Il Green Deal europeo esporta danno ambientale

L’editoriale del presidente della Federazione Italiana Dottori Agronomi e Forestali pubblicato sul numero di novembre della rivista AgriCulture di Andrea Sonnino, presidente FIDAF   Avevamo già accennato in un precedente editoriale e in un articolo pubblicato recentemente sulla rivista “I Tempi della Terra” al pericolo che le politiche agricole europee potessero avere l’effetto di esportare le esternalità negative della
L’editoriale del presidente della Federazione Italiana Dottori Agronomi e Forestali pubblicato sul numero di novembre della rivista AgriCulture

di Andrea Sonnino, presidente FIDAF

 

Avevamo già accennato in un precedente editoriale e in un articolo pubblicato recentemente sulla rivista “I Tempi della Terra” al pericolo che le politiche agricole europee potessero avere l’effetto di esportare le esternalità negative della produzione di alimenti. Di incentivare cioè pratiche agricole più benigne per l’ambiente – o almeno supposte tali – ma meno efficienti dal punto di vista della produttività, con il risultato di ridurre la produzione comunitaria di alimenti e di dover compensare la minore produzione aumentando le importazioni di derrate alimentari da Paesi terzi. L’effetto finale sarebbe quello di spostare all’estero, ma non di ridurre, l’impatto ambientale dei sistemi agroalimentari.

 

Arriva adesso un’autorevole conferma di questa ipotesi nel commento di Fuchs, Brown e Rounsevell Europe’s Green Deal offshores environmental damage to other nations, pubblicato sull’ultimo numero di Nature. I tre autori denunciano infatti il rischio che il Green Deal dell’Unione Europea, che ambisce a convertire l’Europa nel primo continente neutrale per il clima, diventi in realtà un pessimo affare per il pianeta. L’iniziativa Farm to Fork, che ne è parte, ha l’obiettivo di ridurre del 20% l’uso di fertilizzanti e del 50% quello dei fitofarmaci nel prossimo decennio, destinando un quarto della superficie coltivata alla agricoltura biologica. L’Unione Europea programma inoltre di piantare 3 miliardi di alberi e di invertire il declino degli impollinatori. Non viene però stabilito nessun obiettivo in merito alle importazioni di alimenti da Paesi terzi, nei quali le stesse pratiche bandite o disincentivate in Europa sono esplicitamente ammesse. Un esempio? I maggiori fornitori dell’Europa usano più del doppio dei fertilizzanti chimici usati in Europa per la coltivazione della soia (in media 34 kg per tonnellata di prodotto – in Brasile 60 kg per tonnellata – contro 13 kg per tonnellata usati nei nostri campi). La stessa cosa può essere detta per i fitofarmaci, molti dei quali sono vietati in Europa ma legalmente utilizzati nei nostri più importanti partner commerciali.

 

L’Europa è già pesantemente dipendente dalle importazioni per soddisfare la domanda alimentare interna. Lo scorso anno i Paesi della UE hanno importato un quinto del proprio fabbisogno di alimenti vegetali e tre quinti del consumo interno di carne, latte e derivati.  L’Europa è difatti il secondo importatore mondiale di prodotti agroalimentari dopo la Cina. La deforestazione nei Paesi esportatori causata dai consumi europei è stimata ammontare a 11 milioni di ettari. Ed adesso l’adozione dell’iniziativa Farm to Fork rischia di aggravare ulteriormente questo stato di cose.

 

I tre autori del commento pubblicato su Nature concludono che il risultato netto delle politiche comunitarie è quindi quello di esportare danno ambientale, prendendo il merito di politiche interne “verdi”.  Un altro esempio dell’atteggiamento NIMBY (Not In My BackYard): inquinate pure quanto credete, basta che non sia sotto casa mia.

 

I tre ricercatori non si limitano però a denunciare le politiche europee e a sostanziare le loro denunce con fatti e dati, ma avanzano una serie di proposte per rendere il Green Deal congruente con il suo nome. Tra le proposte avanzate: ridurre il consumo europeo di alimenti, considerare a livello mondiale l’impatto ambientale del consumo interno di alimenti, valutandone l’effetto sulla emissione globale di gas climalteranti. Ci sembrano delle proposte molto assennate, che meriterebbero di essere prese seriamente in considerazione dagli organismi Europei.  Ma crediamo che la proposta più pressante sia quella di aumentare la produzione agricola europea e i tre autori indicano la via: adottare pratiche di intensificazione sostenibile, introducendo nuove tecnologie per aumentare la produttività agricola. In particolare, le tecniche di genome editing per sviluppare varietà più produttive e più resistenti alle avversità, e tecnologie di coltivazione senza suolo.

 

Anche aldilà delle considerazioni ambientali, la situazione creata dalla epidemia di COVID 19 assegna importanza strategica alla produzione di alimenti e spinge quindi per una riconsiderazione di politiche che ne determinano la delocalizzazione all’estero. Non possiamo quindi che appoggiare contenuti e proposte dell’articolo di Nature.

 

FUCHS, Richard; BROWN, Calum; ROUNSEVELL, Mark. Europe’s Green Deal offshores environmental damage to other nations. 2020. https://www.nature.com/articles/d41586-020-02991-1