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Gli archeologi italiani auditi alla Camera dei Deputati sul Codice dei Contratti Pubblici

Lunedì 23 gennaio alle ore 13.30 l’Associazione Nazionale Archeologi è stata invitata a relazionare in materia di archeologia nel Codice dei Contratti Pubblici.

Lunedì 23 gennaio alle ore 13.30 l’Associazione Nazionale Archeologi è stata invitata a relazionare in materia di archeologia nel Codice dei Contratti Pubblici. In Italia esistono diversi ambiti lavorativi per gli archeologi: quello del ministero della cultura, coi suoi organi periferici responsabili della tutela del patrimonio; quello dell’università, responsabile della ricerca scientifica, e l’ambito privato – imprenditoriale o libero-professionale – nel quale si convogliano oltre l’80% della forza lavoro degli archeologi italiani. Questi ambiti l’ANA  li rappresenta tutti e oggi ha portato le loro istanze alla Camera dei Deputati.

Le più importanti criticità si concentrano nelle linee guida per la procedura di verifica preventiva dell’interesse archeologico (DCPM 14 febbraio 2022), strumento incompatibile con gli intendimenti di semplificazione, speditezza ed efficacia che animano il nuovo codice, del quale si chiede quindi l’abrogazione e immediata sostituzione con uno strumento realmente utile a portare ordine nella materia, senza lasciare sacche di opacità e meccanismi contorti. Le tempistiche, giudicate troppo strette e facilmente ampliabili quel tanto che basta a mettere in sicurezza tutte le operazioni di verifica sul patrimonio archeologico. Il ruolo degli archeologi, che nonostante le nuove normative continua ad essere identificato tramite riferimenti a prassi vecchi, ambigue e ormai superate, che però rischiano di creare inutili conflitti normativi.

Questo nuovo codice dei contratti pubblici arriva dopo anni di logoranti discussioni: prima sul regolamento attuativo del vecchio codice, e oggi sul nuovo schema proposto dal governo in carica” dichiara Alessandro Garrisi, Presidente Nazionale dell’ANA, che prosegue: “Riconosciamo legittimità ad un’impostazione che tenti di dare speditezza alle operazioni, che semplifichi le operazioni e che garantisca che l’orizzonte di rinnovamento del paese non sia l’eternità, ma il futuro prossimo. Per far questo tuttavia occorre operare con intelligenza: niente ruspe sulle istituzioni, ma bisogna sapere dove mettere le mani per garantire tutti gli interessi (costituzionali) che il Paese chiede che siano garantiti.

E allora se certamente si possono ampliare i tempi concessi all’archeologia preventiva,  perché quei pochi giorni in più non cambiano certamente i destini delle grandi opere, con più decisione occorre intervenire per tagliare bizantinismi e rendite di posizione. Penso ad esempio alle linee guida approvate un po’ alla chetichella poco meno di un anno fa, senza alcuna discussione con le associazioni di categoria, piombate come un meteorite nel mondo della professione, che non sono piaciute a nessuno: non ai professionisti, che si sono trovati impantanati in procedure illogiche e operazioni digitali schizofreniche, oltre che riportati a lavorare a responsabilità ridotte; non sono piaciute ai funzionari, tra i quali (almeno, tra quelli ancora al lavoro) c’è stato un rifiuto tanto delle procedure, quanto delle tecnologie; non sono piaciute ai grandi contractor, per le dilatazione di tempi e costi. Peggio ancora, hanno rallentato lavori e operazioni: esattamente il contrario di quello che il governo vuole perseguire.

E allora abbiamo consegnato alla Commissione VIII della Camera un set di minuziose ma poco impattanti modifiche che, se adottate, consentiranno di raggiungere gli obiettivi che il governo si è prefissato e che tutto il paese attende. Dal canto nostro, noi archeologi ci prendiamo l’impegno – a fronte di regole e norme sostenibili – di portare l’archeologia fuori da un dimensione ostativa e renderla davvero servizio pubblico che, tutelando il patrimonio archeologico, è di aiuto – e non di ostacolo – allo sviluppo del paese. Se questo governo si è presentato agli italiani come un governo di svolta per dare slancio al Paese, questo è il momento di mostrare coi fatti quel coraggio così spesso  rivendicato”.

Ci riconosciamo in un’archeologia e in un mondo di archeologi professionisti che consapevolmente e con responsabilità accompagnano il processo di rinnovamento infrastrutturale del Paese – applicando il mandato costituzionale che impone la tutela del patrimonio archeologico – e rendono questa tutela compatibile con tutte le altre esigenze del Paese, crediamo in un’archeologia al servizio della propria comunità, capace di tutelare il patrimonio, mettendolo a disposizione per la più ampia fruizione, mentre il Paese progredisce e avanza.