Salario minimo fra legge e contrattazione collettiva

La proposta di Direttiva sui salari minimi dell'Ue riapre in Italia il dibattito sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti. La via maestra è già scritta nella Costituzione e punta sui contratti collettivi nazionali di lavoro. E anche Bruxelles spinge per la promozione della contrattazione collettiva per determinare i salari

di Angelo Pandolfo* – da il Libero Professionista Reloaded #5

 

Nell’ambito di una concezione più sociale dell’Unione europea, la Commissione europea presieduta da Ursula von der Leyen ha presentato una serie di interventi in materia di diritti fondamentali. La proposta di Direttiva sui salari minimi adeguati nell’Ue, pubblicata il 28 ottobre 2020, costituisce uno degli strumenti per armonizzare il diritto degli Stati membri, in gran parte già impegnati nella garanzia di un trattamento economico minimo per i lavoratori.

L’accordo recentemente raggiunto fra la Presidenza del Consiglio Europeo e i negoziatori del Parlamento europeo sul progetto di Direttiva ne lascia presagire il definito varo. A livello nazionale, inoltre, già da qualche anno il Parlamento discute di interventi legislativi in tema di salario minimo (con riferimento, in particolare, ai disegni di legge AS n.658/2019 e AS n.310/2019).

Approfondire questa ipotesi è, pertanto, non solo doveroso da un punto di vista sociale a fronte del fenomeno dei “lavoratori poveri”, ovvero delle persone che pur essendo occupate percepiscono un reddito inadeguato rispetto ai bisogni di mantenimento di sé e dei familiari a carico, ma anche attuale considerando quanto potrebbe intervenire a livello normativo.

 

Un principio scolpito nella Carta

Forse non c’è un tema, come la retribuzione, su cui la Carta costituzionale fissa una pluralità di princìpi in grado di combinarsi in maniera sinergica. La retribuzione deve essere adeguata, ossia sufficiente a garantire al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa: è l’art. 36 della Carta costituzionale a richiederlo.

La via maestra su cui avanzare per raggiungere tale essenziale risultato è anch’essa tracciata dalla Carta per riflesso della combinazione degli articoli 39 e 40, che chiaramente puntano sui contratti collettivi come la fonte che definisce i termini economici della collaborazione fra datori di lavoro e lavoratori.

In coerenza con i principi costituzionali, la questione dei salari non adeguati è da affrontare in via prioritaria rimuovendo le cause che ostacolano il pieno dispiegarsi delle potenzialità dei contratti collettivi come fonte di tutele – economiche e non – generalmente ed effettivamente applicate.

 

Non si parte da zero

In Italia, la contrattazione è già ampiamente diffusa e ricca di contenuti; inoltre, non mancano meccanismi legislativi che, in chiave promozionale o in maniera vincolante, inducono ad applicare i contratti collettivi.

Ne costituisce un esempio importante l’art. 1, comma 1175, della legge n. 296/2006: la fruizione dei benefici normativi e contributivi previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale è subordinata al rispetto degli accordi e dei contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Rispetto, come sottolineato dall’Ispettorato nazionale del lavoro, non soddisfatto da una applicazione solo formale di tali contratti. Previsione, questa della legge 296, utile nella prospettiva della inclusione di tutti i lavoratori nelle tutele assicurate dai contratti collettivi, ma certamente suscettibile di un più rigoroso e capillare utilizzo.

Motivo di notevole travaglio è stato e ancora rimane il cosiddetto shopping contrattuale: applico un contratto collettivo, ma fra i tanti ne scelgo uno con livelli retributivi particolarmente bassi magari sottoscritto da associazioni meno rappresentative o, addirittura, al limite della non genuinità. Anche a questo riguardo non mancano indicazioni legislative ispirate dall’intenzione di valorizzare il ruolo di una qualificata contrattazione collettiva.

Il Codice degli appalti, per esempio, richiede che al personale dipendente dall’appaltatore sia applicato il contratto collettivo stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e, inoltre, strettamente connesso con l’attività oggetto di appalto (art. 30, comma 4). In caso di pluralità di contratti collettivi riferiti ad una medesima categoria, l’imponibile contributivo minimo è comunque da ricavare dal contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative (art.2, comma 25, L. n.549/1995).

L’entrata a regime del Codice Unico Alfanumerico dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (art. 16-quater del D.L. n. 76/2020) consente di avere informazioni utilizzabili come criteri di selezione fra Ccnl afferenti allo stesso settore: ad esempio, riguardo al numero di imprese e all’ampiezza delle platee di lavoratori in cui vengono applicati i diversi Contratti collettivi.

 

Accrescere le tutele dei lavoratori

La strada maestra, come si diceva, è tracciata dalla Carta costituzionale. Le leggi ordinarie, ad oggi, sono intervenute per rendere più agevole ed efficace il cammino di chi – in primis, organizzazioni collettive e istituzioni pubbliche, in particolare con funzioni di vigilanza – la percorre. Concludere che la priorità è rappresentata dal perfezionamento delle misure legislative volte a promuovere l’effettiva e generale applicazione dei trattamenti previsti dai contratti collettivi, meritevoli di essere considerati contratti leader in ragione di una verificata e comparativamente prevalente rappresentatività di chi li negozia e li sottoscrive, non risponde solo ad una doverosa attuazione di principi costituzionali che prefigurano un governo partecipato dei rapporti di lavoro (anche) quanto ai diritti retributivi dei lavoratori.

Procedere nella direzione auspicata costituisce, infatti, utile ad accrescere la tutela dei lavoratori, andando oltre il salario minimo già per quanto riguarda la retribuzione e anche in virtù di altre forme di prestazioni e servizi. Si pensi alle forme di welfare, istituite dai contratti collettivi a stregua dell’art. 51 TUIR, non assicurate da interventi limitati al salario minimo.

Si tratta, inoltre, di una direzione in piena armonia con quanto va maturando nell’ordinamento multilivello.  Un punto qualificante della Direttiva è, infatti, rappresentato proprio dalla “Promozione della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari”, con gli Stati membri impegnati ad ampliare la percentuale di lavoratori coperti dai contratti collettivi.

 

Che cosa prevede la proposta Ue

Il Consiglio europeo ha raggiunto un accordo provvisorio sulla direttiva relativa a salari minimi, che stabilisce un quadro procedurale volto a promuovere salari minimi adeguati in tutta l’UE e, in particolare, a:

  • promuovere la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari
  • promuovere livelli adeguati di salari minimi legali
  • migliorare l’accesso effettivo alla tutela garantita dal salario minimo per tutti i lavoratori
  • prevedere la presentazione di relazioni sulla copertura e l’adeguatezza dei salari minimi da parte degli Stati membri

L’accordo raggiunto dovrà essere confermato dal Coreper. A tale approvazione seguirà un voto formale in sede di Consiglio e di Parlamento europeo. Gli Stati membri hanno due anni per recepire la direttiva nel diritto nazionale.

 

*Avvocato Cassazionista, specializzato in diritto del lavoro e sindacale e della previdenza sociale. Già ordinario di diritto del lavoro presso la facoltà di Economia dell’Università “La Sapienza”. Senio partner e Responsabile del dipartimento Pension and Health Insurance dello studio legale Fieldfisher Italia. Autore di numerose pubblicazioni. È stato e vice Presidente vicario della Commissione di Vigilianza sui fondi pensione (Covip) e componente della Corte dei Conti.