Tra dichiarazione dei redditi tardiva e integrazioni

di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi

Tra dichiarazione dei redditi tardiva e integrazioni

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Tra dichiarazione dei redditi tardiva e integrazioni

Premessa

Il termine dichiarativo per l’anno 2023 è appena decorso, con molteplici problematiche dovute a fattori “esterni”, quali il CPB. Proprio l’adesione al concordato ha fatto comprendere come sia complessa la materia delle dichiarazioni integrative, posto che il legislatore, nel riaprire i termini di adesione, ha espressamente stabilito che tale opzione fosse possibile solo a vantaggio di coloro che avevano adempiuto all’obbligo dichiarativo entro il termine ordinario del 31 ottobre 2024 (per i periodi d’imposta coincidenti con l’anno solare), peraltro con la “sotto condizione” di non poter modificare, a proprio vantaggio, l’esito imponibile. Insomma, una doppia condizione “speciale”, che però non si allinea alle opportunità che invece la normativa di “base” attribuisce ai contribuenti che devono modificare/adempiere/integrare.

Il fisco consente diverse soluzioni, spaziandosi tra dichiarazione “tardiva” e dichiarazione “integrativa”, con un assunto di base assolutamente insuperabile: deve essersi in presenza di una dichiarazione originaria validamente prodotta, intendendosi per tale anche le dichiarazioni presentate   entro i 90 giorni dal termine ordinario di scadenza (per la dichiarazione riferita al 2023, avendosi il termine iniziale del 31 ottobre 2024, la dichiarazione nei 90 gg successivi deve essere prodotta al massimo entro il 29 gennaio 2024).

Eventuali dichiarazioni successive ai predetti 90 giorni, pur essendo recepite dal sistema dell’anagrafe tributaria (con utilizzo ai fini della liquidazione delle imposte), sono considerate tecnicamente “omesse”, con implicazioni non particolarmente simpatiche (e pertanto da evitare).

E’ il caso, pertanto, di osservare le diverse opportunità che si offrono al contribuente, in modo da comprendere non soltanto le opzioni fattibili, ma anche le conseguenze complessive (aspetti sanzionatori, ipotesi accertative, decadenze dal CPB e dal ravvedimento per il passato).

 

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Le dichiarazioni tardive 

Entro i 90 giorni successivi alla scadenza ordinaria è possibile produrre una dichiarazione dei redditi che è considerata “valida”, evitando l’addebito della dichiarazione omessa. Per l’anno 2023 bisogna però subito fare un distinguo fondamentale: chi non ha adempiuto al 31 ottobre 2024 è sicuramente escluso dall’adesione al CPB per il biennio 2024/2025 (o solo 2024 per i forfettari) e, conseguentemente (se soggetto ISA), dal ravvedimento per gli anni dal 2018 al 2022.

Per i soggetti non interessati a tali due istituti invece non cambia assolutamente nulla rispetto al passato, avendo il contribuente questa tempistica ulteriore per qualsiasi riflessione finale. Si pensi, ad esempio, al mondo contorto dei patrimoni esteri, laddove il monitoraggio fiscale eseguito per il tramite del quadro RW nei primi 90 giorni è esposto ad una mera sanzione fissa di 250 euro (ravvedibile nella misura di 1/9, come precisato dalla risoluzione n. 82 del 2020).

La dichiarazione tardiva è esposta ad un unico obolo: provvedere al versamento della sanzione prevista per il ritardo, pari a 250 euro (in questo caso ravvvedibile nella misura di 1/10, con quindi versamento di 25 euro). Sul fronte dei versamenti invece bisogna affidarsi al classico inciso “dipende”, nel senso che il contribuente deve verificare se ha, o meno, rispettato le tempistiche normative (che solitamente anticipano l’adempimento dichiarativo, almeno per il saldo ed il primo acconto).

Due sono pertanto le situazioni che possono concretizzarsi:

  1. Il contribuente ha già adempiuto regolarmente ai versamenti. In questa ipotesi è sufficiente inviare la dichiarazione e versare la sanzione ravveduta per il ritardo afferente il modello;
  2. Il contribuente non ha adempiuto, perché attendeva la completa e corretta liquidazione delle imposte a debito. In tale seconda ipotesi si pone anche l’ulteriore problema di ravvedere i versamenti, con dunque sanzioni per omessi/ritardati versamenti che si aggiungono alla sanzione afferente il modello. Sul piano pratico il contribuente invia la dichiarazione, versa la sanzione ravveduta di 25 euro riferita al modello e poi provvede a versare le imposte, maggiorate di interessi e sanzioni.

Sulle sanzioni, però, la dichiarazione relativa al 2023 riserva ulteriori sorprese, perché a decorrere dagli errori commessi dal primo settembre 2024 trovano applicazione le nuove sanzioni e le nuove tecniche di ravvedimento (che, ad onor del vero, per gli omessi versamenti non sono modificati di molto, posto che solitamente nel giro di un anno dall’inadempimento giunge il controllo del fisco ai sensi dell’art. 36 bis del DPR 600/73).

Il contribuente dovrà pertanto gestire una sorta di doppio binario ed anche al riguardo è bene essere pratici, in quanto:

  • Per le omissioni entro il 31 agosto 2024 (si pensi al saldo e al primo acconto), applicherà le vecchie sanzioni dell’art. 13 del D. Lgs. 471/97, che sono pari al 30% a regime (ossia oltre 90 giorni di ritardo), mentre si riducono alla metà (15%) per i ritardi tra 15 e 90 giorni e si riducono ulteriormente ad 1/15 nei primi 15 giorni di ritardo (ossia sanzione crescente dell’1% per ogni giorno di ritardo). Sul fronte ravvedimento si applica la vecchia norma che però, come detto, nel primo anno di ritardo non è modificata: quindi riduzione ad 1/10 della sanzione nei primi 30 giorni di ritardo, poi riduzione ad 1/9 per ritardi tra 31 e 90 giorni e riduzione ad 1/8 per ritardi oltre 90 giorni ed entro il termine dichiarativo successivo (rammentandosi, come anticipato, che solitamente il controllo ex art. 36 bis giunge in meno di un anno dall’inadempimento);
  • Per le omissioni dal 1° settembre 2024 le sanzioni si modificano. Infatti, il nuovo art. 13 del D. Lgs. 471/97 prevede una sanzione del 25% a regime (ritardi oltre 90 giorni), una sanzione ridotta alla metà del 12,5% con ritardi tra 15 e 90 giorni e una sanzione ridotta ad 1/15, ma con il risultato “anomalo” dello 0,83% al giorno, nei primi 15 giorni. Il ravvedimento, come detto, resta uguale con riduzioni variabili da 1/10 ad 1/8 entro un anno di ritardo.

Visto che se ne parla, eseguiamo qualche ulteriore precisazione sul fronte “versamento”. Se il contribuente, eventualmente, adempie solo alle imposte, la data del versamento fissa il termine per il calcolo degli interessi e per l’individuazione delle sanzioni. Ad esempio, un versamento con ritardo di 18 giorni avrà sanzione del 15% (o del 12,5% con le nuove misure). Peraltro, se successivamente decide di ravvedere, dovrà in ogni caso fare riferimento alla sanzione fissata alla data di versamento, ma avrà la riduzione connessa alla tempistica entro la quale conclude il ravvedimento: ad esempio, per il predetto ritardo di 18 giorni del versamento, l’eventuale ravvedimento completato dopo 100 giorni, la riduzione della sanzione del 15% (o del 12,5%) sarà pari ad 1/8 (e non ad 1/10, riduzione che avrebbe avuto in caso di ravvedimento tempestivo alla data di versamento).

Infine, resta possibile il ravvedimento frazionato, ossia il pagamento di una parte delle imposte, inclusi però le sanzioni e gli interessi: in questa ipotesi il ravvedimento è perfezionato per la frazione di imposta versata, ma sul restante importo, laddove nel frattempo dovesse giungere un controllo del fisco, resteranno applicabili le sanzioni piene.

 

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Integrativa entro i 90 giorni successivi

Nei 90 giorni successivi alla scadenza ordinaria nulla vieta che il contribuente già si renda conto di qualche errore commesso. In merito il più grande problema è comprendere se si è in presenza o meno di un errore “esposto” alla contestazione di dichiarazione infedele. La differenza teorica di fondo la si rinviene nel citato art. 13 del D. Lgs. 471/97, secondo cui la sanzione per “omesso/ritardato” versamento attiene agli errori controllabili dal fisco in forza degli articoli 36 bis del DPR 600/73 e 54 bis del DPR 633/72 (liquidazione automatica delle dichiarazioni) e articolo 36 ter del DPR 600/73 (errori formali della dichiarazione, riferiti ai crediti precedenti, alle ritenute e agli oneri detraibili o deducibili). Da ciò si deriva che qualsiasi fattispecie diversa è annoverabile nell’alveo delle “infedeli dichiarazioni” ed è esposta alle relative sanzioni (di cui nel prosieguo si dirà).

In forza di tale differenza di fondo, la conclusione “formale” legata alla norma sarebbe quella di considerare sempre “dichiarazione infedele” ogni integrazione con correzione di un errore diverso da quelli rientranti nell’art. 13 del D. Lgs. 471/97 (si pensi alla variazione di un ammortamento o di costo non deducibile).

Il tema è stato nel passato affrontato dalla circolare n. 42 del 2016, che ha inteso evitare una situazione di palese ingiustizia tra:

  • chi non adempie nei termini e sfrutta i 90 giorni successivi rimanendo comunque esposto alle sanzioni contenute degli omessi versamenti;
  • chi, invece, adempie nei termini originari (quindi è teoricamente più virtuoso del primo contribuente), ma commettendo un errore è poi esposto alle maggiori sanzioni da infedele dichiarazione pur rimediando nei medesimi 90 giorni successivi.

La circolare n. 42 del 2016 ha pertanto raggiunto la seguente conclusione: chi integra entro i 90 giorni successivi resta in ogni caso esposto alle sanzioni di cui all’art. 13 del D. Lgs. 471/97 (quindi quelle in precedenza esposte per gli omessi/ritardati versamenti) in riferimento all’esito dell’integrativa, mentre poi dovrà versare anche la sanzione di 250,00 euro per il “ritardo del modello” (in questo caso ritardo virtuale riferito al “modello corretto”), ravvedibile ma nella misura di 1/9 (non esistendo, come per la dichiarazione tardiva, la previsione esplicita di poter ridurre ad 1/10 la sanzione in questione).

Insomma, una soluzione “articolata”, ma di assoluto buon senso (rispetto alla quale valgono tutte le considerazioni precedenti circa le modalità di versamento e le opzioni per il contribuente).

 

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La riforma come impatta sulla storica interpretazione

La domanda da porsi quest’anno è però la seguente: tutto questo resta valido, oppure la circolare n. 42 del 2016 è stata implicitamente superata dalla riforma dell’assetto sanzionatorio per le dichiarazioni infedeli? Su tale fronte, infatti, il legislatore ha previsto una diversa articolazione della sanzione, dovendo distinguere tra “ante” avvio di un controllo e “post” controllo avviato.

Procediamo con ordine. La dichiarazione integrativa e la relativa possibilità di eseguire un ravvedimento è fattibile a due condizioni:

  • Presenza di una dichiarazione originaria valida;
  • Esecuzione del ravvedimento entro l’azione di accertamento del fisco (il ravvedimento è infatti stoppato dalla notifica di un atto impugnabile).

Da quanto sopra deriva anzitutto che il ravvedimento è eseguibile anche durante l’azione di controllo ed in ogni caso in tutto l’iter endoprocecimentale che conduce all’atto impugnabile (in termini pratici, oggi anche la presenza di un PVC o di uno schema d’atto non bloccano il ravvedimento).

Fatte queste premesse, vediamo cosa è cambiato in tema di dichiarazione infedele. Rispetto alla “vecchia” sanzione del 90% (che, rammentiamo, troverà applicazione per tutte le violazioni commesse fino al 31 agosto 2024 incluso), si è transitati ad un sistema di 2 livelli:

  • Sanzione pari al doppio di quella di cui all’art. 13 del D. Lgs. 471/97 se il ravvedimento è operato ante avvio controllo;
  • Sanzione del 70% se ha avuto avvio un controllo (precisandosi, peraltro, che restano valide le variazioni previste in alcune circostanze, come le sanzioni raddoppiate in caso di cedolare secca e di paesi black list o le maggiorazioni per le situazioni fraudolente).

In termini pratici, il legislatore anche per le dichiarazioni infedeli ha previsto una costruzione della sanzione progressiva nella prima fase ed in connessione alla rapidità con cui si rimedia al problema, stabilendo che si applica una sanzione di 1,66% al giorno nei primi 15 giorni di ritardo, poi una sanzione del 25% per ritardi tra 15 e 90 giorni ed infine una sanzione del 50% per ritardi superiori a 90 giorni. Tali sanzioni si applicano fino a che il contribuente non subisce un avvio di un controllo (ad esempio, apertura di una verifica o invito a produrre documenti).

Il cambio rispetto al passato è enorme e la domanda riguardante la circolare n. 42 del 2016 appare del tutto legittima: che accade nell’ipotesi di integrativa nei 90 giorni? A ben vedere, rispetto alla data di versamento del saldo e del primo acconto sono trascorsi più di 90 giorni di ritardo; forse solo in riferimento al secondo acconto si incrocia una tempistica minore (ad esempio, integrativa del 15 dicembre, con ritardo sul secondo acconto di 15 giorni nel caso di versamento da integrare).

Le alternative sono due:

  • Resta valida la circolare n. 42 del 2016 e, pertanto, per le integrative nei primi 90 giorni si continuano ad applicare le sanzioni di cui all’art. 13 del D. Lgs. 471/97, senza raddoppio (per il predetto versamento del secondo acconto al 15 dicembre, si avrebbe la sanzione del 12,5%, ravvedibile con riduzione ad 1/10);
  • Scattano le nuove previsioni normative, si superano i chiarimenti del documento di prassi e si applicano le sanzioni raddoppiate: pertanto si avrà sanzione del 25%, con riduzione ad 1/10.

Ora, è evidente che sarebbe utile un chiarimento, ma lo stesso non è stato affatto dato. Mantenere valida la circolare n. 42 del 2016, soluzione che conserverebbe un sano buon senso, significa di fatto limitare fortemente l’applicazione della nuova sanzione per le infedeli dichiarazioni, andandosi quasi in automatico alla sanzione del 50%. A ben vedere, infatti, il raddoppio delle altre sanzioni sarebbe impossibile per i primi 15 giorni (posto che, rimanendo al caso concreto, fino al 29 gennaio 2025 si applicherebbero le sanzioni non raddoppiate come stabilito dalla circolare n. 42 del 2016) e nel caso di integrativa oltre i 90 giorni (ad esempio, 2 febbraio), la sola ipotesi di ritardo entro i 90 giorni si avrebbe con riguardo al secondo acconto (saremmo nell’esempio a 63 giorni di ritardo), con sanzione a questo punto al 25% ravvedibile ad 1/9. In tutte le altre ipotesi di versamento si avrebbe in automatico la sanzione del 50%.

Delle due, l’una:

  • il legislatore era ben consapevole che solo in pochi casi possono trovare applicazione le sanzioni inferiori al 50%,
  • ovvero ha voluto superare implicitamente la circolare n. 42 del 2016.

In questo delirio, come comportarsi?

A nostro avviso è possibile applicare ancora la circolare n. 42 del 2016 e non versare le sanzioni raddoppiate; in caso di eventuali futuri chiarimenti, si chiederà l’applicazione della circolare 27 del 2013 con “correzione” degli importi del ravvedimento (pur restando fiduciosi: alla fine qualcuno ragionevole dirà che la circolare 42 del 2016 trova ancora applicazione).

 

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Dichiarazione integrativa oltre i 90 giorni

Oltre i 90 giorni dalla scadenza la situazione interpretativa si “normalizza”, parlandosi esclusivamente di dichiarazione integrativa connessa all’infedele dichiarazione. A decorrere dal primo settembre 2024 è però cambiato totalmente lo scenario sanzionatorio, posto che gli errori dichiarativi commessi dopo tale data, se rientranti nell’alveo delle infedeli dichiarazioni, sono sottoposti a diverse conseguenze a seconda che sia stato avviato o meno un’attività di controllo da parte del fisco.

Procedendo con ordine:

  • Per le integrazioni ante avvio del controllo, intendendosi per tale, ad esempio, l’accesso iniziale di una verifica o ancora l’invito a produrre documentazione in ufficio, le sanzioni applicabili sono pari al doppio di quelle stabilite dall’articolo 13 del D. Lgs. 471/97. Come detto, fatta eccezione per rari casi, questo significa che la sanzione da infedele dichiarazione generalmente sarà del 50%, ravvedibile (è appena il caso di ricordare che vi sono ipotesi con sanzioni specifiche, come nel caso di redditi realizzati in c.d. paesi black list ovvero di omissione di redditi da cedolare secca);
  • Nel caso di avvio del controllo, a prescindere dallo stato dello stesso (quindi si potrebbe ancora essere in una fase di non conclusione dello stesso), la sanzione di base della dichiarazione infedele si attesta al 70%. Si rammenta che il ravvedimento resta sempre possibile fino a che la fase endoprocedimentale dell’accertamento non si esaurisce (pertanto, anche la notifica del PVC o dello schema d’atto non bloccano tale opportunità, ma in considerazione dell’avvio del controllo ormai la sanzione base dell’infedele dichiarazione è più alta).

Fatta la distinzione in ordine alle sanzioni applicabili, bisogna poi osservare le novità in termini di ravvedimento. Detto che il ravvedimento resta identico per gli interventi eseguiti entro il termine di presentazione della dichiarazione successiva (come in precedenza descritto, si ottiene la riduzione ad 1/10 nel caso di correzioni entro 30 giorni, poi riduzione ad 1/9 fino a 90 giorni di ritardo ed infine riduzione ad 1/8), la vera novità attiene alle riduzioni successive, dove si incrocia solo la riduzione ad 1/7 per tutta la durata del ravvedimento e fino a che non viene notificato un atto del controllo (a breve si dirà). Nel passato, la riduzione di 1/7 era valida fino alla seconda dichiarazione successiva alla commissione dell’errore e poi si scendeva ad 1/6. Per le violazioni post 31 agosto 2024, dunque, si incrocia solo la riduzione ad 1/7, almeno fino a quando non arriva un atto di controllo (non di accertamento, che come detto stoppa il ravvedimento). In particolare:

  • Se è notificato uno schema d’atto, non preceduto da un PVC, la riduzione sarà ad 1/6;
  • Se è notificato un PVC, la riduzione possibile è ad 1/5 (rammentandosi che, di contro, è possibile anche l’accettazione integrale del PVC con riduzione delle sanzioni ad 1/6);
  • Se, infine, si ha uno schema d’atto successivo al PVC, la riduzione sarà ad 1/4.

Trattasi sicuramente di un sistema complesso, che peraltro è ulteriormente complicato dalla circostanza che nei prossimi anni avremo la coesistenza di un “doppio binario”, perché per le dichiarazioni infedeli del passato (ante 1° settembre 2024), continua ad applicarsi il vecchio sistema. Giusto per farsi del male, se il prossimo 20 maggio 2025 il contribuente decide di correggere, per lo stesso errore, la dichiarazione riferita al 2020 prodotta ad ottobre 2021 e la dichiarazione riferita al 2023 prodotta ad ottobre 2024 dovrà ricordarsi che:

  • Per l’anno 2020, la sanzione è del 90% sempre, anche in caso di controllo avviato, con riduzione ad 1/6 (pur senza schema d’atto), ovvero ad 1/5 in caso di PVC notificato (ed in questa ipotesi, l’arrivo dello schema d’atto non porta alla riduzione ad 1/4);
  • Per l’anno 2023 la sanzione è del 50% ante avvio del controllo, con riduzione ad 1/8, mentre se dovesse essere avviato un controllo la sanzione sale al 70%, con riduzioni ad 1/7 (in assenza di esiti del controllo), ad 1/6 con lo schema d’atto, ad 1/5 con il PVC e ad 1/4 con PVC seguito dallo schema d’atto.

Inutile dire che di una follia simile si sarebbe volentieri fatto a meno.

 

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Implicazioni delle integrazioni

Qualche riflessione conclusiva si rende poi necessaria. In primo luogo è bene rammentare che la presentazione di una dichiarazione integrativa è sottoposta alla tempistica di accertamento riferita all’anno di integrazione, limitatamente agli elementi reddituali corretti.

Dopo di che l’integrativa ha effetti anche ai fini degli ISA, ma soltanto nel caso di “peggioramento” della valutazione dello strumento statistico. Gli eventuali miglioramenti del voto ISA, infatti, non sono ritenuti rilevanti, tranne che nel caso delle integrative eseguite entro il termine dei 90 giorni successivi alla scadenza originaria.

Infine, la produzione dell’integrativa deve essere valutata con attenzione sul fronte del concordato preventivo biennale, posto che l’eventuale modifica di più del 30% delle proposte concordatarie conduce alla decadenza del CPB e, per stretta connessione, anche del ravvedimento speciale sugli anni pregressi.

Insomma, prima di ravvedere/integrare è necessario fare una serie di riflessioni molto ampia, onde evitare di scivolare sulla classica buccia di banana.

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