Lo Scenario delle Professioni: oggi e domani

L'intervento del presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella, all'evento di TeamSystem, in collaborazione con The European House – Ambrosetti, che si è svolto a Cernobbio lo scorso 10 maggio

Per comprendere l’evoluzione delle professioni e l’approccio dei professionisti di fronte alle grandi sfide imposte dalla rivoluzione digitale, dall’internazionalizzazione e dai nuovi trend di mercato, che trovano nel PNRR una straordinaria declinazione per tracciare nuovi orizzonti rispetto al mercato stesso, ma anche ai modelli organizzativi degli studi professionali, è necessario fare alcune premesse.

La guerra in Ucraina e lo scenario geopolitico che ne deriva ci pone davanti a una delle più gravi crisi della nostra storia più recente. Una crisi umanitaria, energetica ed economica. E possiamo già avvertirne le prime conseguenze.

Il rallentamento dell’economia, insieme con l’aumento dell’inflazione, rappresenta una seria minaccia non solo per il Paese, ma anche per un settore economico, quello delle libere professioni, già profondamente segnato da due anni di pandemia: basterà ricordare come 38 mila liberi professionisti siano stati costretti a chiudere i battenti nel 2020 e come l’emergenza legata al Covid 19 abbia decurtato i redditi di professionisti e lavoratori autonomi (come certificato anche dal Dipartimento delle Finanze che attesta un calo reddituale dell’8,6%), ridimensionando quindi la loro capacità di investimento e le loro prospettive di crescita dimensionale.

Una congiuntura negativa che si riflette inevitabilmente sulle libere professioni, dove si registra un preoccupante calo dei giovani iscritti agli ordini professionali, un sempre più marcato divario di genere e territoriale e una polarizzazione dei redditi che spinge una larga parte di professionisti nel limbo di quel “ceto medio” che, secondo autorevoli sociologi, è destinato all’estinzione.

In questa complessa fase, tuttavia, una delle peculiarità che contraddistingue il professionista dagli altri soggetti economici (siano essi imprenditori o commercianti) è la resilienza, la sua capacità di rimettersi in piedi, rimettersi in gioco e guardare avanti.

Una dote che discende direttamente dal capitale intellettuale, da quel bagaglio di competenze tecniche e umane che forma l’essenza stessa di ogni singolo professionista. E oggi abbiamo una straordinaria opportunità per dimostrare la nostra resilienza, per far valere il nostro capitale intellettuale, per dare nuovo impulso a quel processo di modernizzazione che il mercato ci richiede.

Da un certo punto di vista, il PNRR sembra cucito addosso ai professionisti e non è un caso che il ministro Brunetta abbia già cominciato a reclutare professionisti, tecnici e specialisti per aiutare le pubbliche amministrazioni a mettere a terra progetti e bandi e dare così una concreta attuazione al Piano per non disperdere le ingenti risorse messe a disposizione dall’Unione europea.

Tuttavia, i nuovi scenari che abbiamo delineato richiedono necessariamente un aggiornamento del PNRR e il nostro auspicio è che si possa configurare una strategia di sviluppo delle libere professioni, favorendo iniziative di sostegno alla crescita della dimensione imprenditoriale degli studi professionali attraverso i processi di aggregazione, e lo sviluppo di competenze trasversali dei professionisti, a partire dalla digitalizzazione.

A ben guardare, più che un auspicio, una necessità per riequilibrare i rapporti di forza tra i soggetti economici del nostro Paese.

Ed è proprio la digitalizzazione uno dei principali driver della crescita dei professionisti, come sottolinea anche il PNRR. Noi non lo scopriamo oggi. Già sei anni fa dedicammo un ciclo di seminari al tema dell’Innovation and Communication Technology (ICT) sulle professioni, per approfondire il rapido sviluppo delle tecnologie digitali e il loro impatto sul mercato dei beni e dei servizi, delle relazioni tra persone e della partecipazione ai processi decisionali. Per la prima volta stavamo declinando una sorta di “agenda digitale delle professioni”.

Per anni siamo stati abituati a guardare l’innovazione digitale come una opportunità o come una minaccia. Oggi credo che questa visione dicotomica sia stata ampiamente superata da una molteplicità di fattori che non possiamo più ignorare, anche se restano parecchi elementi di criticità che devono essere governati. La digitalizzazione è un forte acceleratore del cambiamento, ma fino a che punto possiamo spingere il pedale senza snaturare la natura del lavoro professionale?

Fino a oggi una delle peculiarità che contraddistingueva il professionista risiedeva nel rapporto fiduciario che lo legava al proprio cliente/paziente, in virtù di una profonda conoscenza che spesso andava oltre la prestazione professionale, per quanto complessa fosse, e in molti casi sconfinava in un rapporto confidenziale, di amicizia. Personalmente non credo che un algoritmo possa sostituire la fiducia che lega un professionista al proprio cliente, perché altrimenti dovremo immaginare una prestazione professionale come un prodotto da banco, una merce costruita in serie. La standardizzazione è l’antitesi del valore aggiunto, del capitale umano che può apportare il professionista a un servizio reso al mercato.

C’è poi un altro aspetto non secondario che dobbiamo mettere in evidenza. La digitalizzazione è una delle principali cause che determina la disintermediazione tra un soggetto e il mercato e/o la società. Per chi si occupa di rappresentanza non è un problema banale. Pensiamo, per esempio, al sistema ordinistico che regola le professioni.

Il punto di partenza è l’alfabetizzazione digitale dei professionisti. Contrariamente a quanto si possa pensare, infatti, occorre educare i professionisti al digitale, costruire cioè comprensione, consapevolezza e senso critico nei confronti di questo fenomeno pervasivo che permea la nostra esistenza.

La domanda che oggi dobbiamo porci, che ogni professionista dovrebbe porsi, è: come sarà lo studio professionale tra 20 anni? Quali saranno le funzioni condivise? quale sarà l’idealtipo del professionista 4.0? La transizione digitale ci spinge a individuare i servizi che serviranno non domani, ma oggi; ci indica su quali piattaforme dobbiamo lavorare, ci induce a riflettere a quali risorse attingere (e quali canali di finanziamento) per permettere la trasformazione in uno studio digitale. Perché questa è la direzione. La dimensione digitale comincia quando un professionista si domanda come il digitale può aiutare le sue competenze, come può interagire nel dialogo con il suo cliente. Si parte sempre da questioni vere.

Nei mesi scorsi abbiamo voluto condividere queste nostre riflessioni con The European House – Ambrosetti per individuare “I nuovi paradigmi delle professioni nella transizione digitale”. I risultati di questa ricerca verranno presentati a Roma con un evento il prossimo giugno. Concedetemi qualche piccola anticipazione.

Per cominciare possiamo dire addio all’immagine del professionista stereotipato; la digitalizzazione sarà il principale propulsore 1) dell’evoluzione del ruolo del professionista, 2) delle relazioni con il cliente 3) dell’organizzazione professionale.

  • Stiamo andando incontro a una democratizzazione del sapere che spinge il professionista a dare soluzioni a bisogni complessi: ci sarà uno spostamento della marginalità dai servizi tradizionali con redditività decrescente alla componente di consulenza a maggior valore aggiunto.
  • La relazione con il cliente si è trasformata e richiede servizi sempre più evoluti e di maggiore complessità; la digitalizzazione consentirà di formulare strategie che anticipano i bisogni dei clienti attraverso un’offerta di servizi continuativi, anche attraverso la virtualizzazione delle relazioni, per cogliere tutte le opportunità di massimizzazione del valore.
  • L’impatto della digitalizzazione sugli studi richiede un nuovo modello organizzativo degli asset e delle risorse che favorisca la condivisione delle competenze in un ambiente interdisciplinare e iper-specializzato.

 

Ci sono almeno tre livelli di cambiamento che la digitalizzazione impone; uno di cultura generale, che tiene conto anche delle classi di età dei professionisti. Uno trasversale a tante professioni, che evidenzia e rende possibili benefici derivanti da aggregazioni professionali, da condivisione di piattaforme, da nuove relazioni con il mercato. E infine un livello relativo alle specifiche professioni.

Ciascuna competenza adotta soluzioni che rendono più efficace e competitiva la prestazione professionale. Si apre un mondo ricco di soluzioni e affascinante nelle applicazioni. Pensiamo all’area medica, alle tante competenze dell’ingegneria, della cura del territorio e dell’ambiente, all’avvocato che già oggi è costretto ad operare in un contesto pienamente digitale, alle tante declinazioni che la stessa professione del commercialista affronta, internazionalizzazione compresa.

Siamo pertanto impegnati a individuare percorsi per la digitalizzazione delle professioni, cogliere pienamente le opportunità di un fenomeno inarrestabile e complesso e per aiutarci a gestire le criticità minimizzando i rischi.

È un processo che ha aspetti culturali e modelli di business fortemente trasversali. Il tema della trasversalità ed il tema della collaborazione tra professioni e professionisti, sia in fatto di contaminazione che di complementarietà, saranno alla base del cambiamento dei nuovi modelli di business. Sarà importante il recupero della dimensione del cliente a 360° con modalità che rendano possibile coniugare competenze verticali e competenze trasversali; dando al cliente le risposte più complete.

È del tutto evidente che siamo di fronte a un profondo cambio di paradigma delle professioni.

Il percorso verso la digitalizzazione ci proietta verso nuove opportunità che non si misurano solo con un efficientamento dei costi o con servizi a maggior valore aggiunto in grado di generare più ricavi, ma anche con una nuova narrazione della professione, una nuova identità del professionista capace anche di attrarre le nuove generazioni.