PLP

Guerra: quale civiltà possibile

Nuovo appuntamento con la rubrica Spazio Psicologico in collaborazione con l'associazione Psicologi Liberi Professionisti

Antonio Zuliani
psicologo psicoterapeuta, membro del CEN PLP

Ci sono due aspetti di questa guerra dal risvolto drammatico sul quale ci sembra importante riflettere. Per chi vi è direttamente coinvolto, ma anche perché, da esseri umani abbiamo la grande opportunità di imparare dai nostri errori. Gli errori si compiono, è normale che sia così, ma perseverare su di essi, come dice un noto proverbio, “è diabolico”.

Il primo risvolto lo ritroviamo all’interno di tanti racconti che ascoltiamo dai profughi: l’aver perduto i contatti con i loro cari. Spesso con i loro mariti, con i loro padri rimasti in patria a combattere (questa è la regola imposta agli uomini dal governo ucraino). In questo tempo che ha esaltato la comunicazione, che ha ridotto i tempi dei contatti reciproci, in cui siamo sempre connessi, queste persone spesso hanno perduto questa possibilità di contatto. E non l’hanno perduta all’interno di una situazione di interruzione episodica, quando tutto si svolge in un clima di stabilità e continuità (anche in Italia, di tanto in tanto le comunicazioni telefoniche non funzionano come vorremmo); loro l’hanno perduta proprio quando tutto fa temere che quei contatti, quelle persone a loro care, potrebbero non esserci più, potrebbero essere tra le vittime della guerra. Una guerra che, come tutte le guerre moderne fa più vittime tra i civili che tra i militari. Un’angoscia nell’angoscia. Qualche cosa che spinge molte donne a ritornare in Ucraina perché l’incertezza diventa schiacciante. E chi non rientra, pensiamo ai bambini, vive questa terribile preoccupazione.

Accanto a questa sofferenza se ne sta manifestando un’altra: quella di non poter neppure piangere il proprio morto. L’elaborazione del lutto nasce, potremmo dire prende l’avvio, dal poter “salutare”, dall’accomiatarsi dalla persona morta. Ma se quel corpo non c’è, come si fa a salutarlo e ad avviare, nella concretezza di quell’ultimo incontro, il proprio lutto?

Questa realtà ci ha investito dopo l’attacco alle Torri Gemelle, quando molte persone sono state bruciate nell’incendio e i loro corpi polverizzati dal crollo. Proprio l’aver scelto di riconsegnare nella bara anche solo delle pietre con fissato il DNA della vittima, ha aiutato i familiari a dargli sepoltura e a piangere la sua morte. Prima e necessaria fase dell’elaborazione del lutto. Se il lutto non viene elaborato è difficile che ci sia un futuro anche per i sopravvissuti.

Due drammi che questa guerra ci sta riconsegnando e che ci devono impegnare in due direzioni. La prima è di accogliere queste sofferenze, di non pensare che la guerra abbia solo risvolti e conseguenze economiche e geopolitiche. In questo la pietà umana ha un grande ruolo, ma lo abbiamo anche noi psicologi nel supporto a chi sta vivendo questi drammi. La seconda è nel lavorare affinché questa guerra, come le altre decine che sono in atto, si fermi.

Si tratta di una scelta di civiltà, anche se questo dovesse comportare delle rinunce al benessere con tanta fatica raggiunto. Assieme si può fare. Rileggere Benedetto Croce non ci farebbe male!