto nel dialogo sociale, ma anche nella collaborazione fattiva e nello scambio di esperienze e di idee.

Il VII Rapporto sulle libere professioni di Confprofessioni ha messo in luce diverse criticità del lavoro autonomo e professionale, in particolare la fuga dei giovani dalla libera professione. Una specie in via d’estinzione?

Il Rapporto di Confprofessioni è un’occasione importante per fare il punto sullo stato di salute del mondo libero professionale e spingerci a riflettere su come migliorare gli interventi a supporto di una componente così importante del lavoro. E il sentimento di disaffezione verso la scelta di un percorso di professione che emerge dal Rapporto è un campanello d’allarme sintomo di una esigenza più profonda: quella di rafforzare il lavoro autonomo in quanto tale, sia sotto il profilo delle politiche, sia dal punto di vista dell’immagine, della sua reputazione e attrattività. Ma anche nel sostegno diretto, tanto che in manovra abbiamo ampliato a 85mila euro la soglia dei ricavi che godono di regime agevolato. Non possiamo permetterci un Paese senza giovani professionisti. Dispiace sentire che un giovane universitario non prenda più in considerazione un percorso professionale, o lo subordini ad altre legittime valutazioni verso una scelta di lavoro subordinato, magari nella pubblica amministrazione. Benché quest’ultima ha pure estremo bisogno di professionisti preparati e qualificati.

Ma così non resta il rischio di svuotare gli studi professionali?

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha costituito un’opportunità per inserire all’interno della P.A. molti professionisti, però poi c’è bisogno di avere anche tanti studi professionali efficienti e operativi sul territorio. Un professionista conosce le realtà e i bisogni delle persone con cui entra in relazione, e questa azione va intensificata.

Come?

Credo che le categorie professionali debbano riflettere sulle spinte trasformatrici in atto. A partire dalle esigenze più o meno esplicite: la multidisciplinarietà, la capacità di fare rete e sistema, l’equo compenso. È una strada che bisogna percorrere per contrastare le evidenze della crisi del settore, rafforzate dalla pandemia: il disagio economico, in particolare di giovani e donne che operano al sud e, appunto, la perdita di attrattività verso molti giovani che pone interrogativi anche in termini di sostenibilità futura del sistema previdenziale.

Quali stimoli possono dare nuovo slancio al lavoro autonomo e riavvicinare i giovani alla libera professione?

È uno dei temi al centro del tavolo del lavoro autonomo che prende le mosse dalla legge n. 81/2017 che poi ha proprio l’obiettivo di individuare gli strumenti, i sostegni e soprattutto le strategie per rafforzare il comparto.

Dopo più di cinque anni il jobs act del lavoro autonomo è ancora attuale?

Alcune deleghe della legge 81/2017 sono rimaste inattuate a lungo e secondo alcuni sono sorpassate dal tempo. Per me sono un monito a riprendere un percorso, riannodare i fili e mettere in relazione le organizzazioni di rappresentanza del mondo professionale. La sfida è far camminare insieme gli ordini professionali, le casse di previdenza e le organizzazioni sindacali, in un percorso non sporadico che sappia trovare soluzioni e buone prassi.

Il sistema professionale sta attraversando un delicato processo di transizione. Da una parte emerge la necessità di implementare le misure di sostegno e le tutele assistenziali e previdenziali; dall’altra c’è l’esigenza di fornire agli studi adeguati strumenti, anche normativi, per renderli più competitivi. Come si conciliano queste due agende?

Partendo dal tavolo del lavoro autonomo, dobbiamo fare un passo in più per disegnare quegli strumenti necessari per sostenere le categorie durante tutto l’arco della vita professionale degli iscritti. Le professioni stanno cambiando volto: tante donne si affacciano al mondo delle professioni e assumono ruoli di responsabilità. È un grande messaggio positivo e di inclusione che il mondo professionale offre al Paese. Da sostenere adeguatamente.

Come?

Utilizzando al meglio tutti gli strumenti a disposizione. Nel bilancio dello Stato una cifra di oltre 100 miliardi di euro è costituita dal patrimonio delle casse di previdenza privatizzate. Possiamo scrivere insieme tanti progetti. Sono aperta a qualsiasi proposta, purché tecnicamente convincente. In ogni caso comunque mi troverete ai tavoli d confronto: è il mio impegno nei confronti dei liberi professionisti.