L’Irpef, la flat tax e la politica del “piccolo è bello”

Tassa piatta contro imposta sui redditi delle persone fisiche. Lavoratori dipendenti contro autonomi. Detrazioni contro forfettario. Tutte contrapposizioni che generano una visione distorta della materia fiscale. E contribuiscono ad alimentare l’iniquità di un sistema che disincentiva investimenti e crescita dimensionale e premia il nanismo

Di Andrea Dili, Da Il Libero Professionista Reloaded #10

Da qualche anno a questa parte il dibattitto pubblico sulla riforma fiscale si è polarizzato sulla contrapposizione tra fautori della cosiddetta flat tax e sostenitori del tradizionale sistema ad aliquote crescenti su scaglioni d’imposta cui è ispirata l’Irpef. Una polarizzazione che se per un verso ha contribuito a focalizzare l’attenzione degli addetti ai lavori quasi esclusivamente sul modello di imposizione sui redditi delle persone fisiche – relegando alla marginalità questioni che meriterebbero maggiore attenzione quali, ad esempio, il riequilibrio del rapporto tra amministrazione fiscale e contribuente, la riforma della giustizia tributaria, la riduzione degli adempimenti che gravano su contribuenti, professionisti e imprese -, per l’altro ha concorso a generare nell’opinione pubblica una percezione distorta della materia fiscale attraverso la “falsa” semplificazione di fattispecie assai complesse e articolate.

Quest’ultimo fenomeno – spinto da media generalisti a caccia di uno “zerovirgola” di share o di un incremento delle tirature – è perfettamente rappresentato dall’assioma secondo cui l’applicazione di un modello flat in luogo della tradizionale Imposta sui redditi delle persone fisiche darebbe inevitabilmente origine a un sistema meno progressivo. Dimenticando che la progressività dell’imposta è determinata non soltanto dall’aliquota o dal complesso di aliquote applicate ma anche dalla dinamica delle detrazioni: tant’è che, teoricamente, una flat tax con detrazioni elevate potrebbe risultare addirittura più progressiva dell’attuale Irpef. Fermo restando, è opportuno precisarlo, che non è questo il caso del regime forfettario, introdotto dal governo Renzi e sensibilmente ampliato dai successivi interventi del governo Conte 1 e, infine, del governo Meloni.

Che cosa dice la manovra

In particolare, la legge di bilancio 2023 dedica due specifiche norme alla flat tax: la prima allarga la platea del regime forfettario, elevando da 65mila a 85mila euro il limite di accesso calibrato sull’ammontare dei ricavi/compensi annui; la seconda, nota come flat tax incrementale, introduce, per il solo anno 2023, una imposta sostitutiva dell’Irpef (e delle relative addizionali) sui redditi incrementali rispetto a quelli conseguiti nei tre anni precedenti.

Tali interventi, che evidentemente non rappresentano una novità assoluta, si collocano in un contesto già profondamente inquinato dalla sottrazione di base imponibile all’Irpef, fenomeno causato da una produzione legislativa fiscale che negli ultimi 15 anni si è distinta per il varo di una molteplicità di imposte sostitutive di volta in volta destinate a ben selezionate categorie di contribuenti.

In buona sostanza, quindi, la cedolare sui redditi da locazione, l’imposta sostitutiva sui premi di produttività per i dipendenti, il regime forfettario per esercenti attività di impresa o arti e professioni fanno parte della sempre più nutrita famiglia delle imposte flat, ovvero di quelle che attuano la tassazione attraverso l’applicazione di una aliquota proporzionale secca in luogo dell’Irpef. Il secondo fenomeno che ha caratterizzato (negativamente) l’evoluzione del modello di imposizione sui redditi delle persone fisiche è endogeno alla stessa Irpef e si sostanzia nell’attribuzione di bonus (oggi trasformati in detrazioni) a favore dei soli percettori di reddito di lavoro dipendente.

Addio equità orizzontale

Dall’interazione di tali politiche, volte più alla ricerca del consenso che all’equilibrio del sistema, non può che uscirne un quadro estremamente frammentato dove, per effetto di una serie di variabili che di volta in volta penalizzano o favoriscono specifiche categorie di contribuenti, il carico fiscale può risultare assai disomogeneo anche tra soggetti che realizzano il medesimo ammontare di reddito, con buona pace del principio di equità orizzontale.

Per tali ragioni, di fronte a un sistema in cui il pagamento della medesima imposta a parità di reddito imponibile rappresenta più l’eccezione che la regola, appare surreale dividersi acriticamente tra sostenitori e detrattori della flat tax.

Tant’è che, numeri alla mano, se il forfettario determina importanti vantaggi fiscali per imprenditori e professionisti con redditi medi e medio alti rispetto ai titolari di reddito di lavoro dipendente, l’attuale Irpef genera le medesime disparità a parti invertite, con l’aggravante che la sperequazione si concentra sui redditi bassi e medio bassi.

La dialettica dipendenti contro autonomi, quindi, appare fondata su due anomalie (bonus e forfettario) di segno opposto, anomalie che, analogamente agli errori arbitrali, non si compensano ma contribuiscono ad aumentare l’iniquità del sistema.

Le distorsioni del forfettario

Peraltro, se si relega la critica al forfettario al mero confronto tra autonomi e dipendenti si rischia di non coglierne i principali effetti distorsivi, che si concentrano essenzialmente all’interno del mondo del lavoro autonomo imprenditoriale e, soprattutto, professionale.

È noto, infatti, che non tutte le persone fisiche in partita Iva possono accedere al forfettario, vuoi per vincoli normativi, vuoi per ragioni di convenienza dovute al meccanismo di forfettizzazione dei costi. In estrema sintesi il sistema spinge verso il forfettario i soggetti che utilizzano strutture molto “leggere” ed esclude coloro che si avvalgono di dipendenti e collaboratori, investono nell’attività e sostengono costi di funzionamento significativi. In buona sostanza, l’attuale modello di imposizione sui redditi di imprenditori e professionisti disincentiva investimenti, assunzioni e crescita dimensionale e organizzativa. Non proprio l’ideale per un sistema estremamente fragile e frammentato. Ma vuoi mettere con la politica del “piccolo è bello”?