PLP

Parlare ai bambini della guerra

Nuovo appuntamento con la rubrica Spazio Psicologico in collaborazione con l'associazione Psicologi Liberi Professionisti

Antonio Zuliani,
psicologo psicoterapeuta
membro del CEN PLP

Stiamo vivendo un momento difficile, alle soglie della fine della pandemia da Coronavirus una guerra che coinvolge parte dell’Europa e che sta occupando l’attenzione di tutti. I media hanno sostituito l’apertura di ogni notiziario dal coronavirus alla guerra. Se la miriade di emozioni che le notizie e le immagini ci stanno procurando è grande, lo è ancora di più per i nostri bambini.

Ecco allora alcune brevi indicazioni su come parlare con loro.

Ascoltiamo le notizie che arrivano dai media insieme ai nostri figli. Anche se non desideriamo che sentano queste notizie, le stesse arriveranno loro da molte fonti (amici, social, la scuola stessa): piuttosto che lasciarli soli, meglio leggere e vedere le notizie assieme. Non lasciamoli soli con le loro ansie, preoccupazioni e fantasie.

Incoraggiamoli a parlare e a fare domande: parlare permette di costruire uno spazio emozionale condiviso. All’interno di questo spazio è più facile che ci parlino di quello che hanno visto o sentito raccontare. L’accortezza è di non forzarli a parlare, e tanto meno di soffermarci con loro su eventi drammatici senza speranza.

Permettiamo ai nostri figli di esprimere le emozioni e le preoccupazioni che le notizie sulla guerra suscitano in loro. Anche se si tratta di preoccupazioni che possono sembrare secondarie rispetto a quello che sta accadendo, le stesse vanno comunque accolte perché il disagio che vivono può manifestarsi anche in modo indiretto.

Aiutiamoli a capire che le emozioni di per sé non sono né buone né cattive. Si tratta di emozioni che tutti proviamo e che è del tutto normale viverle in questo momento drammatico.

Forniamo loro risposte che tengano conto della loro possibilità di capire: se offriamo ai nostri figli la possibilità di fare domande, si propone la difficoltà di trovare le risposte. Non cadiamo nella tentazione di pensare che sia troppo piccolo per capire. È evidente che l’età del figlio è determinante per il linguaggio da usare. Per ogni età ci sono sempre delle risposte.

Superiamo il timore di ammettere di non poter rispondere a tutte le loro domande. I nostri figli hanno bisogno di genitori che sanno essere accoglienti e rassicuranti, fornendo una base affettiva, e non di genitori “che sono sempre sicuri e conoscono tutto”.

Non siamo critici se manifestano comportamenti regressivi rispetto alla loro età: quando un bambino è preoccupato è normale che regredisca a comportamenti tipici di età precedenti. La paura del buio, la richiesta di dormire in camera con i genitori, e così via. Si tratta di comportamenti che vanno compresi senza colpevolizzarli per una debolezza assolutamente normale; caso mai incoraggiamo i loro tentativi per uscirne.

Non cerchiamo di accentuare la ricerca dei colpevoli. Si tratta di una strategia diffusa molto rassicurante tra gli adulti, ma non aiuta il bambino a elaborare le sue emozioni rispetto a quello che sta accadendo.

Aiutiamoli a individuare le cose buone che comunque accadono. Sottolineare l’aiuto e il soccorso a chi soffre, l’ospitalità a chi fugge, favorisce nei nostri figli, ma anche in noi adulti, la speranza che ci sia qualcuno disposto a venire in soccorso di chi si trova coinvolto in una situazione drammatica.