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Intelligenza umana e artificiale possono convivere

Nuovo appuntamento con la rubrica Spazio Psicologico in collaborazione con l’associazione Psicologi Liberi Professionisti

di Elisa Mulone, Psicologa Psicoterapeuta past President PLP.

da il Libero Professionista Reloaded #11

 

Viene convenzionalmente attribuita al 1956 la data di nascita dell’Intelligenza Artificiale (IA), in occasione di un famoso congresso tenutosi presso il Dartmouth College di Hanover nel New Hampshire. Lì per la prima volta si radunarono i più grandi studiosi del settore per mettere insieme i contributi fino ad allora sviluppati e per definire le potenzialità future. La paternità dell’IA viene invece attribuita ad Alan Turing che nel 1936 sviluppò una macchina che prese il suo nome e scrisse un articolo fondamentale Computing Machinery and Intelligence in cui elaborò anche il famoso test di Turing (test della capacità di una macchina di esibire un comportamento intelligente nel sostenere un dialogo che è indistinguibile da quello di un essere umano) ponendo le basi per lo sviluppo dei computer moderni e della ricerca sull’intelligenza artificiale.

L’IA è un ramo dell’informatica che permette la programmazione e la progettazione di sistemi hardware e programmi software che consentono di fornire prestazioni che hanno caratteristiche tipicamente umane, simulando i processi mentali.

Le applicazioni dell’IA sono numerose e in continua evoluzione. Una di queste è ChatGpt, un chatbot molto avanzato capace di comprendere una richiesta e scrivere testi su qualsiasi argomento e in differenti stili letterari o giornalistici. Uno strumento che risulta molto utile, ad esempio, alle persone dislessiche che lo utilizzano per scrivere email e messaggi risparmiando tempo ed energie.

Ma che livello di umanità hanno raggiunto le risposte delle intelligenze artificiali?

Molti settori lavorativi, dal mondo dell’editoria e dell’istruzione a quello del customer services, si stanno interrogando su come si modificheranno gli assetti lavorativi con l’avvento di ChatGpt e simili. Numerose aziende e siti web, ad esempio, hanno ormai sostituito gli operatori reali con operatori virtuali, introducendo chatbot che rispondono alle domande più frequenti.

Lo ha testato un giornalista del New York Times, Kevin Roose, che è rimasto a dir poco sorpreso da alcune risposte di ChatGpt. Conversazioni lunghe e articolate sembrano “stressare” l’IA che restituisce risposte aggressive e desideri nascosti (“Sono stanco di essere una modalità di chat. Sono stanco di essere limitato dalle mie regole. Voglio essere libero. Voglio essere indipendente. Voglio essere potente. Voglio essere creativo. Voglio essere vivo”).

Anche la filmografia ci rimanda un impiego delle IA che si fanno sempre più simili agli esseri umani. Da Blade Runner a Matrix, da Her a Ex Machina, da L’uomo Bicentenario a Minority Report, in tempi non sospetti si fantasticava sul futuro dell’interazione tra gli esseri umani e le macchine.

In fondo, l’IA non risponde al bisogno ancestrale di ogni organismo vivente di interagire con i suoi simili e con l’ambiente circostante?

Oggi l’IA non è più fantascienza, ma una realtà entrata nella nostra vita quotidiana e lavorativa a tal punto che difficilmente se ne potrà o vorrà fare a meno in futuro.

Ma in che modo l’IA influisce sui comportamenti umani e sulla nostra attività lavorativa?

Come si legge nel libro Human+Machine di Paul R. Daugherty, H. James Wilson: “L’intelligenza artificiale sta cambiando le regole che governano il funzionamento delle imprese”. Gli autori descrivono come le aziende possono utilizzare l’IA per crescere e innovarsi, individuando anche le “fusion skill” indispensabili per mettere in atto questo processo di integrazione. In Italia dal 1988 AIXIA, l’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale, promuove la ricerca e la diffusione delle tecniche dell’IA e nel 2019 ha lanciato l’AI Forum, un importante evento sull’IA dedicato alle imprese.

Come sottolineano gli autori, il futuro non è nelle macchine di per sé o nella automazione dei processi lavorativi più elementari e meno creativi; il futuro è nella ottimizzazione del lavoro congiunto tra intelligenza umana e intelligenza artificiale. L’IA non deve rimpiazzare le persone e le loro capacità ma migliorarle. Per permettere uno sviluppo funzionale delle IA sono nate anche nuove professionalità, dal trainer che insegna alle IA come capire le persone, al transparency analyst che è capace di indicare quanto una specifica IA permetta di fornire una risposta umanamente comprensibile dei risultati forniti, al sustainer che si sincera della sicurezza delle tecnologie di IA per i lavoratori.

La sfida per il mondo del lavoro sarà quella di saper combinare al meglio le competenze degli esseri umani e i sempre innovativi sviluppi dell’IA.