Reddito di cittadinanza e politiche di reddito minimo

Il convegno di Confprofessioni Marche per fare chiarezza sulle politiche di reddito, tema essenziale anche per i professionisti Reddito di cittadinanza e politiche di reddito minimo: il Consiglio Regionale-Assemblea Legislativa delle Marche ha ospitato il convegno organizzato da Confprofessioni Marche, su temi di stretta attualità politica, su cui occorre fare chiarezza, partendo dai dati e
Il convegno di Confprofessioni Marche per fare chiarezza sulle politiche di reddito, tema essenziale anche per i professionisti

Reddito di cittadinanza e politiche di reddito minimo: il Consiglio Regionale-Assemblea Legislativa delle Marche ha ospitato il convegno organizzato da Confprofessioni Marche, su temi di stretta attualità politica, su cui occorre fare chiarezza, partendo dai dati e dalle analisi di tre dei massimi esperti che ci sono in Italia, per comprendere anche le potenziali conseguenze su economia, lavoro e mondo libero professionale.

“Dignità e lotta della povertà sono temi essenziali, anche per le libere professioni – ha rimarcato il presidente di Confprofessioni Marche Gianni Giacobelli, in apertura dei lavori – per questo abbiamo voluto approfondire questo argomento in modo scientifico, partendo dai dati e dalle analisi di stimati studiosi di queste misure, fuori dall’ottica di parte”.

Anche il presidente del Consiglio Regionale delle Marche Antonio Mastrovincenzo, nei suoi saluti istituzionali, ha evidenziato l’ampissima portata dell’iniziativa: “Sono molte le famiglie, specie quelle di immigrati, ad essere in difficoltà, ed è aumentata la povertà relativa. Nelle Marche c’è una forbice meno larga di diseguaglianza, ma cresce anche qui la povertà assoluta, e anche i giovani che non lavorano o non studiano sono ancora tantissimi. Questa è una preziosa occasione per approfondire, partendo dai dati, la discussione su simili politiche.”

Il coordinatore dell’Assemblea dei presidenti di Confprofessioni Andrea Dilli, guidando gli interventi dei relatori, ha sottolineato come queste politiche non siano marginali anche per le libere professioni: “I dati ci dicono di 3 milioni di famiglie e 9 milioni e 400mila persone in povertà relativa. E i professionisti, purtroppo, non sono potenzialmente esclusi da un simile rischio, sono sicuramente interessati da questo tema: c’è grossa sperequazione di reddito tra giovani e coloro che hanno più anzianità professionale, e di genere, tra uomini e donne”.

Gianluca Busilacchi, professore del Dipartimento di Scienze Politiche, della Comunicazione e delle Relazioni Internazionali dell’Università degli Studi di Macerata, autore di “Welfare e diritto al reddito – Le politiche di reddito minimo nell’Europa a 27”, ha effettuato un confronto specifico tra le esperienze internazionali in materia, partendo da un quesito:“ Quali proposte sono sul campo, al di là del nome che vogliamo dare a queste politiche? Non sono per il lavoro o pensate esclusivamente per i disoccupati. C’è la forma tradizionale erogata su base mensile incondizionata (tutti i cittadini), poi c’è la definizione di misura condizionata, il reddito minimo garantito (poveri)”. E con aspetti cruciali anche per i professionisti: “Permetterebbe di ripensare i tempi di vita e di lavoro – ha spiegato – è importante per le professioni, per avere tutela anche in un periodo “sabbatico”, o, per esempio, rifiutare un lavoro che non rispecchi le proprie legittime aspettative”. Il dibattito, in realtà, è antichissimo: “La prima forma di reddito di questo tipo deriva da Thomas Paine,- ha aggiunto Busilacchi – in Agrarian Justice (1797) prevede un dividendo sociale, al compimento dei diciotto anni. E’ l’unico reddito di cittadinanza finora in vigore: solo in Alaska, infatti, il governo lo ha applicato, e tutti i cittadini ricevono un assegno come dividendo del fondo petrolifero che dipende dalla variazione di queste quotazioni. E bisogna distinguerlo dal reddito minimo: Italia e Grecia sono le uniche nell’Unione europea a non averlo: Questa misura prevede un inserimento lavorativo attivo e continua finché permane stato di bisogno. Ed è poco efficace: in media, in Europa, dai dati 2013, colma il 52% della soglia della povertà, e solo la Danimarca lo ha sopra tale soglia. Nel nostro Paese, inoltre, non ci sono adeguate risorse per renderlo strutturale”.

In seguito Giuseppe Allegri, ricercatore, docente in Scienze Politiche, Sociali e Giuridiche dell’Università degli Studi della Tuscia e dell’Università “La Sapienza” di Roma, socio fondatore di Basic Income Network Italia e coautore di “Il Quinto Stato” e “La furia dei cervelli” ha esaminato più approfonditamente l’ambito europeo: “Nel contesto globale – ha dichiarato . è bene partire dalla consapevolezza che oltre un secolo dopo l’introduzione dell’assicurazione sociale obbligatoria prevista da Otto von Bismarck, settanta anni dopo il Rapporto di Sir William Beveridge e il suo Welfare universale di impronta anglosassone, si tratta di pensare e realizzare nel concreto un sistema di garanzie sociali all’altezza delle trasformazioni economiche e produttive che viviamo, in cui il percorso dal reddito minimo garantito al reddito di base può rappresentare l’opzione più adeguata e al contempo trasformativa della società e della mentalità delle persone, per tenere insieme libertà e solidarietà”.

“Per l’arretrato contesto italiano – aggiunge Giuseppe Allegri-, ancora privo di protezioni sociali individuali e universalistiche, è probabilmente assai importante parlare dell’introduzione di un nuovo diritto sociale fondamentale (un vero e proprio Ius Existentiae) che parta dal reddito minimo garantito nel quadro di un Welfare universalistico, per contrastare l’impoverimento di una larga parte della società. Ma non si tratta solamente di una pur necessaria “lotta alla povertà”, quanto di un adeguamento agli standard degli altri Paesi d’Europa e poi di un vero e proprio investimento pubblico per valorizzare gli spazi di libertà della persona, permettere di rifiutare i ricatti e la dipendenza familiare, patriarcale, caritatevole, etc. e promuovere quindi una maggiore autodeterminazione delle proprie scelte di vita e lavoro, in un quadro di solidarietà sociale che restituisca fiducia al rapporto tra individuo, società ed istituzioni”.

Infine, Ileana Piazzoni, ha incentrato la propria analisi su Il reddito di inclusione (REI): “Si tratta della prima misura nazionale di contrasto alla povertà, la prima misura di reddito minimo – ha osservato la relatrice di maggioranza del disegno di legge sul contrasto alla povertà nella XVII legislatura-. La gradualità del suo finanziamento è stata dettata dalla necessità di accompagnarne l’estensione con il rafforzamento progressivo dei servizi territoriali, senza i quali è impossibile mettere in atto una vera strategia di inclusione sociale. Monitorare e valutare gli aspetti che stanno funzionando e quelli che stanno invece rivelando criticità, verificare le differenze di attuazione nelle varie regioni italiane, comparare i risultati con quelli degli altri paesi europei, sono azioni essenziali per poter intervenire al completamento e al miglioramento di una misura indispensabile e innovativa per il welfare italiano. Partendo da alcune cifre che riguardano questa regione, faccio riferimento ai 420.000 euro di fondi europei per Ancona e ai 6 milioni di euro per le Marche: non risolveranno certo i problemi dei professionisti e dei servizi territoriali, ma potrebbero essere funzionali a progetti di inclusione negli ambiti territoriali, per andare oltre il mero trasferimento monetario su base individuale che, probabilmente, non è la finalità principale”.

 

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