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Il mito del posto fisso

Nuovo appuntamento con la rubrica Spazio Psicologico in collaborazione con l'associazione Psicologi Liberi Professionisti

di Elisa Mulone – da Il Libero Professionista Reloaded #3

Mai come oggi viviamo in una società caratterizzata sempre di più da una forte incertezza che si declina in vari ambiti, da quello personale a quello lavorativo e sociale. Nel 2003 la legge Biagi introduce il concetto di flessibilità lavorativa e getta le basi per la sua applicazione. Ciò avviene in un contesto ancorato alla cultura del “posto fisso” come descrive bene e in maniera paradossale Checco Zalone nel film “Quo vado”. Purtroppo, però, la sua applicazione si è tradotta troppo spesso in nuove forme di precarietà lavorativa.

Tutto intorno a noi cambia rapidamente, nuove scoperte scientifiche e tecnologiche si susseguono a un ritmo che rende difficile tenere il passo. Anche nei contesti lavorativi le competenze vanno aggiornate continuamente per non diventare obsolete e risultare efficienti. Questo pone sia gli adulti che i giovani nella condizione di dover rivedere continuamente i propri obiettivi in termini professionali.

Klement Polacek affronta questo tema e guarda ai giovani alle prese con un mondo in continua evoluzione. “La nuova economia, caratterizzata dall’incertezza, dall’imprevedibilità e persino dal caos non permette a molti giovani di progettare in modo lineare e razionale il proprio futuro professionale e in tal modo di costruire la propria carriera…una crescita ordinata e continua nello stesso settore lavorativo che richieda le identiche competenze professionali sarà sempre più rara in futuro”. In tale condizione è difficile elaborare progetti a lungo termine e nasce la necessità di mettere in atto continui adattamenti. Cosa può aiutare in particolare i giovani a affrontare in maniera più efficace l’inserimento nel mondo del lavoro?

Alcune competenze si rivelano fondamentali per un buon adattamento al contesto lavorativo attuale. E. L. Herr individua:

  • flessibilità personale;
  • impegno ad apprendere durante l’esercizio del lavoro;
  • accettazione delle differenze culturali;
  • disponibilità a lavorare in team;
  • saper fronteggiare compiti complessi;
  • spirito di iniziativa;
  • assumersi la responsabilità della propria formazione continua.

Per rispondere ai bisogni di flessibilità, far fronte alla complessità e all’incertezza diffusasi nell’ultimo ventennio si è assistita ad una radicale riforma del sistema di Istruzione e formazione (Legge 3/2003) in cui l’orientamento, dapprima relegato a mera trasmissione di informazioni alle classi degli ultimi anni degli Istituti Superiori, è divenuto elemento fondamentale, in prima battuta, per prevenire il fenomeno della dispersione scolastica e, in un secondo momento, per garantire un buon inserimento lavorativo consapevole e coerente con le proprie aspirazioni. Si è affermata ormai l’idea che orientamento e formazione sono strettamente interconnesse, incentrate sull’individualità della persona e dispiegate lungo tutto l’arco di vita.

Pioniere di una delle prime applicazioni dell’orientamento professionale fu Frank Parsons che si occupò del reinserimento lavorativo di un gruppo di giovani immigrati in America che faticavano a trovare un’occupazione adatta a loro. Egli era convinto che ogni persona possieda dei punti di forza che gli possano permettere di svolgere un lavoro adeguato. Parsons delinea un modello tripartito in cui:

  • si tiene conto di interessi, attitudini, abilità, ambizioni, limiti e risorse della persona;
  • si esplora la conoscenza dei requisiti della possibile occupazione, vantaggi, svantaggi, opportunità e future prospettive;
  • si ragiona sul rapporto tra i due ambiti attraverso l’aiuto di un esperto.

Da allora, l’orientamento si è qualificato sempre di più, oltre che come educazione alla decisionalità e alla scelta, soprattutto, come cultura dell’innovazione e del cambiamento, cultura del progetto personale e invito alla propria imprenditorialità che si realizza in un processo di formazione continua e partecipativa.

L’attuale mondo del lavoro necessita sicuramente di competenze teorico-pratiche e specialistiche ma, soprattutto, di quelle competenze trasversali, o soft skills, che possono fare la differenza per gestire la complessità dei nostri tempi.

Un ruolo cruciale può svolgere la rete territoriale dei servizi per il lavoro se promuove una politica di individualizzazione dei servizi, mettendo al centro la persona e le sue specificità, non dimenticando una fetta importante di lavoratori che sono i liberi professionisti. I giovani, in particolare, sono scoraggiati dall’intraprendere un lavoro autonomo, come testimonia il calo delle iscrizioni agli ordini professionali. A tal proposito sarebbe utile attivare gli sportelli per il lavoro autonomo, di cui si è discusso con alcuni assessorati regionali, che possano informare e orientare anche i giovani lavoratori che hanno già scelto una professione, ma che necessitano di un supporto per inserirsi nel mercato del lavoro o per sviluppare nuove potenzialità.