La certezza del diritto trova l’approdo

Di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi People Lending Money   Nel tempestoso mare del “fisco” italiano qualsiasi tentativo di fare chiarezza è sicuramente da accogliere con estremo piacere. Da qui a pensare che un solo decreto possa risolvere la miriade di dubbi e perplessità di un sistema ormai sin troppo “intasato” da norme sparse ovunque,

Di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi

 

Nel tempestoso mare del “fisco” italiano qualsiasi tentativo di fare chiarezza è sicuramente da accogliere con estremo piacere. Da qui a pensare che un solo decreto possa risolvere la miriade di dubbi e perplessità di un sistema ormai sin troppo “intasato” da norme sparse ovunque, ovviamente è pura utopia.

Una delle novità estive in campo tributario è rappresentata dal decreto denominato, forse in maniera velleitaria, “certezza del diritto” (D. Lgs. 128/15), che ha provato a mettere ordine nella materia sin troppo sfuggente dell’abuso del diritto.

Si anticipa sin d’ora che l’argomento raramente ha interessato gli accertamenti nei confronti del professionista ed è di pura derivazione giurisprudenziale: volendo semplificare al massimo, si tratta della possibilità concessa all’amministrazione finanziaria di sindacare operazioni aziendali e comunque comportamenti fiscali che, seppur in linea con le disposizioni applicate, avevano il solo scopo di raggiungere un risparmio fiscale, in violazione dunque del principio sancito dall’articolo 53 della Costituzione, secondo cui tutti devono concorrere alla spesa pubblica in proporzione alle proprie capacità reddituali.

 

Le operazioni elusive

In pratica, nel tempo sono stati notificati numerosi accertamenti in presenza di scelte dei contribuenti che, seppur a prima vista legittime in quanto non contrarie alla norma, in realtà rappresentavano la combinazione delle diverse disposizioni esistenti per aggirare il prelievo tributario.

È evidente che si è in un vero e proprio “campo minato”, dove anche il legislatore a fatica ha provato almeno a dettare delle linee guida, che possono tradursi nell’obbligo dell’amministrazione finanziaria di provare l’intento elusivo perseguito e, di contro, nell’onere del contribuente aggredito di dimostrare la validità economica delle scelte effettuate, non aventi come scopo unico e prioritario il risparmio fiscale.

 

Il raddoppio dei termini per l’accertamento

Come detto l’argomento è di basso impatto in relazione all’attività professionale, ma il decreto sulla certezza del diritto reca anche un’ulteriore disposizione che interviene in un tema molto sentito a livello generale, ossia quello del raddoppio dei termini di accertamento in presenza di un reato tributario. Ricordando a beneficio di tutti la norma, in forza di quanto stabilito dall’art. 43 DPR n. 600/73 (norma di accertamento per le imposte dirette quali Irpef, Ires, addizionali e Irap) e dall’art. 57 DPR n.633/72 (norma di accertamento in campo IVA), in riferimento alle violazioni che comportano l’obbligo di denuncia per i reati fiscali (D.Lgs. n. 74/2000), i termini che consento l’accertamento sono raddoppiati avendo come riferimento il periodo d’imposta in cui l’illecito è stato commesso. Qualora ricorra l’ipotesi, consegue che:

  • nel caso in cui la dichiarazione sia stata presentata, il termine di notifica dell’accertamento scade il 31.12 dell’ottavo anno successivo alla presentazione della dichiarazione. Ad esempio, in caso di reato relativo ad una fattispecie commessa del 2010, la tempistica di accertamento, ordinariamente avente termine al 31 dicembre 2015 (quarto anno successivo ad Unico 2011 riferito all’anno 2010), sarebbe allungata fino al 2019;

  • nel caso in cui la dichiarazione non sia stata presentata, il termine di notifica dell’accertamento scade addirittura il 31.12 del decimo anno successivo a quello relativo alla dichiarazione omessa o nulla. In questa ipotesi l’esempio deve essere riferito ad una dichiarazione omessa del 2009; l’eventuale conclamarsi di un reato tributario estenderebbe il termine ordinario di accertamento, previsto al 31 dicembre 2015 (quinto anno successivo ad Unico 2010), al 2020.

 

Perché la necessità di una norma chiarificatrice

In tale sede non si ha la pretesa di ripercorrere le vicende che hanno caratterizzato tale disposizione, a partire dalla sua introduzione e dalla relativa applicazione retroattiva anche ad annualità ormai “chiuse” sul piano accertativo, con enormi polemiche e inevitabile contenzioso. Basti dire che a parere dell’amministrazione finanziaria era possibile, in presenza di una notizia di reato tributario, ad esempio acquisita nel 2014, accertare anche l’anno 2007, sebbene lo stesso non fosse più accertabile sin dal 2012 (ovviamente in caso di dichiarazione presentata).

Un primo parziale intervento a contenere una simile dirompente disposizione è avvenuto ad opera della Corte Costituzionale, che nell’affermare la legittimità della disposizione ha altresì rimarcato la necessità che non vi fossero utilizzi strumentali al mero ottenimento del raddoppio dei termini, spettando al giudice tributario il vaglio del ricorrere delle circostanze normative: per la nota separazione dei processi tributari e penali, è evidente che l’esito della controversia penale favorevole al contribuente, magari con l’assoluzione/archiviazione/non luogo a procedere, non comporta, automaticamente, l’infondatezza dell’accertamento, ma la pronuncia penale deve essere vagliata, secondo le regole proprie del procedimento tributario, dalla Commissione investita della controversia.

Anche la giurisprudenza di merito ha preso diverse volte posizione sul tema, individuando alcune fattispecie in cui il raddoppio dei termini si ritiene non operante. È il caso, ad esempio, della prescrizione del reato, o ancora dell’accertamento con adesione con contenimento degli importi concordati al di sotto delle soglie di punibilità.

 

La soluzione nel decreto certezza del diritto

Ad evitare il proseguire delle polemiche, ha provveduto proprio il decreto sulla certezza del diritto, con una modifica normativa particolarmente incisiva. Infatti, nell’ambito dei citati art. 43 DPR n.600/73 e art. 57 DPR n. 633/72, è ora espressamente statuito che: “il raddoppio non opera qualora la denuncia da parte dell’Amministrazione Finanziaria, in cui è compresa la Guardia di Finanza, sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui ai commi precedenti”.

In termini pratici è dunque previsto che, in pendenza del termine ordinario di accertamento, l’Agenzia delle Entrate debba trasmettere/presentare la denuncia di reato; solo qualora rispetti tale termine avrà diritto al raddoppio dei termini di accertamento.

Tornando agli esempi richiamati in precedenza, questo significa che relativamente al 2010, in caso di dichiarazione correttamente presentata, una volta decorsi in termini ordinari di accertamento (ossia una volta che è sopraggiunto il 31 dicembre 2015), l’annualità è definitivamente prescritta in ambito tributario, non potendo più essere accertata anche se nel corso del 2016 dovesse subentrare una segnalazione per un reato tributario.

Viene così meno, definitivamente, una fonte di contrasto tra contribuenti e fisco, soprattutto in relazione a quelle situazioni, purtroppo verificatesi nel passato, in cui è stato utilizzato in maniera strumentale il raddoppio dei termini di accertamento, per superare l’ordinario spirare dei termini normativi.

 

La penalizzante norma transitoria

Tutto però non poteva filare liscio, atteso che l’Amministrazione Finanziaria non poteva perdere parte del lavoro nel frattempo svolto. Il legislatore, pertanto, nell’attuare il noto adagio “un colpo al cerchio e uno alla botte”, ha pensato bene di prevedere una norma transitoria per la prima applicazione, stabilendo che fossero fatti salvi gli atti impositivi notificati sino al 2 settembre 2015.

Stessa sorte, peraltro, potrà riguardare gli inviti a comparire e i processi verbali di constatazione già notificati o consegnati entro il 2 settembre2015, relativamente alle cui contestazioni, anche antecedenti al 2010, sarà possibile (per il fisco) beneficiare del raddoppio dei termini a condizione che l’atto impositivo venga notificato entro il 31.12.2015.

Sul punto è auspicabile che non si assista ad un’indiscriminata consegna di accertamenti emanati in tutta fretta e senza il famoso vaglio dei 60 giorni successivi alla consegna dei PVC.

Ad ogni buon conto, passato il 2015 non si avranno più dubbi interpretativi: o la notizia del reato tributario sopravviene prima dei termini ordinari di accertamento, oppure il raddoppio non sarà mai possibile.