Detassare gli aumenti per spingere la produttività

L'intervento del Presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella, sul Sole24ORE del 20 aprile 2022

L’esigenza di mettere in campo una nuova governance politica ed economica che sappia coniugare sviluppo, produttività e salari deve necessariamente fare i conti con il vertiginoso aumento dell’inflazione, alimentato dai costi energetici e delle materie prime, che erode il sensibilmente il potere d’acquisto di famiglie e lavoratori (come pure di imprese e professionisti). Ed è in questo scenario che la ripresa delle trattative per il rinnovo dei contratti collettivi assume un rilievo decisivo sulla tenuta economica del sistema produttivo e professionale del nostro Paese. Non è casuale, infatti, che il Def 2022 chiami in causa proprio il ruolo delle parti sociali e dei contratti collettivi nelle dinamiche salariali di milioni di lavoratori cui il contratto di lavoro risulta scaduto, in una prospettiva condivisa.

Il tema è al centro delle trattative tra Confprofessioni e le controparti sindacali per il rinnovo del Ccnl degli studi professionali, un settore economico in gravi difficoltà che conta oltre 1 milioni di lavoratori. Al di là degli aspetti normativi, con grande senso di responsabilità le parti devono dare una risposta chiara all’ esigenza di adeguare, attraverso i rinnovi contrattuali, le retribuzioni dei lavoratori dipendenti rispetto all’ andamento dell’inflazione; tuttavia, non si può ignorare la straordinaria pressione del processo inflattivo anche sui datori di lavoro liberi professionisti. In questo solco nasce la proposta che abbiamo avanzato nei giorni scorsi davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato nel corso delle audizioni sul Documento di economia e finanza 2022 e che mira alla detassazione degli aumenti salariali concordati dalle parti sociali, per fronteggiare la perdita la perdita del potere d’acquisto delle famiglie, senza aggravare un costo del lavoro già insostenibile. Una “terza via” che, alla luce della straordinaria e complessa congiuntura economica, possa conciliare nel medio periodo retribuzioni e produttività.

Nell’ambito delle trattative per il rinnovo contrattuale del settore studi professionali, sta emergendo un confronto che si sta orientando su due direzioni: i parametri da utilizzare per il rinnovo della parte economica dei contratti collettivi; gli interventi che lo Stato deve garantire per favorire il recupero del potere di acquisto da parte dei lavoratori.

Dal primo punto di vista rileviamo che il Def fa riferimento al sistema attuale, definito dalle parti sociali anni or sono, basato sul meccanismo dell’Ipca al netto degli energetici importati, prevedendo che «i lavoratori dipendenti recupereranno potere d’ acquisto quando i prezzi dell’energia scenderanno e il tasso di inflazione totale scenderà al disotto del tasso al netto degli energetici». Una prospettiva tendenzialmente condivisibile, che va comunque adeguatamente monitorata attraverso un coordinamento più stretto tra governo, sindacati e associazioni datoriali, una sorta di gruppo di lavoro permanente, che tenga sotto controllo l’impatto della crisi sui rinnovi contrattuali dei singoli settori e che vada eventualmente a promuovere un confronto tra gli attori sociali per la definizione di correttivi al modello in essere.

Per quanto riguarda il secondo tema è fondamentale che il recupero del potere d’acquisto dei lavoratori sia rafforzato attraverso interventi specifici, anche straordinari. Se da una parte, anche per sostenere l’occupazione stabile, rimane centrale il tema della riduzione a regime del cuneo fiscale e contributivo, dall’ altra occorre più coraggio per contrastare le conseguenze delle dinamiche contingenti.

In quest’ottica, quindi, potrebbe essere utile e ragionevole ipotizzare quella “terza via” poc’anzi accennata per esentare straordinari e aumenti delle due prossime tornate contrattuali dalle contribuzioni sociali prevedendo anche un regime fiscale agevolato. Si tratta di una operazione di assoluto rilievo strategico, in particolare per le piccole e medie strutture (come appunto gli studi professionali); ma anche di un’opportunità per riorientare in maniera più equa ed efficace le risorse che finora si sono perse tra mille rivoli (e incentivi spesso ingiustificabili) verso settori produttivi in agonia, in una prospettiva economica condivisa con le parti sociali, tanto auspicata dal governo Draghi.

(fonte: Il Sole24ORE, 20 aprile 2022)