di Maurizio Tortorella – da Il Libero Professionista Reloaded #25
La creazione di due distinti Consigli superiori della magistratura, uno per i pubblici ministeri e l’altro per i giudici, ciascuno dei quali dovrà occuparsi della progressione in carriera delle categorie separate. Una nuovissima Alta Corte, cui sarà affidato il compito di occuparsi dei procedimenti disciplinari aperti contro Pm e giudici. E un forte tentativo di ridimensionare e circoscrivere il ruolo delle correnti della magistratura – gli ultimi veri partiti politici organizzati rimasti sul campo – sostituendo l’attuale sistema elettorale del Csm con un nuovo meccanismo «a sorteggio». Questo, in sintesi, è il disegno di legge costituzionale presentato lo scorso 29 maggio dal ministro Carlo Nordio per avviare la riforma della Giustizia e per introdurre nell’ordinamento l’ormai mitologica «separazione delle carriere», da oltre 30 anni una delle bandiere ideali del centrodestra e dell’Unione delle Camere penali italiane.
Con i suoi otto articoli, la riforma che il Guardasigilli ha portato in Consiglio dei ministri a fine maggio è abbastanza simile al progetto depositato in Parlamento dall’ultimo governo di Silvio Berlusconi 13 anni prima, il 12 maggio 2011, e poi finito in nulla per la caduta dell’esecutivo alla fine di quell’anno. Nordio punta a un’amministrazione della giustizia dove i pubblici ministeri abbiano meno potere di condizionamento sui loro colleghi giudici. Da ex magistrato, il ministro nega anche con forza – e c’è da credergli – che con la riforma il Pm possa mai finire sotto il controllo del governo, ma è inevitabile che questo, nei mesi a venire, sarà il principale refrain della campagna di chi si oppone alla separazione delle carriere.
Nordio propone di arrivare al risultato modificando l’articolo 87 della Costituzione e istituendo due distinti CSM: uno per i pubblici ministeri e uno per i giudici. In base al suo disegno di legge, le funzioni disciplinari che oggi sono attribuite a una sezione del CSM e al suo plenum (oltre che alla Procura generale della Cassazione) vengono trasferite a un nuovo organo costituzionale: l’Alta Corte. Viene da sorridere, osservando che tutto ciò che in Italia riguarda l’ordine giudiziario è inevitabilmente rappresentato da nomi che ne indicano un’altezza «superiore»: la regola vale non solo per l’attuale Consiglio superiore della magistratura, ma anche per la Scuola superiore della magistratura, e ora sembra riverberarsi anche su questa nuova Corte, ovviamente Alta.
15 membri per l’Alta Corte
Ma non ci sarà molto da ridere sull’istituzione dell’Alta Corte, perché già ora la sua sola ipotesi scatena una dura guerra politica e mediatica. Il disegno di legge affida a una futura legge le competenze dell’Alta Corte: il progetto Nordio specifica però che avrà una durata di quattro anni e soprattutto che le toghe saranno per la prima volta in minoranza. L’Alta Corte sarà infatti composta da 15 membri: «sei magistrati giudicanti e tre requirenti», più altri tre membri nominati dal capo dello Stato tra professori universitari ordinari di giurisprudenza e avvocati di lungo corso; gli ultimi tre dovrebbero essere estratti a sorte da un elenco compilato dal Parlamento.
Il disegno di legge non dice nulla, invece, sulla composizione dei due CSM «separati», se non che ne faranno parte di diritto il presidente della Repubblica, assieme al primo presidente e al procuratore generale della Corte di cassazione. Quel che suscita polemiche, anche se ormai se ne parla da tempo, è però la decisione assunta da Nordio e dal governo di modificare il sistema elettorale dei due Consigli, con l’obiettivo di ridimensionare lo strapotere delle correnti in cui si divide la magistratura. Il sistema correntizio, le cui aberrazioni sono state descritte due anni fa in un best-seller dall’ex magistrato Luca Palamara, a suo tempo potentissimo leader di corrente, è evidente da decenni e da troppo tempo è inutilmente al centro del dibattito politico: i partiti in cui si dividono gli oltre 9 mila magistrati italiani hanno occupato “militarmente” l’attuale CSM, mercanteggiando al suo interno scambi che determinano la continua, imbattibile prevalenza di carriera per le toghe sindacalizzate e orientate politicamente.
Se una toga non è iscritta a una corrente, da quelle più a sinistra di Magistratura e di Area fino ai «moderati» di Magistratura Indipendente e ai «quasi grillini» di Autonomia & Indipendenza, di certo non diventerà mai procuratore della Repubblica, né le sarà concesso di coprire un qualsiasi ruolo importante. Chi invece è iscritto a una corrente non soltanto ha una carriera più facile e garantita, ma se finisce sotto procedimento disciplinare ha uno strumento in più per evitare o per attenuare la sanzione.
I sostenitori del sorteggio
L’idea di passare da un sistema elettorale (e nel tempo ne sono stati provati tanti) a un nuovo meccanismo basato sul «sorteggio» può sembrare una soluzione cervellotica, se non disperata. In realtà il «sorteggio» ha avuto molti autorevoli sostenitori, tra i quali Antonio Baldassarre, presidente emerito della Corte costituzionale, che nel febbraio 2022 aveva dichiarato: «Se non si trova il coraggio di tagliare radicalmente il legame con gli interessi delle correnti, per me l’unica strada è il sorteggio temperato». Baldassarre ipotizzava allora «una votazione su base proporzionale che preveda un numero almeno doppio di eletti, e poi un sorteggio tra loro». Accantonata la soluzione del sorteggio «temperato», che comunque avrebbe conservato alle correnti un forte potere di scelta sui candidati, il governo propone oggi che i consiglieri togati del CSM vengano «estratti a sorte», senza specificare come: anche qui, insomma, servirà una legge ordinaria. Per smorzare l’opposizione dell’ordine giudiziario – e su consiglio del Quirinale, cui il disegno di legge è stato presentato in anteprima – lo stesso meccanismo del sorteggio è stato previsto anche per la componente dei membri «laici» del CSM, quelli eletti dal Parlamento.
L’incognita tempo
Il problema principale di questa riforma costituzionale è il tempo. Il governo Meloni presenta la sua proposta un anno e mezzo dopo l’inizio della legislatura, quindi in teoria restano tre anni e mezzo. La maggioranza sa bene, anche, che l’Associazione nazionale magistrati, il sindacato della categoria, è già sulle barricate (presto verrà indetto il primo sciopero), e che altrettanto faranno il Partito democratico e il Movimento 5 stelle, affiancati dai giornali di riferimento. Inoltre, in base all’articolo 138 della Costituzione, la riforma dovrà ottenere due successive approvazioni da parte della Camera, e due al Senato. Per di più, in base allo stesso articolo, ognuna delle seconde letture della riforma della giustizia dovrà ottenere anche il voto favorevole dei due terzi dei deputati e dei senatori, altrimenti è sicuro che si presenterà anche lo scoglio finale di un referendum confermativo. Per proporlo, alle opposizioni non servirà nemmeno raccogliere 500 mila firme: sarà sufficiente che lo chieda un quinto dei membri di una delle due Camere, cioè 80 deputati o 40 senatori, oppure cinque consigli regionali. Insomma, fin da oggi è assai facile prevedere che la cruciale riforma della giustizia non sarà quel che si dice «una passeggiata».