La segretaria dello studio professionale non comporta assoggettamento ad Irap

di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi

Meglio tardi che mai

 

Dopo avere per anni, su questo sito, invocato a gran voce un atto di civiltà contenziosa, giunge finalmente e assai tardivamente l’invocata sentenza a Sezioni riunite della Suprema Corte di Cassazione.

La circostanza che il professionista nell’ambito della propria attività si avvalga di personale dipendente non configura di per sé la presenza di una autonoma organizzazione rilevante ai fini dell’assoggettamento ad imposta.

La Suprema Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con sentenza n. 9451 pubblicata il 10.5.2016 (Presidente: Cicala, Relatore: Greco) ha respinto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Regionale della Campania confermando la spettanza del rimborso all’avvocato che si era visto negato il rimborso dell’imposta versata e ritenuta non dovuta, posto che aveva come (unico) dipendente una segretaria.

 

La storica sentenza enuncia il seguente principio di diritto: 

 

“Con riguardo al presupposto dell’IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione – previsto dall’art. 2 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 446 -, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente:

 

a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; 

 

b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive”.

 

I principi enunciati sono pregevoli e numerosi, poiché non si fermano alla circostanza, in parte già sancita da alcune precedenti sentenze della Corte di Cassazione (altre sono risultate invece esattamente contrarie) che l’utilizzo di un lavoratore dipendente con mansioni meramente esecutive non può portare alcun valore aggiunto all’attività professionale e non può implicare la presenza di una organizzazione, ma sancisce anche che il professionista non può essere assoggettato a Irap se è inserito, ad esempio, nell’ambito di un altro studio i cui dipendenti rispondono, sotto il profilo legale e gerarchico, ad altri professionisti che operano negli stessi locali. In altre parole il professionista che si appoggia presso un collega utilizzando una stanza attrezzata e che utilizza i soli servizi di segreteria non deve pagare Irap, poiché la struttura del collega non risponde e non dipende dal professionista “ospite”.

Inoltre, da alcuni passaggi della sentenza emerge che l’utilizzo di lavoratori occasionali non comporta mai assoggettamento ad Irap per il professionista che si avvale della loro opera e che i principi fin qui enunciati valgono anche per l’artista nonchè si estendono a quelle “figure di confine” già in precedenza intercettate dalla Corte di Cassazione e definibili in una espressione sintetica, “imprenditori individuali artigiani”, quali idraulici, elettricisti, imbianchini, etc..

 

Dunque, ha fatto centro l’avvocato che ha difeso sé stesso in Cassazione chiedendo a rimborso l’Irap pagata negli anni dal 2000 al 2004. Resta la frustrazione per tutte quelle sentenze della Corte di Cassazione che nell’analizzare nel tempo casi identici e argomentati in sede difensiva nel medesimo modo rispetto a quella analizzata dalle SSUU, li ha respinti, costringendo i professionisti, che oggi sarebbero stati considerati “innocenti”, a versare magari imposta, sanzioni e interessi.

La suprema Corte, nell’argomentare le proprie conclusioni, ripercorre gli orientamenti giurisprudenziali delle diverse Sezioni della Cassazione, facendo presente che con l’ordinanza del gennaio 2015 la sezione tributaria ha ravvisato (N.d.A, era ora!) nella giurisprudenza della Corte di cassazione, con riguardo al presupposto dell’imposta regionale sulle attività produttive, fissato dal D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, e segnatamente al concetto di “autonoma organizzazione”, un contrasto fra un orientamento più radicato – di cui costituisce espressione Cass. n. 3676 del 2007 -, secondo cui la presenza anche di un solo dipendente, anche se part time ovvero addetto a mansioni generiche, determinerebbe di per sé l’assoggettamento all’imposta, ed un orientamento più recente, secondo cui sarebbe invece necessario accertare in punto di fatto l’attitudine del lavoro svolto dal dipendente a potenziare l’attività produttiva al fine di verificare la ricorrenza del presupposto stesso.

Oggi, In modo dirimente, le SSUU affermano, che se fra “gli elementi suscettibili di combinarsi con il lavoro dell’interessato, potenziandone le possibilità necessarie”, accanto ai beni strumentali vi sono i mezzi “personali” di cui egli può avvalersi per lo svolgimento dell’attività, perché questi davvero rechino ad essa un apporto significativo occorre che le mansioni svolte dal collaboratore non occasionale concorrano o si combinino con quel che è il proprium della specifica (professionalità espressa nella) “attività diretta allo scambio di beni o di servizi”, di cui fa discorso il D.Lgs. n. 946 del 1997, art. 2, e ciò vale tanto per il professionista che per l’esercente l’arte, come, più in generale, per il lavoratore autonomo ovvero per le figure “di confine” individuate nel corso degli anni dalla giurisprudenza di questa Corte. E’ infatti in tali casi che può parlarsi, per usare l’espressione del giudice delle leggi, di “valore aggiunto” o, per dirla con le pronunce della sezione tributaria del 2007, di “quel qualcosa in più”.

Detto questo, si apre ora la corsa alle richieste di rimborso per l’Irap pagata nei 48 mesi precedenti (facendo riferimento per calcolare i 48 mesi al saldo dell’imposta e non agli acconti versati l’anno prima).

Tutto è bene quel che finisce bene.

Ma quanta amarezza.

Una storia che non doveva mai nascere o che seppure partorita, doveva concludersi molti anni fa: perché sin da subito è risultata del tutto palese la diatriba tra le stesse diverse sezioni della Cassazione. Una pronuncia, quella resa con sentenza n. 9451 pubblicata il 10.5.2016, che senza voler essere considerati provocatoriamente polemici, doveva essere fornita in modo ragionevolmente tempestivo, risparmiando notevoli costi da parte dei contribuenti e della PA, dal momento che anche le risorse messe in campo dall’Agenzia sono state in questo decennio, notevoli!

Senza considerare coloro i quali oggi non possono più ricorrere, perché la sentenza della Cassazione che ha respinto lo loro ragioni non è più appellabile.

La giustizia è (rectius, dovrebbe essere) uguale per tutti.