«È un quadro di luci e ombre quello che emerge dalla Relazione annuale del CNEL sui servizi pubblici. Molte buone pratiche, importanti miglioramenti, ma anche tante sfaccettature che riflettono antiche fragilità e significativi divari territoriali e sociali. Bene gli indicatori di benessere relativi alle speranze di vita (83,1 anni) e alla salute degli anziani (37,8% in buona salute). In aumento il livello di risorse finanziarie per la protezione sociale, la prevenzione sanitaria e i servizi all’infanzia. Migliora il livello di istruzione della popolazione. Ma non mancano le lacune. Spesso il livello di impegno economico è al di sotto della media europea. Vi sono marcate differenze di performance dei servizi a livello regionale e permangono disuguaglianze che penalizzano i soggetti con maggiori problemi economici e sociali». È quanto si legge nella nota diffusa dal CNEL a seguito della presentazione della relazione annuale sui servizi pubblici, che si è tenuta lo scorso 14 ottobre a Villa Lubin.
Ancora rilevante il “fattore Sud”
Dalla relazione emerge quanto sia ancora rilevante il “fattore Sud”. Tale fattore «si manifesta in due modalità distinte. La prima riguarda la situazione in cui a costi più elevati corrispondono livelli inferiori di servizio. Questo scenario si osserva in particolare nei servizi di gestione del territorio e della viabilità, nella gestione dei rifiuti e nei servizi di asilo nido. La seconda modalità riguarda un’allocazione ridotta di risorse, che si traduce in una minore offerta di servizi. Questo fenomeno è evidente nei servizi di polizia locale, nel supporto all’istruzione e nei servizi sociali, dove la limitata disponibilità di risorse risulta direttamente correlata a una minore quantità e qualità dei servizi erogati. Sul fronte dei servizi sociali, al Sud i livelli di impegno finanziario (95 euro pro capite) sono sempre più bassi di qualsiasi altro territorio (124 euro Nord-Est, 129 euro Centro, 134 euro Nord-Ovest), a fronte di un contesto in cui il tasso di deprivazione socio-economica è molto più elevato».
PA tra criticità e capacità di innovazione
«Nel corso del 2023 si è ulteriormente consolidato il processo di irrobustimento delle amministrazioni pubbliche, avviato con intensità nel 2022 grazie alle risorse del PNRR», si legge nella nota. «Tra gli aspetti positivi, la Relazione evidenzia in particolare: il consolidamento di nuovi flussi di assunzioni; una ripresa intensa delle attività di formazione; il graduale ritorno alla fisiologia della contrattazione; l’introduzione di nuovi strumenti di semplificazione; il sostegno diffuso alla digitalizzazione. Quanto alla criticità, si segnala la difficoltà di reggere il passo di uscite dalla PA molto consistenti ormai da anni, così come la necessità di “riconvertire” un alto numero di professionalità, anche in relazione ai processi di digitalizzazione. Le amministrazioni pubbliche mostrano alcune fragilità consolidatesi nel tempo, ma al tempo stesso una significativa capacità di reazione e di innovazione».
Carenza di personale in sanità
«La spesa pubblica in sanità risulta in risalita a partire dal 2020, ma ciò nonostante rimane ancora tra le più basse d’Europa (75,6% del totale), mentre la spesa privata dei cittadini continua a crescere (+ 5% solo nell’ultimo anno). Si estende il fenomeno della rinuncia alle cure necessarie per problemi economici ed organizzativi (che ha raggiunto nel 2023 il valore del 7,6% della popolazione) e cresce la realtà dell’impoverimento determinato da cause legate alla salute (che tocca l’1,6% delle famiglie)», prosegue la nota. «In sanità, inoltre, si registra una vera e propria crisi di anzianità, cui si affiancano la questione della carenza di personale in molti comparti del settore, ed in particolar in ambito di emergenza-urgenza, nella Medicina di base e a livello infermieristico, e quella della fuga dai servizi pubblici e dal paese di molti operatori».
Più diplomati ma spesa per istruzione sotto media UE
Dalla relazione emerge che, in campo educativo, aumenta il livello di istruzione della popolazione. «Le persone tra 25 e 64 anni con almeno il diploma di secondaria di II grado arrivano al 65,5% del totale di quella fascia di età (erano il 63% nel 2022 e il 62% nel 2019). Aumenta anche la quota di laureati, specie nella fascia 25-34 anni. Diminuiscono gli abbandoni scolastici (di 6 punti percentuali tra 2011 e 2021) e anche i NEET passano dal 19% al 16,1% nel 2023. Un numero sempre maggiore di studenti riesce a completare gli studi universitari (passando dal 54,5% al 65%). Nel confronto europeo la percentuale di donne iscritte all’università in Italia è superiore alla media europea (55,9% per l’Italia rispetto al 54,2% per l’Europa nel 2021)». Tuttavia, «la spesa per la scuola in percentuale sul PIL mostra un livello ancora inferiore a quella dei maggiori paesi avanzati, attestandosi sul 3,2% (anno 2020) a fronte di una media rispettivamente del 3,6%. Anche a livello universitario l’Italia investe per l’istruzione terziaria, in proporzione alla popolazione con istruzione terziaria completa, meno della media OCSE (1% vs 1,5%) e di quella UE25 (1,3%)».