Un bilancio positivo a metà

Con il 21% degli obiettivi attesi, l’Italia guida la classifica europea delle performance del programma Next Generation EU. Ma non mancano le criticità. La tipologia di interventi messi in campo, i progetti di dubbia utilità o ancora troppo sbilanciati sugli aspetti regolatori e normativi, la complessità dei processi attuativi e la mancanza di risorse tecniche specializzate all’interno della P.A. rischiano di rallentare la corsa verso gli obiettivi concordati con l’Ue.

di Annalisa Giachi, da Il Libero Professionista Reloaded #11

II programma europeo Next Generation EU si articola come noto in 6 pilastri di azione (“pillars”) che sono comuni a tutti i Paesi europei e che nel caso italiano sono stati declinati nelle 6 Missioni. Partendo da questi ambiti comuni di intervento – Digital Transformation, Smart sustainable growth, Social and territorial cohesion, Health and economic social and institutional resilience, Policies for the next generation – la Commissione Europea ha messo a punto uno strumento molto efficace, denominato Recovery and Resilience Scoreboard, che consente di confrontare le performance dei Paesi destinatari delle risorse del programma, sia dal punto di vista finanziario che del raggiungimento dei target e milestones. Come già riportato dall’Osservatorio recovery plan (OREP) sul Sole 24 Ore, i risultati sono ad oggi postivi per l’Italia. Dei 446 Milestone e i Target considerati raggiunti a livello complessivo per il 2022, guida la classifica l’Italia, che ha conseguito il 21% degli obiettivi attesi (151 target e milestone), seguita dalla Spagna con il 20% e dalla Croazia. Ovviamente il dato è condizionato dal fatto che Italia e Spagna sono i paesi che hanno ottenuto maggiore quantità di risorse e dunque hanno una maggiore quantità di M&T da perseguire, ma non era comunque scontata la capacità del nostro Paese di tenere il passo, almeno fino ad oggi.

Una fotografia luci e ombre

Ma cosa è stato fatto concretamente fino ad oggi, a prescindere dagli aspetti procedurali e dai tecnicismi comunitari? Dopo oltre un anno dall’avvio dell’avventura il Pnrr sta davvero cambiando qualcosa per i cittadini? Ci sono risultati concreti che ci consentano di dire che il nostro Paese ha imboccato davvero la strada verso le riforme strutturali, la semplificazione, l’efficienza e soprattutto lo sviluppo? La fotografia – come spesso accade – è fatta di luci ed ombre e l’esercizio che possiamo provare a fare è prendere ad esempio quello che sta accadendo sulle 3 principali linee di investimento del Pnrr: la transizione verde, la transizione digitale e le infrastrutture.

Avanti a piccoli passi

Cominciando dalla transizione verde e dando uno sguardo ai 20 obiettivi perseguiti dal Mase (Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica) nel 2022, alcune riforme importanti sono state avviate, come la Strategia nazionale per l’economia circolare e il Piano nazionale di gestione dei rifiuti e alcuni investimenti vanno nella direzione di aiutare il sistema delle imprese nel difficile cammino verso la transizione: basti pensare alle agevolazioni fiscali per promuovere la competitività dell’idrogeno, l’approvazione degli interventi sulle isole verdi, il nuovo quadro giuridico per gli interventi idrici e i siti orfani. Va però osservato che, sul totale di M&T conseguiti, il 40% riguarda l’emissione di regolamenti, decreti e accordi, il cui impatto reale dipenderà dalla concreta attuazione e dalla capacità di generare effetti in chi deve investire in questi settori. Lo stesso discorso vale per i numerosi interventi di semplificazione normativa, che ovviamente sono benvenuti, con il timore, tuttavia, che restino buoni propositi, incapaci di accelerare davvero la realizzazione di impianti e di opere (come è successo fino ad oggi). L’obiettivo allora più concreto ci sembra quello sulla forestazione urbana che dovrà portare a piantare nelle città metropolitane oltre 1.650.000 di alberi. I bandi sono usciti ma non ancora aggiudicati.

Scommessa aperta

Sul fronte della digitalizzazione le perplessità aumentano. Alcuni obiettivi sembrano senz’altro rilevanti. Pensiamo all’aggiudicazione degli appalti pubblici per i progetti di connessione più veloce, che dovranno consentire di migliorare le infrastrutture digitali del nostro Paese e di colmare il digital gap in alcune aree del Paese. Inoltre, anche l’attivazione della cosiddetta Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND) darà la possibilità a tutti gli Enti di potersi scambiare i dati in modo automatico. Tuttavia, resta ancora da chiarire se questa piattaforma potrà finalmente permettere, ad esempio, a cittadini e imprese di accedere a un servizio senza dover fornire dati che la P.A. già possiede, oppure se si tradurrà nell’ennesimo onere informativo in capo agli Enti, senza alcun beneficio reale per i destinatari finali dei servizi. Altri investimenti convincono ancora meno. La creazione di nuova Agenzia per la cybersicurezza nazionale era davvero indispensabile? Non perché il tema della sicurezza informatica non sia cruciale, come stiamo vedendo in questi giorni di attacchi da parte dei pirati informatici, ma la creazione di nuove “scatole” non è sempre funzionale al perseguimento di tali obiettivi. Allo stesso modo, l’istituzione di 3-I, la nuova società pubblica che avrà il compito di sviluppare e gestire le soluzioni software a supporto della trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione ricorda i passi falsi del passato, dove si è guardato più alla governance delle nuove strutture che non all’erogazione di servizi adeguati ai cittadini.

Eppur si muove

Chiudiamo con il capitolo fondamentale delle infrastrutture, su cui il nostro Paese come noto registra un ritardo storico. Il 2022 per le infrastrutture è stato un anno prevalentemente dedicato alla progettazione e all’avvio delle procedure di gara delle diverse opere, ma alcuni importanti investimenti cominciano ad essere messi a terra. Pensiamo, in particolare, agli investimenti sulla rigenerazione urbana del progetto PINQUA (Programma Innovativo della Qualità dell’Abitare) dove le gare sono state chiuse da Invitalia e la realizzazione delle opere dovrebbe partire a breve; oppure gli interventi sulla Napoli-Bari, in fase attuativa, così come quelli relativi alla realizzazione del sistema europeo di gestione del traffico ferroviario e le nuove concessioni nelle aree portuali. Certamente le risorse messe a terra appaiono ancora insufficienti rispetto ai 61,5 miliardi di euro complessivi di competenza del Ministero delle Infrastrutture, ma l’auspicio è che si possa correre più velocemente anche grazie alle norme di semplificazione previste nel nuovo decreto Pnrr del Governo Meloni.

L’ultimo decreto

Il decreto Pnrr 3, approvato il 16 febbraio 2023 dal Consiglio dei Ministri, prova ad intervenire su Per quanto riguarda le infrastrutture, le risorse messe a terra appaiono ancora insufficienti rispetto ai 61,5 miliardi di euro complessivi di competenza del Ministero delle Infrastrutture, ma l’auspicio è che si possa correre più velocemente alcune delle criticità analizzate, introducendo numerose procedure di semplificazione per le opere pubbliche, l’ambiente, la scuola e l’efficientamento energetico. Le novità introdotte dal decreto riguardano anche la revisione del sistema della governance del PNRR, che viene centralizzato in una nuova Unità di missione a Palazzo Chigi e il rafforzamento della capacità amministrativa dei soggetti attuatori, attraverso la velocizzazione delle procedure di assunzione di nuovo personale. Il Decreto inoltre pone le basi per la definizione di una strategia comune tra PNRR e politiche di coesione, che dovrebbe portare alcune opere realisticamente non realizzabili entro il 2026 a confluire nei fondi strutturali, che potranno essere rendicontati fino al 2029.