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Le fondamenta della resilienza

Nuovo appuntamento con la rubrica Spazio Psicologico in collaborazione con l'associazione Psicologi Liberi Professionisti

di Antonio Zuliani, psicologo psicoterapeuta, membro del CEN PLP

 

Il tema della resilienza è sempre stato al centro delle riflessioni degli psicologi, anche con diverse accezioni. Ne ha parlato Anna Freud (1943), René Spitz (1946) fino a Werner e Smith nel 1982. Solo all’inizio di questo secolo due autori portano questo termine fuori dall’ambito tecnologico per farlo divenire sempre di più una riflessione centrale della psicologia. Si tratta di Grotberg (2001) e, in modo particolare, di Boris Cyrulnik (2002).

Nello specifico Cyrulnik considera la resilienza come un processo che dalla nascita fino alla morte intreccia continuamente la vita della persona. In sostanza si tratta di un processo che consente di dare un senso ad ogni evento stressante che incontra, nonché di riprendere il suo sviluppo positivo anche dopo essere venuto in contatto con un evento o una circostanza particolarmente avversa.

Si tratta di qualcosa che non ha nulla a che fare con la forza, l’invulnerabilità (Anaut, 2003) o il successo sociale. L’impatto con una situazione critica provoca comunque sofferenza in tutti (Hanus, 2001) e non rende immuni dalla stessa, ma fornisce l’essenziale capacità di recupero e di ripresa.

L’aspetto cruciale è comprendere cosa renda una persona e un’organizzazione resiliente. Seguendo Kobosa (1979) possiamo identificare le tre caratteristiche del soggetto resiliente: la convinzione di avere il controllo sugli eventi, la capacità di sentirsi coinvolto nelle attività svolte e la percezione della possibilità del cambiamento come sfida positiva della vita.

In questo senso le qualità personali, che pure hanno un ruolo, non sono sufficienti. Risultano importanti la rete sociale, la famiglia e l’organizzazione all’interno della quale si trova ad operare (Rutter, 1987).

La resilienza non si impara con un corso di formazione, come ben evidenzia il modello di Vanistendeal (1996) definito la “Casita della resilienza”. L’autore, utilizzando la metafora della casa, ritiene che le fondamenta della resilienza siano da individuarsi nell’accettazione fondamentale e incondizionata che la persona sente su di sé da parte della rete di chi gli sta attorno; al primo piano l’autore colloca la capacità di scoprire il senso, mentre al piano superiore ci sono tre stanze dove colloca le attitudini, le competenze del soggetto, la sua autostima e l’umorismo. La caratteristica fondamentale di questo modello è che ogni piano può svilupparsi solo se prima si è consolidato quello sottostante.

Come l’organizzazione e i nostri studi professionali possono aiutare il singolo in questa strada? Questa può essere la strada della resilienza, ispirandosi a quanto scrive l’APA (American Psychological Association):

  • curare le buone relazioni tra le persone del proprio ambiente sociale;
  • vedere che ogni problema ha una soluzione possibile e, per aiutarsi in questo, è molto utile vederlo sempre all’interno di una prospettiva di lungo periodo e non solamente nel qui ed ora;
  • compiere azioni decise di fronte alle avversità, piuttosto che subirle;
  • assumere l’atteggiamento di chi ha da imparare da ogni evento e di chi considera il cambiamento parte della vita;
  • aiutare tutti a prendersi cura di se stessi.