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Sei come ti percepisco: oggettivazione sessuale e discriminazione di genere

Di Elisa Mulone, Psicologa e Psicoterapeuta past president PLP

Oggettivare una persona vuol dire considerarla e trattarla come un oggetto, un mero strumento per il raggiungimento di un fine personale, e conduce in sostanza alla negazione della sua dignità umana. È per questa ragione, infatti, che l’oggettivazione può essere considerata una forma di deumanizzazione. Essa può investire diverse minoranze e categorie sociali, così come diverse possono essere le dimensioni dell’identità che possono essere reificate.

Secondo Fredrikson e Roberts, quando ad essere reificato è il corpo e il valore di una persona è stabilito, soprattutto, sulla base del suo aspetto fisico, si parla di oggettivazione sessuale o sessualizzazione. L’oggettivazione sessuale comporta una frammentazione simbolica del corpo, che è separato dal resto della persona e considerato come mero strumento per il piacere sessuale altrui. È importante sottolineare che gli studi in tema di oggettivazione sessuale condotti a partire dalle lotte femministe non si declinano in termini moralistici, come fece a suo tempo Kant, uno dei primi a parlare di oggettivazione in ambito filosofico, bensì in termini psicosociali, perché tale fenomeno si fonda sulle disuguaglianze di genere e ne alimenta le conseguenti discriminazioni. Come è stato rilevato da recenti ricerche condotte da Norma De Piccoli e Chiara Rollero, docenti dell’Università di Torino, anche in Italia, in diversi contesti socio-culturali e nelle diverse fasce di età, persistono stereotipi di genere e pattern culturali che legittimano le differenze di genere, spesso avallate da valori ritenuti positivi. Il cosiddetto sessismo benevolo costituisce una forma mascherata e sottile di discriminazione che concorre a consolidare i ruoli di genere.

Tra le teorizzazioni sul concetto di oggettivazione, la filosofa Martha Nussbaum nel 1999 individua sette dimensioni:

  1. strumentalità: l’oggetto è uno strumento per il raggiungimento dei propri scopi;
  2. negazione dell’autonomia: l’oggetto è un’entità priva di autonomia e autodeterminazione;
  3. inerzia: l’oggetto è un’entità priva della capacità di agire e di essere attivo;
  4. fungibilità: l’oggetto è interscambiabile con altri oggetti della stessa categoria;
  5. violabilità: l’oggetto è un’entità priva di confini che ne tutelino l’integrità. È possibile farlo a pezzi;
  6. proprietà: l’oggetto appartiene a qualcuno. Può essere venduto, ceduto, comprato;
  7. negazione della soggettività: l’oggetto è un’entità priva di esperienze e sentimenti propri.

Oggettivare comporta il trattare una persona secondo queste sette dimensioni.

L’oggettivazione si fonda sul modo in cui la mente umana elabora, codifica e interpreta le informazioni. Ma quali sono i processi cognitivi che si mettono in atto quando le persone arrivano a percepire gli altri come degli oggetti? Come hanno dimostrato Gervais e i suoi colleghi, quando oggettiviamo qualcuno stiamo utilizzando un’elaborazione locale, basata sui singoli elementi che compongono lo stimolo, piuttosto che globale, basata sullo stimolo nel suo insieme e dopo sui dettagli.

Come spiega la prof.ssa Maria Giuseppina Pacilli nel suo bellissimo libro Quando le persone diventano cose: “Lo stile di elaborazione globale è alla base del riconoscimento delle persone: per riconoscere un volto o un corpo ci basiamo non solo sulle informazioni che provengono da specifiche parti del corpo, ma sulle informazioni relative alle relazioni e configurazioni spaziali fra le stesse parti. Lo stile di elaborazione locale sembra, invece, essere alla base del riconoscimento degli oggetti poiché le persone possono riconoscere con più facilità questi ultimi sulla base di dettagli singoli. Ad esempio, la porta di una casa può essere riconosciuta velocemente a prescindere dal fatto che sia presentata nel contesto di una casa o isolatamente, mentre una parte del corpo umano, ad esempio un braccio, si riconosce più facilmente quando è presentato in associazione a una persona intera piuttosto che singolarmente”.

L’oggettivazione sessuale è fondamentalmente un processo cognitivo inaccurato perché ci porta ad una valutazione erronea.

Ma non è tutto. La continua esposizione a processi e modelli oggettivanti, in particolare veicolate dai social e dai media, porta ad interiorizzare quello sguardo oggettivante e a trasformarsi in auto-oggettivazione, con conseguenze sia individuali che sociali.

La letteratura sull’oggettivazione ha ampiamente dimostrato la relazione esistente tra esposizione a modelli mediatici oggettivati e insoddisfazione corporea, in particolare per le donne.

Tra le conseguenze individuali dell’auto-oggettivazione troviamo: insoddisfazione corporea, disturbi alimentari, depressione, disfunzioni sessuali, interferenza nei processi attentivi, peggioramento delle performance cognitive.

Le conseguenze sociali si declinano nelle varie forme di violenza di genere: dalle molestie sessuali sui luoghi di lavoro (sexual harassment) alle molestie sessuali per strada (street harassment) alla violenza sessuale.

Quali strategie possono essere messe in atto per contrastare l’oggettivazione e l’auto-oggettivazione sessuale?

Prima di tutto è necessario promuovere azioni, rivolte a tutte le fasce d’età, mirate a scardinare i modelli culturali dominanti che mantengono in essere gli stereotipi di genere. Inoltre, è indispensabile promuovere una cultura dell’essere più che dell’apparire, in modo da incentivare un rapporto più soddisfacente con il proprio corpo.