Il miraggio di una politica delle professioni

Equo compenso, garanzia di occupabilità, società tra professionisti. Tre tasselli fondamentali per l’agenda del prossimo governo. E uscire dall’emergenza

di Maria Carla De Cesari. Da il Libero Professionista Reloaded #6

Per progettare il proprio futuro il mondo delle professioni ha bisogno di partire dai dati, cercando di mettere la sordina al dibattito fatto sulla base di prese di posizione pregiudiziali. Secondo la relazione al decreto Aiuti, dovrebbero esse- re 477mila i professionisti appartenenti alle Casse private destinatari dell’una tantum di 200 euro. Si tratterebbe di un terzo circa degli iscritti agli Enti, la cui platea di riferimento è un po’ più ampia rispetto ai professionisti con partita Iva. La proiezione dei destinatari potrebbe essere al ribasso visto che nel 2020 oltre 530mila professionisti hanno ottenuto aiuti dalle Casse. Allora la forbice del requisito reddituale oscillava dai 35mila fino a 50mila euro, a seconda della situa- zione di difficoltà. Oggi il requisito per la domanda è un reddito 2021 (autocertificato) non superiore a 35mila euro.

Manca una politica di visione

L’universo dei professionisti, secondo i dati più aggiornati pubblicati nel Rapporto 2022 curato dall’Adepp, l’associazione delle Casse private, ha un reddito medio (2020) pari a poco più di 36.770 euro. Va tra l’altro notato che nella statistica sono ricompresi anche i redditi degli iscritti alle Casse private che svolgono un lavoro dipendente. Certo, occorre scontare situazioni frutto di opportunismi anche dal punto di vista fiscale e differenze notevoli fra un settore di attività e l’altro. Il segmento è infatti molto polarizzato dal punto di vista economico, per aree di attività, età, genere e territorio di appartenenza. In ogni caso i dati dovrebbero accendere l’attenzione politica sullo stato di salute dei servizi professionali. Di positivo, se si vuole guardare al bicchiere mezzo pieno, c’è il fatto che il legislatore ha percepito il malessere e, nell’affrontare l’emergenza Covid e poi quella determinata dalla guerra in Ucraina, ha stabilito aiuti anche per i professionisti. Invece, se si guarda il bicchiere dall’altro verso, non si può non rilevare come, in generale, non si sia andati al di là di interventi – tampone, senza delineare una politica professionale capace di mettere in moto innovazione e crescita.

Non solo equo compenso

Nell’ultimo scorcio della legislatura il confronto si è concentrato sull’equo compenso. La legge 78/2022 sulla riforma degli appalti delega il governo a riscrivere le norme sui contratti pubblici: tra i principi è stato stabilito che le prestazioni professionali non possono essere gratuite (con- sentite deroghe eccezionali e motivate). Il disegno di legge parlamentare sull’equo compenso – la controparte è costituita da committenti forti, banche, assicura- zioni, grandi imprese e pubbliche amministrazioni – , invece, si è bloccato sul filo di lana. Il provvedimento ha diviso le rappresentanze e le istituzioni professionali

certo non sul principio – un intervento di tutela là dove si verifichi un marcato squilibrio nei rapporti tra le parti – ma sul meccanismo messo in campo. Il professionista destinatario di un compenso non equo rischierebbe la procedura disciplinare da parte dell’Ordine. La tutela, dunque, non è indirizzata verso chi subisce quello che per le imprese si chiama abuso di dipendenza economica. Al di là di come andrà a finire questa partita nel- la prossima legislatura, l’equo compenso è solo un tassello. C’è ben altro. Si pensi, per esempio, alla garanzia di occupabilità che la legge di Bilancio 2022 ha esteso anche ai professionisti che chiudono lo studio. Tuttora la misura resta sulla carta; tuttavia se si immaginasse la garanzia di occupabilità come strumento per reindirizzare l’attività autonoma, occorrerebbe- ro leve premiali per convogliare gli sforzi delle Casse professionali – cercano di sviluppare un welfare non solo incentrato sull’assistenza – e degli Ordini, che dispongono di gruzzoletti dati dalle quote degli iscritti, e delle realtà sindacali che in questi anni hanno cercato di far crescere reti di protezione per i di- pendenti degli studi e hanno acquisito competenze in questo campo. Il sistema della formazione continua obbligatoria, a oltre un decennio dalla sua introduzione, meriterebbe un tagliando per evitare di essere, spesso, un adempimento burocratico invece di occasione per rifocalizzare le competenze.

Più attenzione al sistema fiscale

Ci sono poi i problemi di natura fiscale. Prima di tutto quello del trattamento del reddito. La tassazione Irpef resta diversa, a parità reddito, a seconda della sua fonte lavoro dipendente, autonomo o da pensione. Se poi si cerca conforto nel regime forfettario ci si scontra con un sistema che genera distorsione di mercato. I professionisti esclusi sono penalizzati due volte: per l’aliquota applicata e nei confronti dei clienti, visto che le parcelle sono rincarate dall’Iva. Invece, chi sta dentro il forfait è invitato a restare nella dimensione ridotta. E la disciplina per le società tra professionisti è un invito a restare “soli” o a costituire società di servizi che spalmano il reddito e la tassazione ed evitano contributi alle Casse professionali. Per molte categorie, infatti, la società tra professionisti è soggetta a un doppio contributo integrativo, dovuto alla doppia fatturazione: dalla società al cliente e poi dal socio alla società.