Premessa
Ogni volta, quando deve commentarsi un particolare appuntamento tributario caratterizzato da un periodo gestazionale abbastanza tempestoso, si esclama “mai vista in precedenza una situazione simile”; poi, grazie alla smisurata fantasia che caratterizza il fisco italiano, si è continuamente smentiti, con una gara a “scavare il fondo” che vede i vari protagonisti impegnati in spericolati sorpassi. Deve dirsi però che il delirio, posto che di delirio si tratta, che ha caratterizzato il concordato preventivo biennale e, da ultimo, la sanatoria per gli anni 2018/2022 (in maniera edulcorata denominata “ravvedimento”, per la prima volta nella storia determinato a forfait sia per gli imponibili che per le imposte), oggettivamente rappresenta un caso più unico che raro da quando memoria d’uomo possa ricordare.
Una norma nata male, digerita peggio, che inizialmente era rivolta soltanto ai contribuenti “virtuosi”, che ovviamente non sapevano che farsene (non essendo attratti da un regime premiale riferito agli Isa già in loro possesso) e poi estesa a tutti, con però l’alea negativa di un costo eccessivo. Al che la richiesta di almeno determinare una detassazione per i virtuosi, con un cambio di rotta perentorio: tassazione sostitutiva per tutti (con leggere differenze tra virtuosi, meno virtuosi e impresentabili) e completa detassazione per eventuali sovraredditi realizzati. Seonchè nel frattempo si era giunti ad agosto, con relative ferie estive e contribuenti (nonché consulenti), del tutto impreparati alla gestione dello strumento preventivo.
Ecco, dunque, il colpo di scena. Emendamento che compare a metà settembre, nella totale incredulità di chi pensava fossero ormai finite le stagioni condonistiche, convertito ed approvato l’8 ottobre, con l’Agenzia delle Entrate che affannosamente, mediante delle faq in medesima data, prova a dare prime ulteriori indicazioni post circolare 18 del 2024 (giunta, peraltro a settembre).
Tutti a questo punto hanno pensato (ed auspicato) ad uno slittamento dell’adesione, prevista al 31 ottobre: ebbene, nulla da fare! Di contro, commercialisti sul piede di guerra, con sciopero annunciato e ad oggi confermato e case di software che comunicano come, oggettivamente, non ci siano i tempi tecnici per rispettare la data del 31 ottobre. Non ricevuto: l’amministrazione va avanti per la sua strada e in rapida successione si hanno: faq al 15 ottobre, faq al 17 ottobre, risoluzione 50 della sera del 17 ottobre con codici di versamento individuati per la sanatoria (risultati bloccati ai primi tentativi del 18 mattina, con Sogei alle prese con ben noti consueti problemi).
Insomma, in qualsiasi consesso di persone ragionevoli ci si dovrebbe fermare e dire: signori, siamo a 13 giorni da una scelta che riguarda potenzialmente 7 annualità (con in aggiunta il 2023 da dichiarare), che prevede una scommessa per il futuro su 2 anni, che aggiunge una ricognizione e valutazione per il passato per 5 anni, sottesa a numerose variabili (tra cui depurare i redditi di eventuali componenti straordinari e comprendere tutte gli incroci tra condizioni di ammissione, cause di esclusione, cause di cessazione e cause di decadenza), in assenza di software e chiarimenti definitivi e con una raffazzonata corsa a precisazioni spot in faq seminascoste sul sito Agenzia Entrate; forse sarebbe il caso di prendersi un minimo di tempo in più.
Chissà, magari ci sarà la proroga sul filo di lana oppure non accadrà un bel nulla; magari si avrà una riapertura, o ancora una estensione. Nessuno ha certezze, tranne una: che con il fisco italiano non si capisce più nulla (con buona pace dell’intelligenza artificiale che, ove interrogata, risponde che trattasi di materia per pazzi, gestita da pazzi e praticata da pazzi).
Ciò nonostante, posto che aderire alla sanatoria transita per l’opzione per il concordato, bisogna a questo punto cercare almeno di capire gli aspetti basilari e i passi da fare, per decidere quale può essere la scelta migliore.
L’adesione al concordato
Se non vi saranno proroghe, entro il 31 ottobre bisogna scegliere: o dentro o fuori al concordato preventivo biennale per gli anni 2024 e 2025. Il problema è che questa scelta è prodromica per accedere alla sanatoria, al momento vincolata ai soli soggetti ISA. Detti soggetti, se hanno davvero interesse alla definizione degli anni pregressi, devono obbligatoriamente aderire al concordato preventivo biennale, altrimenti possono scordarsi la chiusura per il passato.
Attenzione, non è possibile eseguire questa scelta nei 90 giorni successivi (pur se dette dichiarazioni sono ritenute valide), così come non esiste la possibilità di remissione in bonis. Salvo riaperture temporali, il termine del 31 ottobre è dunque tassativo.
I forfettari, come detto, non hanno valutazioni da fare circa il passato (anche se magari in qualche annualità sono stati soggetti ISA). Al momento la norma li esclude in maniera, essendo rivolta solo ed esclusivamente ai soggetti ISA che aderiscono al CPB.
Il labirinto
Ai fini dell’adesione è bene riassumere alcune puntualizzazioni del fisco, distinguendo tra soggetti ISA e non.
Per i soggetti ISA, la prima condizione indispensabile per accedere al CPB è l’applicazione degli ISA nel 2023. A tale riguardo l’Agenzia delle Entrate ha precisato che il mero invio del modello ISA, senza relativa applicazione del modulo CPB, non consente l’accesso al concordato (e di conseguenza alla sanatoria), mentre nel caso di diverse attività svolte (ad esempio, professionale e impresa), con applicazione di due ISA separati, sarà possibile scegliere se aderire ad entrambe le proposte ovvero solo alla tipologia reddituale che interessa.
Sono esclusi dal concordato i soggetti che nel 2024 sono in regime forfettario così come bisogna ricordare che vi sono delle condizioni specifiche di fuoriuscita dal concordato biennale che ricalcano le esclusioni ISA (ad esempio, la cessazione dell’attività o la modifica dell’attività con ISA diverso). Specifica causa di cessazione è poi lo splafonamento dell’ammontare dei ricavi/compensi per oltre il 50% del limite previsto per l’applicazione ISA. Significa che ben può verificarsi l’ipotesi del contribuente che realizza 7 milioni di euro di compensi nel biennio 24/25, rimanendo nel CPB pur essendo escluso dagli ISA.
Bisogna però prestare attenzione alle cause di decadenza contenute nell’articolo 22 del D. Lgs. 13/24, che tra l’altro richiama anche tutte le ipotesi di esclusione di cui all’articolo 11. In particolare, si evidenzia che l’uscita dal mondo ISA per approdare al forfettario, oltre ad essere, come detto, causa di esclusione nel 2024 (ex citato articolo 11), è anche implicitamente causa di decadenza, con la conseguenza che in una simile ipotesi cessa il concordato per ambo gli anni e viene meno anche la validità della sanatoria 2018/2022. Da ciò deriva un insegnamento indiscutibile: se qualcuno vuole diventare forfettario, deve attendere il 2026.
Per i forfettari, invece, la storia è diversa. Da un lato non sono interessati alla sanatoria e quindi decidono solo sull’annualità del 2024 oggetto di proposta concordataria, dall’altro devono gestire le molteplici implicazioni che possono presentarsi tra l’anno 23 e l’anno 24. Nello specifico:
- Il forfettario che ha aperto l’attività nel 2023 non è ammesso al concordato;
- Il soggetto ISA, già in attività ante 2023, che diventa forfettario nel 2023 è invece ammesso;
- Il forfettario che nel 2023 sfora il limite di 85.000 euro ed esce dal regime dal 2024, per esplicita previsione normativa non può fare il concordato, nemmeno come soggetto ISA (posto che, in tale seconda ipotesi, non ha ovviamente l’ISA nel 2023);
- Il forfettario del 2023 che spontaneamente (ossia con compensi entro gli 85.000 euro), decide di uscire dal regime nel 2024, può avere il concordato, ma applicherà comunque quello emergente dal sistema “forfettario” e non quello ISA, con una sorta di finzione applicativa abbastanza anomala (ma ammessa a livello interpretativo dall’Agenzia delle Entrate). Infatti, questo soggetto conserva la proposta del concordato per il 2024, ma tasserà in maniera ordinaria il reddito fino a concorrenza dell’ammontare del 2023 e in maniera sostitutiva l’eventuale incremento richiesto nel 2024, mentre non tasserà il sovra reddito eventualmente realizzato (fermo restando, si ritiene, di non poter superare la soglia di 150.000 euro di ricavi/compensi che porta all’uscita dal concordato);
- Il forfettario che nel 2024 realizza oltre 85.000 euro, ma non oltre 100.000 euro, mantiene la proposta del concordato;
- Il forfettario che nel 2024 va oltre 100.000 euro, ma non oltre 150.000 euro, mantiene la proposta ma tassa il reddito fino a concorrenza di quello del 2023 in maniera ordinaria, tassando in maniera sostitutiva l’incremento concordato (fermo restando la non tassazione dell’extra);
- Il forfettario che nel 2024 sfora il limite dei 150.000 euro è escluso dal cpb e tassa tutto in maniera ordinaria.
Da quanto sopra una cosa è certa: se il forfettario riesce a comprender il suo destino, ha già fatto uno sforzo sovraumano.
L’altro elemento da osservare per l’accesso al concordato, questa volta a fattor comune, riguarda i debiti tributari. Se sul fronte dei controlli eventualmente subiti (accertamenti, atti di rettifica, etc), l’approdo prescelto è chiaro, in quanto per non avere causa ostativa bisogna:
- avere ancora il contenzioso pendente;
- alternativamente, avere una sospensione e/o una rateazione in corso rispetto agli importi richiesti a seguito di controlli divenuti definitivi al 31 dicembre 2023;
problemi interpretativi maggiori si hanno per gli esiti degli articoli 36 bis e 36 ter del dpr 600/73, nonché dell’art. 54 bis del dpr 633/72 (controlli automatizzati della dichiarazione e controlli formali). Ebbene, in tale direzione prevale il tenore letterale della norma, che esplicitamente si rivolge ai ruoli contenuti in cartelle di pagamento dell’agenzia della riscossione, che devono essere scaduti e non in rateazione (ovvero in presenza di decadenza dalla rateazione). Ne deriva che chi ha omesso i versamenti riferiti ad esempio all’anno 2022, ovvero al 2021 ed è anche decaduto dalla rateazione degli avvisi bonari, in ogni caso è ammesso al CPB; la causa ostativa sorge se, dopo non aver versato, aver ignorato il bonario, ovvero aver rateizzato ed essere decaduto rispetto al bonario, si è in presenza di una successiva cartella anch’essa scaduta ovvero rateizzata e decaduta (di fatto, ci vuole un sostanziale impegno in tale direzione).
Il condono per gli anni passati
Risolto il primo ostacolo di aderire al biennale e tralasciando i calcoli di convenienza che ognuno avrà modo di effettuare, è evidente che già la consapevolezza di extra reddito per il 2024 (o la previsione di reddito 2025 oltre soglia concordata per incarichi da svolgere nel 2025), attesa la completa detassazione, può essere talmente vantaggioso da assorbire il rischio previsionale del 2025.
Passiamo ora alle regole della sanatoria per il passato.
L’articolo 2-quater, introdotto in sede di conversione del D.L.n.113/2024 in Legge 143/2024 (in G.U. dell’8 ottobre 2024) consente, come detto, ai soggetti ISA aderenti al CPB di accedere al regime di ravvedimento straordinario, versando un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e delle relative addizionali nonché dell’imposta regionale sulle attività produttive.
L’aspetto più interessante riguarda sicuramente il metodo di calcolo degli importi da pagare, invero caratterizzati da un clamoroso regime di vantaggio, soprattutto per i soggetti meno affidabili. Se è vero, infatti, che a coloro che hanno punteggio elevato ISA viene richiesto un incremento reddituale contenuto in termini percentuali, è altrettanto vero che nei confronti dei meno affidabili si è deciso di non richiedere preliminarmente l’innalzamento dei propri redditi ad un livello di affidabilità e poi procedere al calcolo dell’importo ulteriore per ravvedere, ma si è deciso salomonicamente soltanto di stabilire maggiori percentuali di calcolo della base imponibile.
In particolare, queste le “fasce” individuate per la maggiorazione reddituale:
- incremento del 5% per i soggetti con punteggio ISA pari a 10;
- incremento del 10% per i soggetti con punteggio ISA pari o superiore ad 8 e inferiore a 10;
- incremento del 20% per i soggetti con punteggio ISA pari o superiore a 6 e inferiore a 8;
- incremento del 30% per i soggetti con punteggio ISA pari o superiore a 4 e inferiore a 6;
- incremento del 40% per i soggetti con punteggio ISA pari o superiore a 3 e inferiore a 4;
- incremento del 50% per i soggetti con punteggio ISA inferiore a 3.
La penalizzazione per i soggetti virtuosi è di tutta evidenza. Si pensi a due contribuenti, esercenti la stessa attività, con il primo attestato ad un reddito irrisorio di 5.000 euro e con voto 1 agli ISA, dunque soggetto “molto a rischio” sul piano evasivo ed il secondo iper-virtuoso, con un reddito di 220.000 euro e voto 10 agli ISA.
S’immagini ancora che il primo contribuente, per raggiungere un voto 10 agli ISA, avrebbe dovuto adeguare il proprio reddito del 2019 per l’importo di 90.000 euro, su cui pagare tra imposte sui redditi, addizionali, Irap e Iva un importo di circa 50.000 euro (tralasciamo i calcoli, ma è facilmente intuibile il costo di un simile adeguamento).
Ebbene oggi la norma richiede al primo contribuente di incrementare il reddito dichiarato del 50%, dunque di 2.500 euro ed al secondo di incrementare del 5%, dunque di 11.000 euro.
Determinate in questo modo le basi imponibili, sul piano della tassazione la norma poi prevede che per le annualità 2018, 2019 e 2022, i contribuenti applicano le seguenti imposte sostitutive delle imposte sui redditi e delle relative addizionali:
- 10%, se nel singolo periodo d’imposta il livello di affidabilità fiscale è pari o superiore a 8;
- 12%, se nel singolo periodo d’imposta il livello di affidabilità fiscale è pari o superiore a 6 ma inferiore a 8;
- 15%, se nel singolo periodo d’imposta il livello di affidabilità fiscale è inferiore a 6.
Per le stesse annualità 2018, 2019 e 2022, i contribuenti, inoltre, ai fini Irap, applicano l’Irap al 3,9% (ovviamente se dovuta).
Tornando al nostro esempio e limitandoci alle imposte sui redditi, avremo il primo soggetto che applica il 15% a 2.500 euro, per poi virare per l’importo fisso minimo di 1.000,00 euro e chiudere ogni pendenza con il fisco (senza nemmeno pagare l’IVA), mentre il secondo, quello virtuoso, avrà da pagare complessivamente il 10% dell’importo di 11.000 euro, ossia 1.100,00 euro.
E’ indubbio che questa chiave di lettura illustra in maniera precisa che il solo obiettivo è di attrarre tutti nel concordato preventivo, con una vera e propria sostanziale sanatoria tombale, forse anche più conveniente del condono tombale del 2002, che almeno faceva pagare un forfait di 500 euro a soggetti congrui e coerenti (dunque ritenuti “credibili e affidabili).
Infine, le imposte sostitutive sono ridotte del 30%, in considerazione della pandemia da COVID19, e per i soli periodi di imposta 2020 e 2021.
È appena il caso di rilevare come sia fondamentale appurare che i dati ISA siano certi nel periodo considerato, essendo consigliabile, nel caso, prima ravvedere tali informazioni (infatti le dichiarazioni integrative eseguite prima della sanatoria sono comunque valide), e poi chiudere gli anni dal 2018 al 2022 sulla base dei dati veritieri, in modo da evitare dolorose contestazioni future.
La procedura della sanatoria
La sanatoria può essere eseguita a libera scelta del contribuente, anche solo su alcune annualità. La sola condizione ostativa è l’esistenza di un contenzioso sull’annualità, ovvero la notifica di un PVC o di uno schema d’atto, o di un atto di recupero di crediti inesistenti, prima del versamento quanto meno della prima rata. Al riguardo, con la risoluzione n. 50 sono stati individuati i codici tributo per eseguire i versamenti.
Il versamento dell’imposta sostitutiva può avvenire in un’unica soluzione entro il 31 marzo 2025 oppure mediante pagamento rateale in un massimo di 24 rate mensili di pari importo maggiorate di interessi calcolati al tasso legale con decorrenza dal 31 marzo 2025. Inutile dire che per tutti i contribuenti che hanno le verifiche in corso, oppure un controllo a tavolino ancora non concluso o ancora hanno consegnato documenti a seguito di invito, il versamento della prima rata deve essere eseguito a velocità della luce (peraltro, la stessa Agenzia delle Entrate ha reso disponibili le informazioni necessarie al riguardo).
In caso di pagamento rateale, l’opzione, per ciascuna annualità, si perfeziona mediante il pagamento di tutte le rate. Il pagamento di una delle rate, diverse dalla prima, entro il termine di pagamento della rata successiva non comporta la decadenza dal beneficio della rateazione. Non si fa, comunque, luogo al rimborso delle somme versate a titolo di imposta sostitutiva in ipotesi di decadenza dalla rateizzazione.
Il più grande vantaggio ottenuto con la definizione è sul piano accertativo: per esplicita previsione normativa, le rettifiche del reddito d’impresa o di lavoro autonomo di cui all’articolo 39 del D.P.R. n. 600 del 1973 (ossia tutte le tipologie di accertamento, analitico, analitico induttivo e induttivo puro), nonché quelle di cui all’articolo 54, secondo comma, secondo periodo, del D.P.R. n. 633 del 1972 (analitici induttivi), non possono essere effettuati, fatta eccezione per la ricorrenza di uno dei seguenti casi:
- intervenuta decadenza dal concordato preventivo biennale di cui all’articolo 22 del decreto legislativo n. 13 del 2024;
- applicazione di una misura cautelare, personale o reale, ovvero notifica di un provvedimento di rinvio a giudizio per uno dei delitti previsti dal decreto legislativo n. 74 del 2000, ad eccezione delle fattispecie di cui agli articoli 4, 10-bis, 10-ter e 10- quater, comma 1, nonché dell’articolo 2621 del codice civile e degli articoli 648-bis, 648-ter e 648-ter 1 del codice penale, commessi nel corso degli anni di imposta dal 2018 al 2022 (il blocco riguarda la singola annualità);
- mancato perfezionamento del ravvedimento per decadenza dalla rateazione (anche in tal caso, riguarda la singola annualità).
A fronte della nuova disposizione è infine previsto che per i soggetti a cui si applicano gli indici sintetici di affidabilità fiscale che aderiscono al concordato preventivo biennale e che hanno adottano, per una o più annualità tra i periodi d’imposta 2018, 2019, 2020 e 2021, il regime di ravvedimento, i termini di decadenza per l’accertamento di cui all’articolo 43 del D.P.R. n. 600 del 1973, e all’articolo 57 del D.P.R. n. 633 del 1972, relativi all’annualità oggetto di ravvedimento, sono prorogati al 31 dicembre 2027. Per gli stessi soggetti, In ogni caso, i termini di decadenza per l’accertamento in scadenza al 31 dicembre 2024 sono prorogati al 31 dicembre 2025.