Forfetari…ritorno al passato!

Marcia indietro per la tassazione forfetaria del reddito dell’imprenditore individuale e del lavoratore autonomo. L’articolo 88 dello schema di Legge di bilancio 2020 incide sulla già travagliata e incerta normativa riferita ai soggetti in questione (anche a seguito di ondivaghe pronunce interpretative dell’Agenzia delle entrate) con il chiaro intento di ridimensionarne l’applicazione, restringendo la platea

Marcia indietro per la tassazione forfetaria del reddito dell’imprenditore individuale e del lavoratore autonomo. L’articolo 88 dello schema di Legge di bilancio 2020 incide sulla già travagliata e incerta normativa riferita ai soggetti in questione (anche a seguito di ondivaghe pronunce interpretative dell’Agenzia delle entrate) con il chiaro intento di ridimensionarne l’applicazione, restringendo la platea dei potenziali beneficiari.

Va ricordato che la legge di bilancio dello scorso anno ha elevato a € 65.000 euro il limite degli incassi (sia per i lavoratori autonomi sia per i soggetti imprenditori) entro il quale è possibile aderire alla favorevole disciplina che prevede una imposta sostitutiva del 15% (addirittura 5% in ipotesi di soggetto in start up). È bene sin da subito sottolineare che, sul punto, non si registrano novità e il limite è confermato e uguale per qualunque tipologia di attività svolta. Restano anche ferme le percentuali forfetarie di determinazione del reddito (diverse in base ai diversi codici ATECO) da applicare agli incassi.

Va, invece, definitivamente in soffitta la prospettiva di tassare con l’imposta sostitutiva del 20% le stesse attività di cui sopra entro il limite di ricavi/compensi di € 100.000. La norma, infatti, prima ancora di ottenere (ai fini Iva) il via libera da Bruxelles è stata stralciata. Onestà intellettuale impone di chiarire che ad avviso di chi scrive, la predetta ipotesi di tassazione al 20%, per come congeniata, presentava profili di evidente ingiustizia tributaria (sia sufficiente considerare che le aliquote marginali della tassazione ordinaria già all’ammontare di reddito di 70 mila euro raggiungono il livello massimo del 43%).

Ciò detto, cerchiamo di capire cosa sta succedendo nel vasto (ma a questo punto ridimensionato) mondo dei soggetti forfetari con premessa che non si possono escludere colpi di coda del legislatore da qui alla definitiva approvazione della legge di bilancio.

 

Torna il limite di impiego di lavoratori 

Ricorderete che fino a tutto il 2018 la norma prevede che il soggetto forfetario non potesse sostenere costi per lavoro dipendente ovvero per collaboratori di importo superiore a € 5.000 l’anno. Tuttavia, all’epoca il limite annuo di ricavi da non superare era fissato in € 30.000. Con la legge di bilancio 2019, contestualmente all’elevazione dei ricavi/compensi a € 65.000, venne eliminato qualunque vincolo con riferimento al costo del lavoro. Ebbene, lo schema di legge di bilancio 2020 interviene nuovamente sul comma 54 dell’articolo 1 della legge 190/2014 (istitutiva del regime forfetario) riformulandolo come segue: “I contribuenti persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti o professioni applicano il regime forfetario di cui … se, al contempo, nell’anno precedente (perdonerete la sintesi che segue posto che abbiamo eliminato tutti i numerosi riferimenti normativi nei passaggi che ora riportiamo):

a) hanno conseguito ricavi ovvero hanno percepito compensi, ragguagliati ad anno, non superiori a euro 65.000;

b) hanno sostenuto spese per un ammontare complessivamente non superiore a € 20.000 lordi per lavoro accessorio, per lavoratori dipendenti, collaboratori, anche assunti secondo la modalità riconducibile a un progetto, comprese le somme erogate sotto forma di utili da partecipazione agli associati e spese per prestazioni di lavoro di cui all’articolo 60 del Tuir (leggasi retribuzioni corrisposte a familiari).

Dunque, ritorna il blocco riferito al costo del lavoro, ancorché elevato a € 20.000/anno. Ciò comporta che i forfetari che nel corso del 2019 (oramai i giochi sono fatti) supereranno i predetti € 20.000 di costo del lavoro (come sopra individuato) dal 2020 sono fuori dal regime. È evidente che il deliberato effetto contenimento (con favorevoli effetti sul gettito erariale) è garantito.

Una volta “a regime (semmai la norma potrà mai essere “a regime” tenuto conto dei tempi che corrono e delle continue modifiche del legislatore), i sottoscritti nutrono qualche perplessità circa la “tenuta” della disposizione. In un sistema fiscale di tassazione in cui nessuno costo sostenuto è deducibile (fatta eccezione dei contributi previdenziali riferiti a sé stessi) dal momento che il reddito è determinato in una prefissata percentuale di ricavi, porre un limite al sostenimento dei costi indiscutibilmente inerenti è solo un incentivo a pagare (oltre la soglia dei € 20.000) i lavoratori in nero. Obiettivo per obiettivo, sarebbe stato forse preferibile e coerente ridurre la soglia limite di incassi senza alcun limite di spesa riferito al costo del lavoro. Il sistema sarebbe stato automaticamente in un equilibrio migliore e la coerenza sarebbe stata garantita, senza creare meccanismi di frattura logica tali da incentivare, paradossalmente, situazioni evasive diverse. Un volume inferiore di ricavi va da sé che richiede un minore costo del lavoro, senza necessità di pagare in nero per evitare il superamento di una soglia.

Dal punto di vista meramente tecnico rileviamo il permanere della ricomprensione tra le spese di lavoro degli “utili da partecipazione agli associati di cui all’articolo 53, comma 2, lettera c)”: va bene che effettivamente la lettera c) in argomento ancora oggi fa riferimento alle partecipazioni agli utili di cui alla lettera f) del comma 1 dell’articolo 44, quando l’apporto è costituito esclusivamente da prestazioni di lavoro, ma va ricordato che una specifica disposizione contenuta nel decreto Jobs Act ha cancellato dal Codice civile questo istituto. In particolare, il comma 2 dell’art. 2549 del Codice civile è stato modificato prevedendo che “nel caso in cui l’associato sia una persona fisica l’apporto di cui al primo comma” – cioè quello che configura, in concreto, il contratto di associazione in partecipazione – “ non può consistere, nemmeno in parte, in una prestazione di lavoro”. Dunque, il richiamo nell’ambito del regime forfetario a tali tipologie di contratti (che rientrano nel conteggio ai fini della soglia limite di € 20.000) riguarda solo il regime transitorio posto che la predetta modifica al Codice civile prevede che i contratti di associazione in partecipazione in atto alla data di entrata in vigore della legge (25 giugno 2015) nei quali l’apporto dell’associato persona fisica consiste, in tutto o in parte, in una prestazione di lavoro, sono fatti salvi fino alla loro cessazione.

 

Il blocco del reddito di lavoro dipendente e assimilato

Un secondo, certamente, più rilevante blocco è stato introdotto prevedendo una soglia alla coesistenza di redditi di lavoro dipendente o assimilato. L’importo di € 30.000 costituisce uno sgradevole ritorno al passato. In particolare, lo schema di norma prevede l’impossibilità di accedere al regime ovvero l’obbligo di uscirne per “d-ter) i soggetti che nell’anno precedente hanno percepito redditi di lavoro dipendente e redditi assimilati a quelli dì lavoro dipendente, di cui rispettivamente agli articoli 49 e 50 del Tuir, eccedenti l’importo di 30.000 euro; la verifica dì tale soglia è irrilevante se il rapporto di lavoro è cessato.”.

Dunque, dipendenti, pensionati e collaboratori che nel 2019 dichiareranno (anche qui i giochi sono oramai fatti) un reddito d’importo superiore a € 30.000, dal 2020 sono fuori dal regime. Vale la pena sottolineare che la norma prevede che la “verifica dì tale soglia è irrilevante se il rapporto di lavoro è cessato”. Dunque, se alla data del 31 dicembre 2019, il forfetario già tale nel 2019 o aspirante tale dal 2020, ha cessato il rapporto di lavoro dipendente o assimilato anche se la soglia di € 30.000 è stata superata può permanere o accedere al regime. Ciò detto si pongono problemi di coordinamento e di coerenza.

S’immagini il soggetto che ha in corso un rapporto di lavoro nel 2019 e fino al 31 dicembre ha maturato un reddito di siffatta natura di, ad esempio, € 29,000,  e per motivi contingenti (o artatamente costruiti) la mensilità di dicembre e la 13° per complessivi € 2.000, in accordo con il datore, viene erogata dopo il 12 di gennaio 2020: tale importo concorre a formare il reddito nel 2020 e non nel 2019 consentendo al suddetto lavoratore di permanere/entrare nel regime forfetario per il 2020, salvo poi, presumibilmente, uscire dal favorevole regime, dal 2021.

Si pongono, poi, nella pratica altre ipotesi peculiari: s’immagini il soggetto che nel 2019 ha superato la soglia di € 30.000 ed essendo forfetario dal 2020 rientra nel regime ordinario di tassazione con la propria Partita Iva, salvo interrompere il rapporto di lavoro dipendente a gennaio 2020. La logica imporrebbe che il soggetto possa restare forfetario, ma il tenore letterale della disposizione non porta a tali conclusioni. Vale a dire, non è sufficiente che il rapporto di lavoro non sia più in corso per poter fruire del regime forfetario, ma occorre anche che il rapporto non sia più in corso al 31 dicembre dell’anno precedente. Diversamente si arriverebbe al paradosso che il dipendente che nel 2019 ha superato la soglia di reddito di € 30.000 potrebbe accedere al forfetario dal 1° gennaio 2020 (o restare nel regime) avendo contezza che a decorre (esempio) dal 1° marzo il rapporto di lavoro dipendente si concluderà e in questi primi tre mesi dell’anno il reddito di lavoro dipendente non ha raggiunto la soglia di € 30.000.

Diversa è l’ipotesi della apertura della Partita Iva in corso d’anno: qualsivoglia sia il reddito di lavoro dipendente o assimilato percepito se l’apertura della partita Iva avviene successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro, il regime forfetario è alla portata di mano del soggetto neoimprenditore ovvero neo-lavoratore autonomo. Il problema semmai sorge laddove cessato il rapporto di lavoro dipendente e aperta la partita Iva nel regime forfetario il neoimprenditore/lavoratore autonomo, viene assunto come lavoratore dipendente da una altra azienda, ovviamente che non ha alcun collegamento con l’ex datore di lavoro. Sembra poter dire che il “nostro” permarrà nel regime per il 2020 salvo uscirne nel 2021 e ciò a prescindere che il reddito dei due distinti datori di lavoro (ante apertura P.IVA e post apertura) sia ognuno inferiore a € 30.000 posto che è la somma di due a contare ai fini del superamento della soglia.

È bene ricordare, in tema di coesistenza di rapporto di lavoro e partita Iva forfetaria, che resta la disposizione introdotta dal 2019 la quale prevede che non possono avvalersi del regime agevolato le persone fisiche la cui attività sia esercitata prevalentemente nei confronti di datori di lavoro con i quali sono in corso rapporti di lavoro o erano in corso nei due precedenti periodi d’imposta ovvero nei confronti di soggetti agli stessi direttamente o indirettamente riconducibili.

Come resta ferma la nebulosa disposizione la quale prevede che “non possono avvalersi del regime forfetario gli esercenti attività d’impresa, arti o professioni che partecipano contemporaneamente all’esercizio dell’attività, a società di persone o associazioni o imprese familiari di cui all’articolo 5 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (d’ora in poi, TUIR), ovvero che controllano direttamente o indirettamente società a responsabilità limitata o associazioni in partecipazione, le quali esercitano attività economiche direttamente o indirettamente riconducibili a quelle svolte dagli esercenti attività d’impresa, arti e professioni.”. Sottolineiamo nebulosa e per certi versi kafkiana, in considerazione delle imperscrutabili interpretazioni fornite dall’agenzia delle entrate: talvolta incredibilmente a favore del forfetario, altre volte immotivatamente a suo danno. In considerazione della nuova modifica normativa, forse sarebbe opportuna una nuova circolare onnicomprensiva, che abbia soprattutto il pregio di dare ordine e coerenza alla miriade di risposte ad interpello che nel corso del 2019 hanno riguardato (in maniera confusionaria) la tematica (stabilendosi, allo stesso tempo, una sorta di blocco implicito a nuove e contrastanti interpretazioni delle varie DRE sul territorio).

Una ulteriore novità che si ricava dalla lettura dello schema di norma è la sacrosanta previsione che il reddito forfetario, seppure tassato con imposta sostitutiva (e dunque il reddito non cumula con gli altri redditi dichiarati dal soggetto), comunque rileva per il riconoscimento della spettanza o per la determinazione di deduzioni, detrazioni o benefici di qualsiasi titolo, anche di natura non tributaria, al possesso di requisiti reddituali. Si tratta di una disposizione che è stata copiata dalla cedolare secca che già da tempo contiene questa coerente previsione. Dunque, il forfetario anche ai fini ISEE deve considerare il reddito dichiarato nel quadro LM.

Concludiamo questa disamina sui nuovi forfetario dal 2020 per darvi conto di una suggestiva disposizione di favore che viene incontro anche alle richieste delle software-house che spingono (e sul punto bisognerebbe chiedersi come mai) per estendere l’obbligo della fatturazione elettronica anche a soggetti minimi e forfetari che attualmente hanno ancora la possibilità di utilizzare la fatturazione analogica. Ebbene, per i contribuenti che hanno un fatturato annuo costituito esclusivamente da fatture elettroniche, il termine di decadenza per gli accertamenti fiscali (articolo 43, primo comma, del DPR n. 600/73) è ridotto di un anno. Basterà per convincere questi soggetti che non applicano gli ISA a sopportare il costo (certamente contenuto in valore assoluto) per l’istallazione della fattura elettronica?

Da una breve indagine (visto che siamo proprio nel periodo dell’anno interessato) quei clienti (non forfetari e non minimi) con riferimento ai quali il professionista in sede di primo anno di applicazione della fatturazione elettronica si è fatto carico della relativa spesa di istallazione della procedura e di pagamento del traffico, messi di fronte al fatto che dal 2020 se la devono pagare loro, hanno storto il naso quando hanno sentito importi di circa € 200.

Sarà interessante a gennaio capire cosa è successo sul punto, anche perché laddove le prime fatture del 2020 dovessero essere cartacee e solo nel corso dell’anno il forfetario dovesse passare alla fatturazione elettronica, l’anno 2020 è un anno perso ai fini del beneficio di cui trattasi.

Insomma, è abbastanza evidente che per i forfettari si prevede un altro anno di passione!!!

 

Sottotitolo:
di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi