Marito e moglie – Come separarsi senza arricchire il Fisco

Di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi   Non accade, ma se accade è bene sapere quale sono le implicazioni di carattere fiscale di un’eventuale separazione tra coniugi. Tra gli altri aspetti che caratterizzano un simile evento, l’attribuzione, in forza di una decisione giudiziaria, dell’obbligo di corrispondere assegni alimentari e/o a titolo di alimenti, genera in

Di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi

 

Non accade, ma se accade è bene sapere quale sono le implicazioni di carattere fiscale di un’eventuale separazione tra coniugi. Tra gli altri aspetti che caratterizzano un simile evento, l’attribuzione, in forza di una decisione giudiziaria, dell’obbligo di corrispondere assegni alimentari e/o a titolo di alimenti, genera in capo all’obbligato il diritto al riconoscimento di un onere deducibile e, al percettore, l’obbligo di sottoporre a tassazione l’importo medesimo. In termini pratici il legislatore ha inteso temperare le diverse posizioni, riconoscendo valenza sociale all’onere sostenuto e allo stesso tempo determinando in capo al percettore una tassazione in funzione delle sue aliquote marginali, nonchè riconoscendo le detrazioni attribuite ai titolari di redditi di pensione. In tal modo, al soggetto economicamente forte, ossia il codice chiamato ad adempiere a favore dell’ex, viene riconosciuto un beneficio fiscale che consente la deducibilità dell’importo corrisposto, con dunque risparmio della propria aliquota marginale. Immaginando che tale aliquota sia del 43% (tralasciando le addizionali) l’erogazione di 20 mila euro all’ex coniuge consente un risparmio fiscale di 8.600,00 euro. Di contro, l’ex coniuge percettore è sottoposto a tassazione, ma non volendo vessare un contribuente “meno forte” economicamente, si decide l’imposizione in forza della sua aliquota marginale (può immaginarsi al 23%), con riconoscimento delle detrazioni d’imposta, in modo da contenere il relativo prelievo fiscale.

 

Come si deduce l’assegno periodico

Per esplicita previsione normativa, sono deducibili gli assegni corrisposti al coniuge, anche se residente all’estero, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento di matrimonio, di divorzio. Gli assegni periodici sono deducibili nella misura in cui risultano in base a provvedimento della autorità giudiziaria. Particolare attenzione deve essere posta nell’ipotesi di assegno di mantenimento: lo stesso è deducibile solo per la parte spettante al coniuge e tale quota, se non è diversamente esplicitato, si presume essere pari al 50% dell’importo totale. L’assegno alimentare è, invece, deducibile per il suo intero importo (C.M. 17 maggio 2000, n. 95/E, p. 1.5.2). Se la sentenza del giudice prevede un criterio di adeguamento automatico dell’assegno, la deduzione spetta anche in riferimento a tale adeguamento. Le maggiori somme corrisposte al coniuge a titolo di adeguamento Istat potranno essere dedotte solo nel caso in cui la sentenza del giudice preveda un criterio di adeguamento automatico dell’assegno dovuto al coniuge medesimo. Resta esclusa la possibilità di dedurre assegni corrisposti volontariamente dal coniuge al fine di sopperire alla mancata indicazione da parte del Tribunale di meccanismi di adeguamento dell’assegno di mantenimento (risoluzione n. 448/E del 2008). Nella circolare n. 50 del 2002 l’Agenzia delle Entrate aveva asserito che nell’ambito degli assegni al coniuge che danno diritto alla deduzione dal reddito non è configurabile la fattispecie in cui si procede al pagamento del mutuo per conto dell’ex coniuge, atteso che “le somme destinate alle rate di mutuo, che non vengono corrisposte al coniuge stesso, bensì direttamente all’istituto mutuante, non sembrano collegate ai medesimi presupposti dell’assegno di mantenimento”. Tale conclusione è stata totalmente smentita dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 6794 depositata il 2 aprile 2015, che ha evidenziato come il codice civile, agli articoli 1268 e seguenti, stabilisce che l’accollo rappresenta una delle modalità di estinzione dell’obbligazione diverse dall’adempimento, con la conseguenza che “non è chi non veda che a mezzo di siffatta modalità la coniuge debitrice è rimasta di certo sollevata dall’onere di adempiere in prima persona, in tal modo avvantaggiandosi, nell’ottica del sollievo dallo stato di bisogno, alla stessa stregua di come sarebbe avvenuto se la corresponsione dell’assegno periodico fosse avvenuto direttamente a suo favore con le modalità consuete”.

 

La tassazione in capo al percettore

Per il coniuge percipiente gli assegni rientrano tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente. Gli arretrati degli assegni per alimenti all’ex coniuge non sono soggetti a tassazione separata ma a tassazione ordinaria in quanto la nozione di emolumenti arretrati riguarda solo i lavoratori dipendenti e altre specifiche categorie di lavoratori assimilati a questi (nota 17 luglio 1997, n. 984).

 

L’assegno una tantum

Si è già anticipato che il meccanismo in precedenza descritto opera in presenza di un assegno periodico riconosciuto all’ex coniuge. Se invece si è in presenza di un assegno corrisposto in unica soluzione, non esiste alcuna implicazione fiscale: il pagatore non ha un onere deducibile, mentre il percettore non determina un reddito imponibile. Tali conclusioni sono state condivise dalla Corte Costituzionale (ordinanze n. 383 del 2001 e 113 del 2007), che ha dichiarato la non incostituzionalità della disposizione in esame, non potendosi rendere deducibile dal reddito un trasferimento squisitamente patrimoniale. L’assunto, peraltro, resta valido anche a prescindere dalle modalità con cui si intende adempiere all’accordo in unica soluzione, posto che in diverse occasioni il contribuente procede al pagamento rateale di quanto pattuito. L’Agenzia delle Entrate già con la risoluzione n. 153 del 2009 aveva espresso il proprio parere negativo alla deducibilità di assegni una tantum pagati ratealmente, sottolineando come la particolare connotazione giuridica che caratterizza la liquidazione una tantum dell’ammontare stabilito per il mantenimento del coniuge permane anche nell’ipotesi in cui sia prevista la corresponsione di un importo complessivo, il cui versamento sia frazionato in un numero definito di rate. La possibilità di rateizzare il pagamento costituisce, infatti, solo una diversa modalità di liquidazione dell’importo pattuito tra le parti, il quale mantiene comunque la caratteristica di dare risoluzione definitiva ad ogni rapporto tra i coniugi e non va quindi confuso con la corresponsione periodica dell’assegno, il cui importo è invece rivedibile nel tempo. Sul tema è poi intervenuta di recente la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9336 dell’8 maggio 2015, che ha il pregio di ribadire con chiarezza i due assunti fondamentali della vicenda: non deducibilità, per il pagatore, dell’assegno erogato all’ex coniuge in unica soluzione; non tassabilità del medesimo importo in capo al coniuge percettore.

 

Valutazioni conclusive

È evidente, dunque, che la scelta dell’una o altra soluzione porta a stravolgimenti consistenti in termini fiscali, dovendo le persone interessate fare calcoli di convenienza ben precisi. Tornando all’esempio iniziale, se è vero che ogni anno il soggetto pagatore è inciso per 11.400,00 euro (20.000,00 pagati al coniuge al netto del risparmio fiscale di 8.600,00 euro), è altrettanto vero che magari un accordo una tantum, per 200 mila euro, da un lato non reca vantaggi fiscali, ma dall’altro consente di chiudere definitivamente ogni potenziale controversia, senza dover mai più tornare sulla vicenda, sia per quanto riguarda eventuali adeguamenti decisi dall’autorità giudiziaria, sia in termini di “durata” della corresponsione dell’assegno (che potrebbe andare ben oltre il semplice parallelo di 10 anni con cui si rapportano i valori dell’esempio), sia, ancora, in ordine ad eventuali modifiche normative (non è da escludere, infatti, che il legislatore possa avere ripensamenti sugli oneri deducibili, come spesso è accaduto in passato). Senza considerare che può essere utile anche psicologicamente definire la questione senza strascichi nei rapporti negli anni. Il percettore, da parte sua, deve mettere a confronto l’importo netto periodico (magari pari a 17 mila euro annui), con il complessivo importo immediato di 200 mila euro esente da imposizioni, che a sua volta potrà essere utilmente investito in attività redditizie. Anche in tal caso, inoltre, si è immuni da qualsiasi futura variazione normativa, che potrebbe portare ad un innalzamento della pressione fiscale, oltre a contenere il “rischio” solvibilità e rintracciabilità dell’ex coniuge. Che dire in conclusione. Sicuramente è preferibile che mai nulla accada. Ma se qualcosa dovesse succedere, sapere che le diverse tipologie di accordo conducono ad implicazioni del tutto difformi e con riflessi economici non di poco conto, sicuramente è importante per un’idonea valutazione della soluzione da intraprendere.