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Gino Strada: una vita per i diritti umani

Nuovo appuntamento con la rubrica Spazio Psicologico in collaborazione con l'associazione Psicologi Liberi Professionisti

Elisa Mulone
Psicologa e psicoterapeuta
Presidente Nazionale PLP

Sembra un po’ una beffa che Gino Strada se ne sia andato proprio in un momento così delicato per l’Afghanistan, un territorio per cui si è speso tanto ma che, purtroppo, non ha mai smesso di soffrire.

Gino Strada si definiva un chirurgo di guerra ed è stato il fondatore di Emergency insieme alla moglie Teresa Sarti.

La figlia Cecilia lo ricorda citando queste sue parole: “Mio padre diceva che la morte vince una volta, la vita può vincere ogni giorno”. E ogni giorno Gino Strada ha fatto qualcosa per i più deboli, gli indifesi, gli ultimi. Poteva piacere o non piacere per la sua schiettezza, la sua franchezza, ma una cosa è certa: il suo impegno per i diritti umani e il diritto alle cure per tutti è palese e concreto. Non si è limitato alle parole, i progetti li ha anche realizzati. E tanti! Dalla sua fondazione, Emergency ha operato in 19 paesi diversi, costruendo ospedali e supportando le popolazioni locali. “Un rude chirurgo di poche parole e molti fatti” lo ha definito Moni Ovadia nella prefazione del libro “Pappagalli verdi”, scritto da Gino Strada.

Come si legge nella quarta di copertina: “Gino Strada arriva quando tutti scappano, e mette in piedi ospedali di fortuna, spesso senza l’attrezzatura e le medicine necessarie, quando la guerra esplode nella sua lucida follia. Guerre che per lo più hanno un lungo strascico di sangue dopo la fine ufficiale dei conflitti: quando pastori, bambini e donne vengono dilaniati dalle tante mine antiuomo disseminate per le rotte della transumanza, o quando raccolgono strani oggetti lanciati dagli elicotteri sui loro villaggi. I vecchi afgani li chiamano pappagalli verdi”. Mine giocattolo formate da due ali con al centro un cilindro, lanciate giù dagli elicotteri russi, costruite per mutilare i bambini. Per la loro forma, infatti, venivano raccolte dai bambini, maneggiate, portate in giro, pronte ad esplodere e a mutilare, accecare vittime innocenti. Impossibile trovare una spiegazione a tanta crudeltà, si rimane increduli davanti alla “banalità del male” come ha definito Hannah Arendt le azioni dei nazisti. Lessi il libro/reportage di Gino Strada tanti anni fa, quando, subito dopo la laurea, progettavo interventi psicoeducativi in ambito scolastico per la promozione della nonviolenza e mi ricordo lo sgomento che provai nello scoprire la vera identità dei Pappagalli verdi.

Il 13 agosto, pochi giorni prima della sua morte, aveva espresso su La Stampa il suo pensiero critico sulla vicenda afgana: “Circa 241mila persone sono state vittime dirette della guerra e altre centinaia di migliaia sono morte a causa della fame, delle malattie e della mancanza di servizi essenziali. Solo nell’ultimo decennio, la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Umuna) ha registrato almeno 28.866 bambini morti o feriti […] L’Afghanistan è un paese distrutto […] gli Stati Uniti hanno speso complessivamente oltre 2 mila miliardi di dollari, l’Italia 8,5 miliardi di Euro. Le grandi industrie di armi ringraziano”.

Non si definiva pacifista, ma contro la guerra. Curava i feriti perché era giusto e sosteneva che se ci sono esseri umani che soffrono, sono malati o hanno fame è un fatto che ci deve riguardare tutti, “perché ignorare la sofferenza di un uomo è sempre un atto di violenza, e tra i più vigliacchi”.

Se, come diceva Gino Strada: “La morte vince una volta, la vita può vincere ogni giorno”, allora, nel nostro piccolo, ognuno di noi può essere quella goccia nell’oceano, che seppur minima, se non ci fosse sarebbe peggio per tutti. In questo modo, forse, i diritti degli uomini (e delle donne) saranno davvero di tutti, proprio di tutti, e non più privilegi per pochi.