Fisco e certezza del diritto L’unica certezza è il dubbio

Di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi Che in ambito tributario la confusione regni sovrana è cosa nota. Il sistema fiscale italiano è da tempo un coacervo di disposizioni divenuto inestricabile anche per i più avvezzi, caratterizzato da un comportamento degli addetti ai lavori vieppiù singolare: piuttosto che cercare di riordinare le diverse disposizioni per evitare

Di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi

Che in ambito tributario la confusione regni sovrana è cosa nota.

Il sistema fiscale italiano è da tempo un coacervo di disposizioni divenuto inestricabile anche per i più avvezzi, caratterizzato da un comportamento degli addetti ai lavori vieppiù singolare: piuttosto che cercare di riordinare le diverse disposizioni per evitare contraddizioni, sovrapposizioni e lacune, si continua a normare per mettere le pezze nella speranza di non tralasciare qualcosa e che tutto fili per il verso giusto. Dopodiché nei tortuosi meandri che gioco forza si vengono a creare si scatena la dottrina più o meno attendibile, interpretazioni di prassi dell’amministrazione finanziaria e documenti esplicativi di diversi enti esterni, ognuno ovviamente con proprie teorie più o meno condivisibili ovvero talvolta eccentriche, spettando però la parola finale alle varie Commissioni Tributarie, nonché da ultimo alla Corte di Cassazione, giudici che a loro volta palesano la totale autonomia anche rispetto alle decisioni delle Sezioni unite, prendendo decisioni continuamente contrastanti.

Voluntary disclosure – aiuto forse la riaprono

Uno degli ultimi fulgidi esempi del caos fiscale è rappresentato dalla voluntary disclosure. Nel predisporre la norma, non si è deciso di creare una disposizione di carattere “speciale” in grado di gestire in modo definitivo le diverse situazioni, sulla falsariga dei condoni, ma si è scelto di introdurre una norma allineata a tutte le altre disposizioni di vario genere già esistenti, dal tributario al societario, non dimenticando il civilistico e l’ambito penale.

In sostanza un intendimento meritorio nei presupposti, ma da scontato “mission impossible” nell’esito.

Ed infatti, ogni ufficio periferico ha liquidato le voluntary a modo suo, anche a parità di condizioni di partenza e nonostante le indicazioni fornite dalla direzione centrale dell’Agenzia; il tutto senza sapere quali potranno essere le implicazioni civilistiche e penali ulteriori, argomenti su cui la dottrina più o meno presunta è riuscita nell’impresa a argomentare tutto e il contrario di tutto, con “perle” interpretative di cui francamente non se ne sentiva il bisogno.

Insomma, si naviga a vista ed il bello è che si parla di riapertura imminente della disposizione.

Auspicando che le pratiche della prima versione della VD in un modo o nell’altro siano tutte chiuse e dunque si sia creato alcun contenzioso per divergenze di idee tra ufficio e contribuente: se così non fosse assisteremmo in commissione tributaria a delle prese di posizione divergenti basate sulle teorie più astruse.

Ciò non perché non si abbia fiducia nella giustizia (ci mancherebbe!), ma semplicemente perché si assiste con sempre maggiore frequenza a cambi di direzione spiazzanti, nonché ad interpretazioni che sul piano logico davvero lasciano cadere le braccia; vere e proprie inversioni da U da ritiro della patente.

Prelevamenti dei professionisti – Corte di Cassazione in contromano

Due gli esempi che intendiamo rappresentare, derivanti da recenti giudizi della Corte di Cassazione.

Nel passato abbiamo sottolineato la tematica, delicatissima, della responsabilità in solido di coloro che subiscono le ritenute fiscali, evidenziando come sia fondamentale la massima serietà ed integrità non solo morale ma anche economica del sostituto d’imposta. Il caso, nella sua descrizione, è semplice, pur essendo le conclusioni del tutto illogiche. La norma impone che in determinate condizioni siano trattenuti, dal compenso da erogare, degli importi a titolo di anticipazione delle imposte, appunto le ritenute fiscali. Trattasi soprattutto delle casistiche del reddito professionale e del lavoro dipendente. In pratica, il committente o datore di lavoro titolare di partita IVA (c.d. sostituto d’imposta) nell’erogare il compenso professionale al consulente o lo stipendio al dipendente trattengono degli importi che poi rappresentano delle mere anticipazioni delle future imposte che professionisti e dipendenti (c.d. sostituiti) saranno chiamati a versare.

Il sostituto dopo aver trattenuto gli importi procede a versarli all’erario, rilasciando al sostituito l’apposita certificazione; il sostituito in sede di dichiarazione dei redditi potrà scomputare dalla sua imposta lorda le ritenute risultanti dalla predetta certificazione, che di fatto sono state già anticipate all’erario.

Il meccanismo sembra essere, chiaro, logico, coerente e semplice, dovendo registrare anche una posizione benevola dell’amministrazione finanziaria nell’ipotesi in cui non si è in possesso della certificazione rilasciata dal sostituto: infatti, in simili casistiche il sostituito può comunque dedursi le ritenute subite dimostrando di aver ricevuto (copia del bonifico ovvero dell’assegno) dal sostituto il pagamento dell’importo netto risultante dalla fattura emessa (per il professionista), ovvero (aggiungiamo) dalla busta paga per il dipendente.

Il caos è l’illogicità e la palese ingiustizia, invece, emergono nel momento in cui qualcuno ha deciso, in sede accertativa, che le eventuali ritenute non versate dal sostituto, dopo essere state richieste senza esito allo stesso, possono naturalmente essere richieste al sostituito (professionista ovvero dipendente), in quanto responsabile in solido. Questo perché, sostiene chi accerta, trattasi comunque di imposte del sostituito!

Senza entrare nel merito della vicenda, già dibattuta e foriera di aspre polemiche, sia consentita un’amara considerazione: perché il sostituito deve essere responsabile in solido se non ha autonomia decisionale? Il sostituito subisce, senza poter scegliere diversamente, la ritenuta. Nessuno gli ha mai attribuito la facoltà di poter dire al sostituto: “tranquillo, versami tutto l’importo del compenso al lordo della ritenuta e poi sarò io a versare all’erario”. Ed allora per quale motivo si deve essere solidali con persone inadempienti se non si ha nessuna possibilità di influenzare i loro comportamenti e nemmeno controllarli?

Andiamo sul pratico. Il dipendente o il professionista incassano il netto e immaginano che le ritenute saranno regolarmente versate. Se per qualsiasi motivo, dalla crisi finanziaria all’infedeltà del sostituto, questi non versa e “sparisce”, resta il pericoloso “cerino” (i farmacisti farebbero riferimento ad un diffuso medicinale che non si assume via orale) in mano al sostituito, che subirà l’accertamento fiscale.

Della serie, “cornuto e mazziato”.

Non solo gli hanno trattenuto le ritenute senza versarle (con lo Stato che non consente di sottrarsi al meccanismo descritto), ma adesso lo stesso importo gli viene richiesto nuovamente, con la oltraggiosa motivazione che poi deve essere il sostituito ad agire civilisticamente contro il sostituto per farsi riversare l’importo: come se fosse facile trovare un soggetto che nemmeno l’amministrazione finanziaria è riuscita a scovare.

L’aspetto più irrealistico di tutto ciò è che non si tratta della semplice nefasta intuizione di un accertatore, ma di un pensiero che ha trovato la mirabile e ripetuta condivisione della Corte di Cassazione, come di recente è stato confermato dalla sentenza 12076 del 2016.

Non sembra necessario spendere tante parole per comprendere che si tratta di pura follia (definizione di follia: stato mentale patologico in cui versa una persona).

Il sincero auspicio è che prima o poi siano proprio le varie amministrazioni statali, sostituti d’imposta degli zelanti accertatori e dei fini interpreti giuridici, nonché degli onorevoli “legislatori”, a non versare queste maledette ritenute d’acconto: siamo convinti che in una simile remota (ma mai dire mai), evenienza, la velocità con cui sarà emanata una disposizione normativa interpretativa (e dunque valida anche per il passato) che attesti l’inesistenza della responsabilità in solido per i sostituiti sarà senza precedenti nella storia italiana: interpretation jet solution!

Come anticipato, oltre ad astruse tesi giurisprudenziali illogiche, il fisco italiano ci ha abituato anche ad un’altra costante: il contrasto decisionale. Mentre nel diritto britannico hanno optato per la scelta del precedente giuridico, in Italia, per fare le cose per bene, ogni decisione è autonoma dalla precedente. Sia chiaro, non si intende criticare aprioristicamente tale principio che pure ha dei pregi, ma è evidente (o quantomeno ovvio), che nel caos tributario italiano, aggiungere l’ulteriore caos della totale indipendenza decisionale e dell’assenza del precedente giuridico non può di certo generare benefici, con grave imbarazzo dei consulenti che cercano (o almeno provano) a far comprendere le diverse disposizioni agli increduli e dico poco, infastiditi, contribuenti italiani.

I prelevamenti bancari del professionista

Nel mondo professionale la situazione più paradossale ormai la si registra in materia di indagini finanziarie. Anche su questo annoso argomento non è nostra intenzione essere molto tecnici talchè appare sufficiente ricordare i fatti.

In origine, la disposizione accertativa consentiva di considerare maggiori compensi sia i versamenti che i prelievi dei professionisti non giustificati (la giustificazione in base alle teorie dell’amministrazione finanziaria è risultata essere talvolta suggestiva e comunque adottata con criteri variabili da ufficio a ufficio). La Corte Costituzionale con la sentenza n. 228 del 2014 è intervenuta sul tema, effettuando una precisazione che purtroppo è al centro di un notevole contrasto giurisprudenziale della Suprema Corte di Cassazione. Partiamo dal dato sicuro: la presunzione non opera in riferimento ai prelievi. Almeno su questo assunto si è pacifici, essendo chiaro il tenore letterale della posizione della Corte Costituzionale. Dove invece, senza mezzi termini, non si capisce più nulla è in riferimento ai versamenti.

La presunzione opera o meno?

Sentenza n. 12779 depositata il 21 giugno 2016, punto 2.3. Testualmente si legge che “il venir meno dell’equiparazione tra il professionista e l’impresa ….è stata recepita da questa Corte che, con la sentenza n. 23041 del 2015 ha affermato il principio di diritto secondo cui “la presunzione… secondo cui sia i prelevamenti che i versamenti operati sui conti bancari … vanno imputati ai ricavi conseguiti nella propria attività…si riferisce ai soli imprenditori e non anche ai lavoratori autonomi e professionisti intellettuali…”.

La posizione della Corte sembra non ammettere deroghe: ormai il principio di diritto è consolidato e noi Supremi giudici vi diciamo che anche per i versamenti non è possibile applicare la presunzione. Giubilo, gaudio, festa grande e sospiro di sollievo: abbiamo finalmente risolto positivamente l’incubo accertativo per eccellenza che affollava i sogni dei professionisti.

Passano meno di due mesi: Sentenza n. 18065 depositata il 14 settembre 2016 “… i prelevamenti non possono essere utilizzati come presunzione di reddito per le persone fisiche… al contrario che per gli imprenditori (v. Corte Costituzionale che invece, quanto ai prelievi, ha escluso la presunzione di reddito per i lavoratori autonomi), a differenza dei versamenti che invece sono indicativi di reddito…”. Sicuramente il testo è un tantino contorto ma di fatto afferma:

  • I prelevamenti non possono essere considerati reddito per le persone fisiche, tranne che per gli imprenditori. Inoltre, come precisato dalla Corte Costituzionale, i prelevamenti non sono reddito per i lavoratori autonomi;

  • Di contro (“a differenza dei versamenti…”), i versamenti possono essere considerati reddito per le persone fisiche (ovviamente tutti inclusi, anche i titolari di partita IVA come i professionisti).

In termini pratici, siamo punto e a capo. La presunzione opera sui versamenti.

Ebbene, cosa fare?

Nulla! Al momento il solo consiglio, in caso di accertamento e conseguente contenzioso, è affidarsi al proprio santo protettore e sperare che la propria causa sia affidata alle sezioni tributarie favorevoli al professionista. Della serie: la giustizia è uguale per tutti!