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È finita, anzi no!

Nuovo appuntamento con la rubrica Spazio Psicologico in collaborazione con l'associazione Psicologi Liberi Professionisti

Antonio Zuliani
psicologo psicoterapeuta, membro del CEN PLP

 

È finita, anzi no!

Questa è la realtà che ci troviamo di fronte. Nelle ultime settimane, giorno dopo giorno, è maturata in tutti noi l’idea che stavamo uscendo dall’emergenza sanitaria legata alla pandemia.

Una sorta di terremoto che ha diramato le sue faglie di fragilità in molte direzioni. Una di queste è la rottura e la necessità di ricostruire i gruppi di lavoro, laddove la necessità dello Smart working si sta trasformando in un’opzione per molti collaboratori delle nostre aziende. Uno stress emotivo che ha fatto emergere i tratti più sotterranei della psiche, con l’evidenziazione di aspetti di aggressività da una parte e tendenze verso la depressione dall’altra. Un’altra è l’aumento degli incidenti sul lavoro, conteggiando tra essi quelli in itinere. Ma anche segnali di disgregazione sociale tra coloro che si sono vaccinati e chi non ha inteso farlo.

Temi che erano sul tappeto e che sapevamo sarebbe stato necessario affrontare, con la dovuta calma e ponderazione.

Ma questo percorso ha incontrato un altro terremoto, per restare nell’immagine iniziale: la guerra in Ucraina. Questa guerra è diversa dalle altre. In questi anni, infatti, di guerre ce ne sono state, ma per noi erano innanzitutto fisicamente lontane e in più non seguivano un periodo di stress già di per sé unico nella nostra esperienza come quello della pandemia.

Se siamo stati seriamente preoccupati per la nostra stessa vita e per quella dei nostri cari, gli avvenimenti di questi giorni rischiano di accrescere questa preoccupazione. Il ripresentarsi di una nuova preoccupazione quando quella precedente sembra risolta rischia di togliere speranza per il futuro.

Vi è in proposito il racconto di Villiers de l’Isle-Adam, messo in musica da Luigi Dallapiccola: “La tortura della speranza”. Si narra di un uomo condannato a morte. Nella notte che precede la sua esecuzione, improvvisamente si accorge che la porta della cella è aperta. Si affaccia al corridoio: deserto. L’uomo lo percorre timoroso, come per le stanze seguenti: sembra proprio non ci sia nessuno. Ecco, l’ultima porta prima della libertà: ce l’ha fatta. Ma fuori ad attenderlo c’è il grande inquisitore che lo ferma dicendogli che questa era stata la più grande e raffinata tortura escogitata per fargli pagare la sua colpa e lo accompagna al rogo.

La pandemia è stato un evento imprevedibile, come in buona parte lo è quello della guerra in Ucraina e degli scenari ad essa collegati. Ma sarebbe colpevole se non riflettessimo sulle conseguenze di questo drammatico stress sul futuro di tutti noi. Abbiamo oramai capito che l’idea che sarebbe tornato tutto come prima era un’illusione, ma proprio perché le cose dovranno cambiare cerchiamo di esserne tutti co-protagonisti.

Il realismo non è detto che sia pessimismo. Come professionisti della salute psicofisica sappiamo bene che di fronte alle situazioni più disparate possiamo adottare una visione che ci permetta di adattarci e/o riadattarci per costruire nuove strutture che supportino il cambiamento in atto.

Noi psicologi ci siamo, in prima fila per progettare assieme il futuro.