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Giochi di guerra: l’unica mossa vincente è non giocare

Di Antonio Zuliani, psicologo psicoterapeuta, membro del CEN PLP

Nel 1983 il film campione di incassi fu WarGames. Nel film si prefigurava lo scoppio di una guerra nucleare guidata dai computer delle due super potenze di allora: gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Una guerra che i computer decidono di cessare quando il giovane protagonista chiede loro di giocare a Tetris contro sé stessi. Smettono perché concludono che la guerra è uno “strano gioco, l’unica mossa vincente è non giocare».

Proprio quel Tetris, o una sua variante, che Ovidio nella sua ARS amatoria descrive come preludio all’Eros. Strano rapporto quello tra guerra e Eros sul quale varrà la pena di tornare.

Oggi soffermiamoci sulla guerra e su come questa realtà stia riempiendo la nostra vita quotidiana fino a farla apparire “normale”.

Certamente le guerre ci sono sempre state, anche nella nostra Europa continentale, dalla Jugoslavia fino all’Ucraina, ma perché ci appare così accettabile da non comprendere che l’unico modo per vincerla è “non giocarci”?

Questo ci porta all’origine della guerra: un tema che la stessa psicologia si è spesso limitata solo a sfiorare. La guerra è una realtà che fa parte dell’uomo o qualche cosa che ha incontrato nella sua evoluzione? Si tratta di un dibattito aperto nel mondo scientifico e storico.

Tutti ricordiamo l’inizio del film “2001, odissea nello spazio” nel quale un nostro lontano parente, afferrato un grosso osso, lo usa per colpire i suoi nemici, quelli che gli contendono lo scarso cibo.

Ma non è la datazione della prima guerra, aspetto molto dibattuto oggi dagli antropologi, che ci interessa. Bensì il fatto che la consideriamo più normale del computer di WarGames, che pensiamo che una guerra si possa vincere con un numero “accettabile” di vittime.

Hanno ragione Freud e Lorenz che ritengono che l’uomo sia incline alla distruttività e alla guerra perché spinto da pulsioni istintuali? O tutto è riducibile a un problema genetico che porterebbe molti uomini ad essere egoisti e, quindi, dimentichi di essere membri di una comunità e che solo nel benessere di tutti può veramente realizzarsi il proprio? Questo ci porterebbe a quello che Freud identifica come l’evoluto principio della realtà.

Ritengo sia un tema su cui interrogarci. Domandarci se per l’uomo sia “inevitabile” essere incline a essere aggressivo e a risolvere le vertenze internazionali con le guerre, fino al punto di considerare normale la guerra e di sentirsi disturbato dalle notizie che provengono “dal fronte”.

Molte domande alle quali le intelligenze di un paese sono chiamate, assieme, a dare una risposta.

Noi psicologi, insieme agli altri professionisti, abbiamo il dovere di esserci.