di Antonio Zuliani
Psicologo psicoterapeuta
Membro del CEN dell’Associazione Psicologi Liberi Professionisti
Si, era solo un anno fa. Nel febbraio del 2020 il Governo ha decretato il primo lockdown a causa della pandemia da Sars-Cov-2.
In quella prima fase eravamo tutti spaventati, ma lo stato di emergenza nazionale ci appariva una cosa che sarebbe finita presto. Si, a breve tutti i media sarebbero stati invasi dalle drammatiche immagini dei camion militari a Bergamo. Ma gli slogan erano “tutto tornerà come prima”, si cantava dai balconi e così via.
In fondo eravamo di fronte a una situazione così impensata e impensabile, che la nostra mente non riusciva neppure a immaginare la situazione che stiamo vivendo oggi. La nostra esperienza di pandemia era stata quella della Sars (2002: 774 decessi nel mondo) e dell’influenza suina (2009: 144 decessi). Due virus che gentilmente si erano fatti da parte in poco tempo.
Poi l’estate, con il rallentamento della pandemia a confermare che, anche questa volta, tutto si sarebbe risolto.
Poi ancora quella che chiamiamo seconda ondata. Già in questo nome c’è un’immagine in qualche modo rassicurante. Fa immaginare l’assalto, a ondate, di un esercito nemico che però rimane ben identificabile e distinto da noi, e poi anche le ondate assalitrici esauriscono la loro foga (l’esperienza ci ha insegnato questo).
Ma, pian piano ci siamo resi conto che questi schemi mentali non reggevano. Ci siamo sentiti immersi in una situazione nuova: mentalmente molto faticosa. Le persone contagiate hanno iniziato a comparire tra noi e non solamente nei lontani focolai pandemici: chi non conosce qualcuno che non abbia avuto il Covid?
Ci siamo sentiti immersi nella pandemia (questa è una delle più profonde differenze rispetto ai primi mesi dello scorso anno) e abbiamo iniziato a temere per il futuro.
Si, ci è stato detto che a breve ci sarebbero stati vaccini per tutti. Espressioni come immunità di gregge ci sono divenute familiari, ma poi le notizie di ogni giorno stanno allontanando questa speranza.
Ma, intanto, la fatica mentale è aumentata in tutti noi. Siamo più stanchi, esausti, dimentichiamo le cose. Abbiamo capito non solo che non è vero che “tutto tornerà come prima”, ma anche che le conseguenze di questa pandemia saranno ben più vaste e durature dell’emergenza sanitaria. Un futuro che ci appare incerto, ma proprio per questo occorre recuperare il coraggio delle relazioni. Quelle relazioni che il disgraziato slogan “distanziamento sociale” ha indicato come fonte di pericolo. Invece proprio nella nostra capacità e volontà di mantenere, nonostante tutto e nelle forme possibili, le relazioni tra tutti noi si annida la speranza per il futuro. Come? Una sola suggestione: perché utilizziamo le video conferenze solamente per sentirci invasi dal lavoro, senza più rispetto del tempo personale, e non anche come luogo di relazione?