Irap professionisti – la nuova frontiera del contenzioso

Altro giro, altra corsa, prenotare i gettoni alla cassa! La questione dell’assoggettabilità ad Irap del reddito di lavoro autonomo non conosce pace e sembra destinata a richiedere nuovamente un intervento della Cassazione a Sezioni Unite. Non ricordate affatto male: la Suprema Corte a SSUU si è già pronunciata con la sentenza n. 9451 pubblicata il

Altro giro, altra corsa, prenotare i gettoni alla cassa!

La questione dell’assoggettabilità ad Irap del reddito di lavoro autonomo non conosce pace e sembra destinata a richiedere nuovamente un intervento della Cassazione a Sezioni Unite.

Non ricordate affatto male: la Suprema Corte a SSUU si è già pronunciata con la sentenza n. 9451 pubblicata il 10.5.2016 che ha ricevuto un plauso da parte di tutti i professionisti e degli appartenenti all’affollato club del “Si facciano le cose giuste”.

Senonché, anche questa oramai è storia, a distanza di soli tre mesi ebbe a intervenire la sentenza della Cassazione n. 17221 del 19/8/16 (doppiata dalla sentenza n. 17743 del 7 settembre 2016), la quale pur richiamando i contenuti della sentenza delle SSUU, ha però sottolineato che la stessa si sofferma esclusivamente su tre principi, di cui due certi e il terzo da verificarsi di volta in volta:

  • Il primo: se un professionista si avvale di una struttura di altri, non essendone egli responsabile, non è un elemento che comporta la debenza dell’Irap: quindi un professionista che si avvale di un centro di servizi o che si appoggia presso un collega, non per questo potrà essere tacciato di avere una autonoma organizzazione;
  • Il secondo: se il professionista ha un solo collaboratore che ha mansioni meramente esecutive, è evidente che di per sé non può apportare alcun valore aggiunto all’attività svolta dal professionista medesimo, non configurandosi autonoma organizzazione.
  • Il terzo, da verificarsi di volta in volta: se il professionista impiega beni strumentali non eccedenti, secondo l‘id quod plerumque accidit, ossia il principio presuntivo della conclusione più logica possibile, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività, allora non è soggetto ad Irap.

 

 

A questi principi si è attenuta la Cassazione nelle propria pronunce successive, fermo restando che per quanto riguarda la congruità dei beni strumentali, essendo una valutazione di fatto, si è nelle mani del giudice e se la sentenza di legittimità non è soddisfacente non ci sono soluzioni.

L’unica nota positiva è che plurime pronunce della Suprema Corte, almeno nel settore delle attività sanitarie, hanno stabilito con specifico riferimento ai medici che l’attrezzatura, anche di rilevante valore, utilizzata nell’esercizio dell’attività di per sé non costituisce autonoma organizzazione. Secondo la Cassazione, gli “strumenti di diagnosi”, per quanto complessi e costosi rientrano infatti nelle attrezzature usuali (o che dovrebbero esserlo) per i medici. Pertanto, l’uso di una attrezzatura diagnostica seppur costosa non è sufficiente a fare del medico un soggetto passivo IRAP.

In verità anche con riferimento all’utilizzo di strutture esterne al professionista la Cassazione ha ritenuto di operare un distinguo: nella sentenza 27.6.2017 n. 15992 ha stabilito che è possibile desumere l’esistenza di un’autonoma organizzazione dal fatto che il medico dentista, direttore sanitario della struttura all’interno della quale svolgeva la sua attività — che fosse socio o amministratore della compagine che gestiva l’ambulatorio — si avvale per questo di autonoma organizzazione e, pertanto è tenuto al pagamento dell’IRAP. Dunque ciò che depone sfavorevolmente è il rapporto giuridico che lega il professionista alla compagine societaria dove opera e al ruolo concretamente rivestito nella stessa.

 

 

La nuova frontiera del contenzioso Irap

A seguito della richiamata sentenza a SSUU la partita si gioca oggi su altri fronti:

  • la rilevanza dei compensi che il professionista paga a terzi
  • la rilevanza di elevati costi, ricavi e/o reddito, nonchè numerosità della clientela

 

 

In via sufficientemente generalizzata la Cassazione ha stabilito che i compensi pagati a terzi:

  • per attività estranea a quella esercitata dal professionista non sono, in linea generale, indicativi dell’esistenza dell’autonoma organizzazione (enfasi dell’ovvio);
  • se non si tratta di compensi che assicurano al professionista una collaborazione esterna che sostituisce il lavoro dipendente, anche se di entità rilevante, non necessariamente evidenziano il presupposto IRAP.

Questo principio è stato sancito, tra l’altro nelle seguenti sentenze:

  • Cass. 16.4.2014 n. 8914 – il ricorso a consulenti esterni non è sintomo di autonoma organizzazione; anzi, proprio chi non dispone di un’organizzazione articolata è costretto a ricorrere a consulenze esterne. I compensi corrisposti a consulenti esterni hanno consentito, dunque, ad un professionista di dimostrare che l’attività professionale svolta non era soggetta a IRAP.
  • Cassazione n. 17221 del 19/8/16 – In applicazione del principio di diritto stabilito con la sentenza n. 9451/16 è stato affermato che non è possibile desumere la sussistenza di autonoma organizzazione solo sulla base della presenza di “compensi a terzi”, dell’utilizzo di beni strumentali e del pagamento di canoni di locazione (elementi questi ritenuti non decisivi ai fini della sussistenza del presupposto impositivo), dovendosi, invece, effettuare la necessaria valutazione dell’eccedenza dei beni rispetto al minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività ed al superamento della detta soglia minima.
  • Cass. 20.1.2017 n. 1476 – non sussiste il presupposto dell’autonoma organizzazione per il professionista (ingegnere) che si avvale costantemente per l’annualità oggetto di giudizio, di lavoro altrui (società esterne per indagini geognostiche e geotecniche e per consulenza fiscale) elargendo i relativi compensi.
  • Cassazione n. 521 dell’11/1/17 – In applicazione del principio di diritto stabilito con la sentenza n. 9451/16 è stato affermato che in tema di Irap non sussiste il presupposto dell’autonoma organizzazione per il professionista (commercialista) per il solo fatto che le spese per i beni strumentali e le collaborazioni di terzi erano state ritenute “significative”, ammontando a circa 50.000 euro per ogni anno, laddove non sia stato valutato se la natura delle spese effettuate (viaggi, aggiornamenti, affidamento a terzi di attività contabili) possa avere contribuito effettivamente al reddito del ricorrente.

 

Senonché, occorre sottolineare che con pronunce in questo contesto contraddittorie, la Cassazione in più occasioni ha affermato che lo svolgimento della attività in forma associata (associazione tra professionisti) di per se configura autonoma organizzazione.

Cassazione n. 3792 del 15/2/18 – L’esercizio di professioni in forma collettiva (associazioni professionali, studi associati, società semplici esercenti attività di lavoro autonomo, etc.) costituisce ex lege presupposto dell’Irap, senza che occorra accertare in concreto la sussistenza di un’autonoma organizzazione, questa essendo implicita nella forma di esercizio dell’attività, con la sola eccezione della cd. medicina di gruppo. Al riguardo, prosegue le Suprema Corte, nessuna rilevanza ha il fatto che le professioni considerate possano essere diverse.

 

Quello che stride è che secondo questa pronuncia, l’esercizio in forma associata della professione denota sempre autonoma organizzazione essendo questa implicita nella forma di esercizio dell’attività: badate bene che anche lo studio associato che semplicemente ha la funzione di ripartire i costi della struttura (segretaria, fitto, condominio) senza alcuna sinergia operativa tra gli associati secondo l’opinabile pronuncia della Corte, fa comunque ricadere l’associazione nella debenza dell’Irap; diversamente più professionisti operanti all’interno dello stesso studio pur fatturandosi reciprocamente le proprie prestazioni  non configurano autonoma organizzazione e, dunque, non sono soggetti ad Irap. Il che francamente lascia perplessi.

 

Dando atto di una recente pronuncia della cassazione (n. 14509 del 9/7/20) chiudiamo il cerchio che, diciamo sin da ora, si arrotola su se stesso. Secondo la Corte in tema di IRAP, i redditi conseguiti e le spese complessivamente sostenute nell’esercizio della professione non sono di per sé sufficienti a dimostrare l’esistenza del requisito dell’autonoma organizzazione che costituisce presupposto per l’assoggettamento all’imposta.

Nel caso di specie, dalla dichiarazione dei redditi di un commercialista senza dipendenti emergeva l’esistenza di spese considerevoli, le quali, così come evidenziato dal professionista, erano per lo più composte da:

  • spese condominiali e rendita catastale di un immobile a uso promiscuo destinato a studio e abitazione;
  • quote ammortamento del motoveicolo e dell’autovettura, utilizzati per gli spostamenti;
  • spese per PC e mobili per ufficio;
  • spese telefoniche;
  • spese per viaggi e trasferte nell’interesse dei clienti.

La Cassazione ha ricordato che secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità con riguardo al presupposto dell’IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione ricorre quanto il contribuente:

  • sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;

    • impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive».

La Corte, inoltre, afferma che il valore assoluto dei compensi e dei costi, e il loro reciproco rapporto percentuale, non costituiscono elementi utili per desumere il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione di un professionista, atteso che:

  • da un lato, i compensi elevati possono essere sintomo del mero valore ponderale specifico dell’attività esercitata;
  • dall’altro, le spese consistenti possono derivare, come nel caso di specie, da costi strettamente afferenti all’aspetto personale (spese alberghiere o di rappresentanza, assicurazione per i rischi professionali o il carburante utilizzato per il veicolo strumentale), rappresentando, così, un mero elemento passivo dell’attività professionale, non funzionale allo sviluppo della produttività e non correlato all’implementazione dell’aspetto organizzativo.

Dunque, si ricavano da questa sentenza due elementi.

Primo: sostenere ingenti costi riferiti alla gestione dello studio non è sintomo di per se di autonoma organizzazione ma al limite di megalomania del professionista. Ordunque un professionista narcisista che ha uno studio che non ha nulla da invidiare alla sede di una banca non significa che per forza debba essere soggetto ad Irap. Semplicemente (insieme alla sua segretaria) si affaccerà quotidianamente alla finestra imperiale della propria reggia per farsi plaudire dalle folle. 

Secondo: un professionista che ha rilevanti compensi (beato lui) non significa che per questo si avvalga di una organizzazione rilevante ai fini Irap. D’altronde la sentenza della cassazione che ha dato ragione al famoso cantante e intrattenitore Fiorello è nota a tutti.

Tutto ciò però non risulta dirimente, intanto perchè una sentenza non fa primavera e poi perché resta il quesito più importante da sciogliere: ribaltare parte del proprio lavoro su altri colleghi, per attività in appalto (esempio, contabilità), oppure per pareri professionali da colleghi e poi rifatturate a propri clienti comporta organizzazione rilevante ai fini Irap?

A ben vedere la risposta dovrebbe essere molto semplice: che il parere richiesto al collega e rifatturato al proprio cliente ha certamente costituito un elemento che ha accresciuto i ricavi dello studio è certo, così come appaltare a terzi la gestione della contabilità affidata dai propri clienti si traduce al momento della emissione della parcella al cliente in un ricavo.

Ma tutto questo cosa c’entra con l’esercizio dell’attività organizzata? L’esternalizzazione dei servizi è proprio la prova che il professionista non intende (o non è in grado) di sobbarcarsi l’onere di gestire una organizzazione interna e si affida a terzi.

Sottotitolo:
I costi elevati rivelano l’autonoma organizzazione?
Autore/i:
Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi