Irap professionisti: fine di una (brutta) era. Ma per gli studi associati l’avventura continua

Il Pronto Fisco di febbraio, a cura di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi

L’abrogazione dell’Irap per i lavoratori autonomi e gli imprenditori individuali, operata dall’articolo 1, comma 8 della legge di bilancio 2022, a decorrere dal 1° gennaio 2022, non può che esse valutata con favore avendo costituito negli anni una imposta, per come congeniata la base imponibile, neanche rispondente alla capacità contributiva.

Dunque, per i professionisti che esercitano l’attività in forma individuale, la prossima dichiarazione Irap sarà anche l’ultima: si verserà l’eventuale saldo se dovuto oppure, se gli acconti versati nel 2021 risulteranno eccedenti, si avrà un credito utilizzabile in compensazione per altri tributi o contributi oppure da chiedere a rimborso.

E’ bene sin d’ora sottolineare, poiché funzionale ad alcune osservazioni che verranno svolte a seguire, che l’esclusione da assoggettamento all’imposta regionale è tranciate poiché sono esclusi soggettivamente i lavoratori autonomi individuali anche se dotati di autonoma organizzazione e, dunque, anche con in carico numerosi dipendenti e beni strumentali di rilevante valore.

 

L’esercizio professionale in forma associata

A questo punto resta il capitolo aperto (o forse chiuso) degli studi professionali associati.

Come noto, la prevalente giurisprudenza della Corte di cassazione, quando l’esercizio è svolto tramite studi associati o società semplici è orientata nella direzione di considerare l’attività sempre soggetta a IRAP poiché esercitata da società e enti soggetti passivi dell’imposta a norma dell’art. 3 del D. Lgs. n. 446/97. Rientrano tra questi enti soggetti ad IRAP anche le società semplici e le associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di professioni (tipicamente gli studi associati) Tale forma collettiva di esercizio dell’attività costituisce ex lege, secondo la Corte, presupposto d’imposta.

Peraltro, l’attività di società semplici e studi associati, come quella delle società commerciali (ad esempio le società tra professionisti – STP), è ricondotta al secondo periodo del comma 1 dell’art. 2 del citato decreto Irap, laddove è previsto che l’attività esercitata dalle società e dagli enti costituisce in ogni caso presupposto di imposta.

Da ciò discende la naturale conseguenza che per tali soggetti non vi è necessità di accertare la sussistenza dell’autonoma organizzazione ai fini IRAP, posto che essa si presume e non è possibile fornire prova contraria.

Su quest’ultimo punto, ovvero sulla possibilità di fornire prova contraria per negare la sussistenza dell’autonoma organizzazione, non manca tuttavia qualche sentenza discordante della stessa Cassazione in cui si è affermato che, nonostante lo studio associato deve essere assoggettato ad IRAP, il contribuente può dimostrare che tale reddito è derivato dal solo lavoro professionale dei singoli associati che non hanno interagito tra loro.

In questa direzione anche la recentissima sentenza n. 39578 del 13/12/21 laddove la Suprema Corte, in una controversia relativa all’impugnazione del silenzio – rifiuto sull’istanza di rimborso IRAP presentata da uno studio associato composto da due professionisti, ha affermato che non è assoggettabile a IRAP lo studio associato se in concreto i professionisti dimostrano che non è stata esercitata nessuna attività produttiva in forma associata e che quindi il vincolo associativo non si è in realtà costituito. Sul punto torneremo a breve, poiché non è tutt’oro quel che luccica.

 

Esercizio di professioni, anche diverse, in forma collettiva
L’esercizio di professioni in forma collettiva (associazioni professionali, studi associati, società semplici esercenti attività di lavoro autonomo, ecc.) costituisce ex lege presupposto dell’IRAP, senza che occorra accertare in concreto la sussistenza di un’autonoma organizzazione, essendo questa implicita nella forma di esercizio dell’attività, con la sola eccezione della c.d. medicina di gruppo. Al riguardo, nessuna rilevanza ha il fatto che le professioni considerate possano essere diverse.

Cass. 15.2.2018 n. 3792

Se la professione è esercitata in forma di società, incluse società semplici e studi associati, l’IRAP è sempre dovuta senza necessità di accertare il presupposto dell’autonoma organizzazione
L’esercizio della professione in forma societaria (società ed enti, comprese società semplici e studi associati) costituisce ex lege presupposto dell’IRAP, senza che, a tal fine, occorra accertare in concreto la sussistenza di un’autonoma organizzazione, essendo questa implicita nella forma di esercizio dell’attività.

Cass. SS.UU. 14.4.2016 n. 7371; Cass. 10.2.2017 n. 3585; Cass. 19.5.2017 n. 12763; Cass. 10.8.2016 n. 16924 e n. 16926; Ordinanze 29.10.2010 n. 22212 e 28.11.2014 n. 25313,

Studio legale associato: la presunzione di autonoma organizzazione può essere vinta
L’esercizio in forma associata di una professione è una circostanza di per sé idonea a far presumere l’esistenza di un’autonoma organizzazione di strutture e mezzi, anche se non di particolare rilevanza economica, e dell’intento di avvalersi della reciproca collaborazione e delle reciproche competenze, così da ritenere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente dello studio. Lo studio associato deve, pertanto, essere assoggettato ad IRAP, a meno che il contribuente non dimostri che tale reddito è derivato dal solo lavoro professionale dei singoli associati.

Cass. 31.5.2016 n. 11327. Conforme Cass. 27.2.2014 n. 4663; Cass. 28.1.2015 n. 1662

Studio associato – ricorre l’obbligo IRAP se insieme si è più forti
Per quanto la pronuncia sia nel senso dell’assoggettamento ad IRAP dello studio associato, è assai rilevante poiché chiarisce che ai fini dell’esonero dall’imposta, il professionista che sia inserito all’interno di uno studio associato deve dimostrare di non fruire dei benefici derivanti dal far parte dell’associazione medesima come, ad esempio, le sostituzioni in attività materiali e professionali da parte di colleghi, l’utilizzazione della segreteria, la possibilità di colloqui personali o riunioni, l’utilizzazione di servizi collettivi. In caso contrario, il professionista deve ritenersi soggetto passivo di imposta.

Cass. 10.7.2008 n. 19138;

Studio associato – ricorre l’obbligo IRAP se c’è sinergico potenziamento
Lo studio associato è soggetto ad IRAP quando l’esercizio in comune dell’attività professionale, pur non configurando un centro di interessi dotato di autonomia strutturale e funzionale (stante il carattere strettamente personale e fiduciario dell’esercizio delle professioni), dia luogo ad un insieme di mezzi e strutture (immobili, mobili, macchinari, servizi, collaboratori) tale che il “reddito” da sottoporre ad IRAP sia stato almeno potenziato e derivato dalla struttura, e non provenga dal solo lavoro professionale dei singoli

Sentenze 31.5.2016 n. 113271, 3.11.2010 n. 22386, 28.10.2009 n. 22781 e 11.6.2007 n. 13570 e nelle ordinanze 27.2.2014 n. 4663, 26.7.2011 n. 16337, 30.5.2011 n. 11933, 7.6.2010 n. 13716 e 5.2.2008 n. 2715

 

 

In via dirimente si è poi espressa la Corte di Cassazione a SSUU (14.4.2016 n. 7371 e 13.4.2016 n. 7291) affermando il seguente principio di diritto: “presupposto dell’imposta regionale sulle attività produttive è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo scambio ovvero alla prestazione di servizi; ma quando l’attività e’ esercitata dalle società e dagli enti, che siano soggetti passivi dell’imposta a norma del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 3, comprese quindi le società semplici e le associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni – essa, in quanto esercitata da tali soggetti, strutturalmente organizzati per la forma nella quale l’attività è svolta, costituisce ex lege, in ogni caso, presupposto d’imposta, dovendosi perciò escludere la necessità di ogni accertamento in ordine alla sussistenza dell’autonoma organizzazione”.

 

Ma la questione sembra non essersi definitivamente conclusa.

 

Studi associati – La Cassazione distingue

La recente Ordinanza 13 dicembre 2021, n. 39578 della suprema Corte, fornisce degli importanti punti di riferimento per comprendere l’obbligo o meno di assoggettamento ad Irap degli studi associati.

Preliminarmente la Suprema corte ribadisce che con le sentenze a Sezioni Unite 14.4.2016 n. 7371 e 13.4.2016 n. 7291, risolvendo il relativo contrasto giurisprudenziale, è stato affermato che le associazioni professionali, gli studi associati e le società semplici esercenti attività di lavoro autonomo sono sempre soggetti ad IRAP, indipendentemente dalla struttura organizzativa della quale si avvalgono per l’esercizio dell’attività, poiché in base al d.lgs. n. 446 del 1997, art. 2, secondo periodo «l’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto di imposta», dovendosi, quindi, prescindere dal requisito dell’autonoma organizzazione.

Ebbene, tenuto conto che lo stesso D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 3, comma 1, lett. c), contempla, tra i soggetti passivi d’imposta, le società semplici esercenti arti e professioni e quelle ad esse equiparate (in buona sostanza, le associazioni professionali e gli studi associati), ne deriva il relativo assoggettamento ad Irap.

Senonché la Corte, nel respingere l’appello dell’Agenzia delle entrate, eccepisce che l’Ufficio non ha smentito l’ulteriore assunto, fatto proprio dalla CTR, secondo cui, nel caso di specie, i due professionisti svolgevano le rispettive attività in modo autonomo. A tale riguardo, La Corte ha richiamato la sentenza n. 27843 del 31 ottobre 2018 la quale ha stabilito che «l’eventuale esclusione da IRAP delle società semplici (esercenti attività di lavoro autonomo), delle associazioni professionali e degli studi associati è subordinata unicamente alla dimostrazione che non viene esercitata nessuna attività produttiva in forma associata. In altre parole, va provato che il vincolo associativo non si è, in realtà, costituito»

Come vedremo oltre, questa sentenza n. 27843 è stata però utilizzata dalla Corte solo per acquisire (l’effimero) principio della possibilità di prova contraria da parte dello studio associato, poiché entrando invece nel merito della citata sentenza n. 27843 i contenuti riferiti alla prova contraria sono disarmanti (e probabilmente inesistenti).

In conclusione richiamando una ulteriore ordinanza (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 30873 del 26/11/2019) la Corte ha concluso che «L’esercizio di arti e professioni in forma societaria, così come mediante associazioni senza personalità giuridica, costituisce “ex lege” presupposto dell’imposta regionale sulle attività produttive, senza che occorra accertare in concreto la sussistenza di un’autonoma organizzazione, questa essendo implicita nella forma di esercizio dell’attività, salva la facoltà del contribuente di dimostrare l’insussistenza dell’esercizio in forma associata dell’attività stessa.».

Insomma, la norma agisce salvo prova contraria. E la Corte ha accolto il ricorso dello studio associato (ma solo per un cavillo) posto che questo ha fornito gli elementi che a loro dire avrebbero dimostrato il non esercizio di fatto in forma associata della professione, ma l’Ufficio e la Commissione tributaria non li hanno proprio esaminati, poiché hanno ritenuto inutile farlo alla luce della presunzione (a loro dire assoluta) di debenza dell’Irap dell’attività professionale svolta in forma associata.

Dunque, tutto sembra partire dalla illuminata citata sentenza n. 27843 del 31 ottobre 2018 che ha aperto un varco. Ma non è così, a ben leggere i contenuti. Vediamo come è andata.

 

Sentenza n. 27843 del 31 ottobre 2018 – la prova diabolica

L’agenzia delle entrate (aveva negato il rimborso Irap ad una associazione costituita da tre avvocati, padre ultraottantenne e due figli, con attività svolta presso l’abitazione) avendo eccepito che:

  • l’associazione tra professionisti, secondo la giurisprudenza di legittimità, fa conseguire ai suoi aderenti utilità altre ed aggiuntive rappresentate dai vantaggi organizzativi (sostituzioni nell’attività, utilizzazione di locali comuni, utilizzazione di mezzi, apparecchiature e servizi collettivi), che determinano l’incremento della ricchezza privata;
  • nel caso d specie, non rilevavano le ragioni per cui si era inteso creare la struttura associativa, e al di là che della stessa facciano parte professionisti tra loro in rapporti di parentela, rileva la circostanza che l’associazione contiene in sé l’autonoma organizzazione che costituisce presupposto impositivo;
  • ancora, nel caso di specie, benché l’attività si svolga presso l’abitazione (di cui però, si precisa in sentenza, non è dato sapere quante stanze siano destinate all’esercizio della professione), ciò non esclude per la CTR la comune utilizzazione dei locali tra i tre professionisti, con reciproci vantaggi organizzativi ed oltre a ciò, dall’esame dei quadri delle dichiarazioni rese per gli anni di imposta chiesti a rimborso, emerge anche che in ciascun anno compaiono compensi a terzi e beni strumentali di valore significativo i quali, si legge in sentenza, unitamente al principio di base esposto, concorrono a creare quella autonoma organizzazione che costituisce il presupposto dell’imposta.

La difesa dei ricorrenti si era basata sulle seguenti argomentazioni.

La presunzione di assoggettamento ad Irap è suscettibile di prova contraria dimostrando che il reddito IRAP di cui si chiede il rimborso non è derivato né è stato potenziato dalla struttura così come organizzata, essendo unicamente riconducibile al lavoro professionale dei singoli solo formalmente associati tra loro, in quanto;

  • conferimento degli incarichi sempre singolarmente ad personam;
  • totale assenza di spese per prestazioni di lavoro subordinato e per collaboratori;
  • assenza di locali specificamente adibiti a studio, atteso l’uso promiscuo dell’abitazione;
  • esistenza di quei soli beni strumentali strettamente indispensabili per l’esercizio della professione.

Inoltre, l’associazione professionale lamenta il fatto che la CTR non ha tenuto conto delle ragioni sottese alla necessità di costituire uno studio associato tra il padre e i figli (il padre, oggi ultraottantenne, aveva quali unici due committenti due note compagnie di assicurazioni che conferiscono sì gli incarichi ad personam, ma pretendono per motivi attinenti alla loro organizzazione interna di avere sempre un unico referente, in termini di fatturazione e pagamento).

Inoltre, è evidente che in assenza di costituzione dello studio associato, i tre professionisti avrebbero in ogni caso beneficiato di quei vantaggi che la CTR ha ritenuto invece sussistenti per il solo fatto dell’esistenza dello studio associato, essendo notorio che in assenza di una formale associazione, si verifica sempre che il padre si avvalga a titolo gratuito per le incombenze derivanti dall’esercizio della professione forense, dell’ausilio dell’opera dei figli e viceversa, essendo parimenti notorio il fatto che avendo il padre a disposizione l’appartamento adibito promiscuamente a studio, ne consenta l’uso gratuito ai figli per l’esercizio della medesima professione.

In conclusione, lo studio associato ricorrente afferma il principio che la presunzione di assoggettamento ad Irap vale in termini assoluti solo per i redditi di impresa e non per quelli di lavoro autonomo, dovendosi, in ogni caso, per questi ultimi, verificare se detto reddito deriva unicamente dal lavoro dei singoli professionisti o se sia stato almeno potenziato dalla struttura autonomamente organizzata che, nel caso degli studi associati è lecito presumere ma che non è detto debba sempre e comunque esistere.

Facciamole breve: come è andata a finire?

La Cassazione ha respinto il ricorso dello studio associato poiché “le doglianze sono del tutto prive di pregio, in quanto articolate sostanzialmente sull’orientamento della giurisprudenza, minoritaria, come visto, disatteso dalle Sezioni Unite di questa Corte”.

D’altronde, conclude la sentenza “la prova contraria può avere qui ad oggetto non l’insussistenza dell’autonoma organizzazione nell’esercizio in forma associata dell’attività, ma piuttosto l’insussistenza dell’esercizio in forma associata dell’attività stessa”.

Dunque, l’eventuale esclusione da IRAP delle società semplici (esercenti attività di lavoro autonomo), delle associazioni professionali e degli studi associati è subordinata unicamente alla dimostrazione che non viene esercitata nessuna attività produttiva in forma associata. In altre parole, va provato che il vincolo associativo non si è, in realtà, costituito.

In definitiva se questa è l’unica prova contraria non si comprende come possa essere dimostrato che il vincolo associativo non si è mai costituito, se l’associazione professionale si è costituita con atto scritto e ha quanto meno una propria partita Iva e le fatture sono emesse dallo studio associato.

 

I compensi degli amministratori e sindaci dello studio associato

Completamente non investigata in giurisprudenza la problematica della soggettività IRAP dei compensi di amministratori, revisori o sindaci fatturati da uno studio associato.

Per quanto sia una ipotesi non frequente, posto che usualmente tali compensi vengono fatturati dal diretto interessato per il tramite della propria partita IVA anche a motivo della responsabilità personale che attiene all’incarico, va detto che adottare un principio traslativo che veda il non assoggettamento ad imposta di tali compensi, nell’ambito dello studio associato perché l’incarico è personale è quanto meno rischioso.

Un motivo certamente sufficiente, d’ora in poi, per fatturare il compenso singolarmente e non tramite l’associazione professionale.