Professionista con attività svolta all’estero

L’art. 23, comma 1 lett. d) del Tuir stabilisce che i redditi di lavoro autonomo sono soggetti ad imposizione in Italia se l’attività è esercitata nel territorio dello Stato italiano. Ne deriva, dunque, al contrario, che ove l’attività sia svolta all’estero il relativo reddito deve essere tassato solo all’estero; ma come vedremo questa affermazione è

L’art. 23, comma 1 lett. d) del Tuir stabilisce che i redditi di lavoro autonomo sono soggetti ad imposizione in Italia se l’attività è esercitata nel territorio dello Stato italiano. Ne deriva, dunque, al contrario, che ove l’attività sia svolta all’estero il relativo reddito deve essere tassato solo all’estero; ma come vedremo questa affermazione è troppo tranciante e occorre effettuare necessari approfondimenti.

 

Il lavoratore autonomo italiano con studio all’estero

La maggior parte delle volte il caso che si presenta è quello del lavoratore autonomo fiscalmente residente in Italia, con studio nel nostro paese, che ha anche uno studio in un paese estero. Non è solo il caso di attività legali (avvocati e commercialisti) ma anche di attività sanitarie (studi medici, dentistici) o tecniche (architetti, ingegneri).

Dunque, in caso di doppio studio (Italia ed estero) si tratta di comprendere come debba essere tassato il suddetto professionista, con premessa che gli sportivi e gli artisti nonché gli amministratori di società (che non sono oggetto di questo contributo) hanno regole proprie.

E’ pacifico che per il reddito prodotto in Italia dal soggetto fiscalmente residente in Italia si applicano le regole generali (Modello Redditi PF, compilazione del quadro RE). Più complesso comprendere se, con riferimento all’attività professionale svolta all’estero dal soggetto residente in Italia, il reddito debba essere tassato (anche) in Italia ovvero solo all’estero.

La soluzione passa attraverso l’analisi delle Convenzioni contro le doppie imposizioni tra l’Italia e il paese estero in cui il lavoratore autonomo ha operato. Va detto che le convenzioni ricalcano per la maggior parte lo schema OCSE che costituisce un riferimento comune sufficientemente seguito.

Va ulteriormente fatto presente che in mancanza di Convenzione il reddito del lavoratore autonomo fiscalmente residente in Italia, anche se svolto all’estero, è sempre tassato nel nostro paese, senza alcuna necessità di indagine.

Di seguito riportiamo, a titolo di esempio, l’articolo 14 della convenzione tra l’Italia e la Francia.

 

Articolo 14

Professioni indipendenti

1. I redditi che un residente di uno Stato contraente ritrae dall’esercizio di una libera professione o da altre attività indipendenti di carattere analogo sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale residente non disponga abitualmente, nell’altro Stato contraente, di una base fissa per l’esercizio delle sue attività. Se egli dispone di tale base fissa, i redditi sono imponibili nell’altro Stato contraente ma unicamente nella misura in cui sono imputabili a detta base fissa.

2. L’espressione «libera professione» comprende in particolare le attività indipendenti di carattere scientifico, letterario, artistico, educativo o pedagogico, nonché le attività indipendenti dei medici, avvocati, ingegneri, architetti, dentisti e contabili.

 

Dunque, si tratta di comprendere cosa significa “base fissa”.  Sul punto, il Commentario OCSE, nell’osservare che (con riferimento allo schema di Convenzione OCSE) l’articolo 14 è stato abrogato, ha precisato che il reddito dei lavoratori autonomi è di fatto confluito nell’articolo 7 del medesimo schema, ossia quello dei redditi prodotti da imprese. Ne consegue che la nozione di “base fissa” deve essere mutuata sulla scorta delle disposizioni dell’art. 5 del modello OCSE concernente la stabile organizzazione che è un concetto tipico delle imprese.  In particolare, il Commentario OCSE all’art. 14 abrogato (paragrafo 3) precisa che – dal momento che le disposizioni dell’art. 14 sono simili a quelle dell’art. 7 del Modello OCSE, in quanto si basano sugli stessi principi – le disposizioni dell’art. 7 e il relativo Commentario possono essere utilizzati per interpretare ed applicare l’art. 14.

Tuttavia, la Risoluzione n. 154/2009 dell’Agenzia delle entrate, ha chiarito che il termine stabile organizzazione, tipizzato nel nostro ordinamento all’articolo 162 del Tuir, si riferisce esclusivamente ad attività di natura imprenditoriale, mentre il termine “base fissa” indica un autonomo centro di imputazione di interessi giuridico-tributari per lo svolgimento di attività di lavoro autonomo. A questo proposito è importante sottolineare prosegue l’Agenzia delle entrate che, se è vero che il modello OCSE, cui usualmente le convenzioni contro le doppie imposizioni fanno riferimento, ha abrogato la distinzione tra stabile organizzazione (attività d’impresa) e base fissa (lavoro autonomo) determinando una sostanziale equiparazione tra le due espressioni, è altrettanto vero e significativo ai fini dell’interpretazione della norma, che l’Italia ha formalmente espresso riserva per continuare ad includere nelle convenzioni un articolo specifico riguardante l’imposizione dei redditi che derivano dall’esercizio di professioni indipendenti. La riserva conferma la volontà di continuare a distinguere l’attività commerciale da quella autonoma (riserva sull’art. 3 del modello OCSE).

Tanto premesso, secondo l’interpretazione degli organi deputati alle verifiche fiscali, il professionista residente in Italia con studio all’estero può non essere tassato in Italia su detti redditi esteri solo se dimostra la disponibilità all’estero di una struttura di propria pertinenza, vale a dire il possesso a qualunque titolo di locali cui può accedere in autonomia senza l’ausilio di terzi per svolgere la propria attività professionale.

Ciò significa che laddove il professionista (ad esempio, un medico) si reca in Francia e, presso lo studio di un collega francese, esegue delle prestazioni ai suoi pazienti senza tuttavia avere la disponibilità dei locali, il relativo reddito prodotto in Francia è tassato solo in Italia, poiché manca una base fissa. Viceversa, se il suddetto professionista ha la disponibilità dei locali (in altre parole ha le chiavi per entrare e può farlo in qualunque momento senza che nulla gli eccepisca il collega francese) allora il relativo reddito deve essere tassato solo in Francia.

 

Il lavoratore autonomo estero con studio in Italia

Ribaltiamo la situazione e ipotizziamo che un soggetto residente in Francia si rechi periodicamente in Italia per svolgere attività professionale. Se in Italia ha una base fissa i relativi redditi saranno tassati (solo) in Italia. In questo caso il committente della prestazione, se sostituto d’imposta, dovrà applicare la ritenuta a titolo d’imposta del 20% prevista dal comma 1 dell’articolo 25 del DPR n. 600/1973, come chiarito dalla Risoluzione 11 giugno 2009 n. 154. Con questo si intende dire che non si applica la ritenuta a titolo d’imposta del 30% pure prevista dall’articolo 25 e riservata ai soggetti non residenti (ad esempio prestazioni occasionali di lavoro autonomo), poiché il reddito del professionista il quale possiede in Italia una base fissa è equiparato a tutti gli effetti al reddito del lavoratore autonomo residente in Italia e, dunque, la sua determinazione deve avvenire in modo analitico (incassi – pagamenti) e la ritenuta del 20% è a titolo di acconto.  In questo caso il committente dovrà rilasciare la CU e compilare il Modello 770 indicando il percettore.

Se, viceversa il lavoratore autonomo francese, non possiede una base fissa in Italia egli è tassato in Francia ma non in Italia e non deve essere operata da eventuali sostituti d’imposta italiani alcuna ritenuta.

 

Il lavoratore autonomo e il concetto di residenza

Ma a volte la realtà supera la fantasia.

Immaginiamo quel lavoratore autonomo nato e cresciuto in Italia che svolge la propria attività professionale all’estero e che saltuariamente svolge anche in Italia la propria attività professionale, senza avvalersi nel nostro paese di una base fissa, posto che viene chiamato di volta in volta da cliniche specialistiche per delicati interventi chirurgici. Il suddetto lavoratore autonomo, iscritto all’AIRE, permane al di fuori di territorio italiano per oltre 183 giorni l’anno e, dunque, per oltre la metà del periodo d’imposta.

Si può considerare un soggetto fiscalmente non residente in Italia, come egli pretende(rebbe)?

Non è detto!

A questo punto dobbiamo scoprire se il nostro professionista, Dott. Miracoli, è fiscalmente o meno residente in Italia, premettendo doverosamente che in Italia vige il “World wide system” e dunque, ai sensi dell’articolo 3, comma 1 del Tuir, il soggetto fiscalmente residente in Italia è tassato nel nostro paese sui redditi ovunque prodotti nel mondo (salvo specifiche eccezioni previste dalle Convenzioni).

Ne consegue che se il nostro Dr Miracoli, nonostante le sue aspettative, dovesse risultare fiscalmente residente in Italia, il reddito derivante dalle prestazioni medico –chirurgiche svolte presso le cliniche in Italia dovrà essere tassato in Italia.

L’indagine deve partire all’analisi dell’art. 2 del Tuir, il quale stabilisce tre criteri di verifica da applicare consecutivamente ed alternativamente: ove anche sola una delle fattispecie appresso elencate è presente per la maggior parte del periodo di imposta (dunque almeno 183 giorni nell’anno) il Dr Miracoli sarà ineluttabilmente da considerarsi fiscalmente residente in Italia.

  1. Iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente
  2. Domicilio ai sensi dell’art. 43 del codice civile
  3. Residenza ai sensi dell’art. 43 del codice civile

E’ bene sgombrare da subito il campo da possibili equivoci: la cittadinanza è del tutto ininfluente ai nostri fini posto che il concetto di residenza (fiscale) si basa su presupposti diversi.

Analizziamo ognuno dei tre indici

 

Iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente

Se il Dr. Miracoli non ha provveduto ad iscriversi all’AIRE (Anagrafe italiana residenti esteri) presso il proprio ultimo comune di residenza in Italia, ma è ancora ordinariamente residente nel suddetto comune, inutile proseguire nel tentativo di considerarsi fiscalmente non residenti: l’iscrizione all’AIRE è presupposto necessario ancorché non sufficiente per sfuggire alla tassazione in Italia di tutti i redditi ovunque prodotti nel mondo. Il Fisco, in un batter d’occhio può verificare questo presupposto. Anzi va detto che con provvedimento del 3 marzo 2017 emanato in attuazione delle disposizioni introdotte dall’articolo 7 del D.L. 193/2016, risalendo al 2010 l’Agenzia delle entrate dedicherà particolare attenzione a coloro i quali si sono iscritti all’AIRE chiedendo informazioni al paese estero in cui la persona si è trasferita per comprendere da quanto, effettivamente, si è trasferita all’estero e che attività possiede all’estero (conti correnti, immobili, etc.) e da quanto tempo. Ovvio che interessa sapere se dette attività estere hanno preceduto l’iscrizione all’AIRE.  

 

Domicilio ai sensi dell’art. 43 del codice civile

Altro indice da verificare è il domicilio che costituisce il “centro degli affari e degli interessi” della persona fisica, vale a dire il luogo fisico in cui la suddetta persona ha legami affettivi, sociali e interessi economici. L’agenzia delle entrate con La Circolare n. 304/1997 ha chiarito che se il Dr. Miracoli, il quale si è iscritto all’AIRE e ha trasferito la propria residenza in Francia lavorando in detto paese, conserva tuttavia in Italia il “centro” dei propri interessi familiari e sociali è da considerarsi fiscalmente residente in Italia. Il caso classico che si eccepisce in questi casi è che la famiglia è rimasta in Italia. Dal che l’abitudine di separarsi legalmente dal proprio coniuge (della serie fatto 30 facciamo 31!).

La predetta circolare fa un elenco di quelli che sono i principali indici che attestano la permanenza della residenza fiscale in Italia:

  • la disponibilità di una abitazione permanente,
  • la presenza della famiglia,
  • il sostenimento di spese alberghiere o di iscrizione a circoli o clubs;
  • l’accreditamento di propri proventi dovunque conseguiti,
  • il possesso di beni anche mobiliari,
  • la partecipazione a riunioni d’affari,
  • la titolarità di cariche sociali in società italiane,
  • l’organizzazione della propria attività e dei propri impegni anche internazionali, direttamente o attraverso soggetti operanti nel territorio italiano.

La Cassazione, con sentenza 15 giugno 2016, n. 12311, basandosi sulla sentenza della Corte di Giustizia UE, 12.7.2001 n. C-262/99 ha ribadito la preminenza della analisi ricognitiva volta ad comprendere quale sia il centro permanente degli interessi personali e patrimoniali del contribuente e, nell’impossibilità di farlo, occorre rifarsi alla preminenza dei legami personali.

 

Residenza ai sensi dell’art. 43 del codice civile

Si intende in questo caso la dimora abituale della persona. Si tratta di un concetto legato ad una situazione di fatto che comporta la verifica di quello che lo stesso contribuente considera come la presenza nel paese della propria “casa”. In definitiva, un soggetto può permanere anche per molti mesi (o anni) all’estero per ragioni di lavoro, di studio, di salute o per viaggi per vacanze ma se poi ritorna anche per pochi giorni nella propria casa che evidentemente ha a disposizione in Italia, ebbene qui egli dimora. Il requisito è dimostrato.

Ne basterà soltanto uno dei tre indici sopra illustrati per essere considerato residente in Italia, e ciò nonostante il nostro professionista si sia iscritto all’AIRE e abbia soggiornato nell’anno fuori dall’Italia per oltre 183 giorni

 

Professionista in paese black list

Se poi il nostro Dr. Miracoli si è trasferito in un paese black list la cosa (per lui) si fa ancora più complicata perché in questo caso si presume, salvo sua dimostrazione contraria (che deve essere assai convincente) che sia comunque fiscalmente residente in Italia. Vi è dunque l’inversione dell’onere della prova a suo carico.

L’articolo 2, comma 2-bis del Tuir fa riferimento, per l’individuazione dei paese black list a questi fini, ad un apposito decreto ministeriale. Ebbene, trattasi del D.M. 4.5.1999 il quale contiene un elenco di paesi cui fare riferimento. Se il Dr. Miracoli si è trasferito in uno di questi paesi è suo onere dimostrare che non è fiscalmente residente in Italia. Attenzione però, perché questo elenco ha subito nel tempo delle modifiche ed è anche oggi in evoluzione dal momento che molti paesi stanno “uscendo” dalla lista nera. Comunque, tanto per fare un esempio, continuano ad essere black list: Svizzera, Emirati arabi, Gibilterra, Liechtenstein, mentre ne sono usciti Cipro e Malta.

Ebbene, l’Agenzia delle Entrate, con la Circolare n. 140/1999 ha fornito un elenco di fattispecie che autorizzano i propri uffici a capitolare di fronte alla tesi di colui il quale ritiene di essere “veramente” residente fiscalmente in uno di detti paesi facenti parte delle lista nera:

  • presenza della dimora abituale nel paese fiscalmente privilegiato, sia personale che dell’eventuale nucleo familiare;
  • iscrizione ed effettiva frequenza dei figli presso istituti scolastici o di formazione del Paese estero;
  • svolgimento di un rapporto lavorativo a carattere continuativo stipulato nello stesso Paese estero ovvero l’esercizio di una qualunque attività economica con carattere di stabilità;
  • stipula di contratti di acquisto o di locazione di immobili residenziali, adeguati ai bisogni abitativi nel Paese di immigrazione;
  • evidenza documentale di erogazione di gas, luce, telefono e di altri canoni tariffari pagati nel Paese estero;
  • movimentazione a qualsiasi titolo di somme di danaro o di altre attività finanziarie nel Paese estero da e per l’Italia;
  • eventuale iscrizione nelle liste elettorali del Paese di immigrazione;
  • assenza di unità immobiliari tenute a disposizione in Italia o di atti di donazione, compravendita, costituzione di società;
  • mancanza in Italia di significativi e duraturi rapporti di carattere economico, familiare, politico, sociale, culturale e ricreativo.

 

Inoltre, la predetta circolare n. 304/1997, afferma che i predetti ed eventuali altri elementi di prova, vanno considerati e valutati in una visione globale, atteso che il superamento della prova contraria alla presunzione legale non può che scaturire da una complessiva considerazione della posizione del contribuente.

 

Il professionista con doppia residenza – tutti lo vogliono

Abbiamo prima detto che se vige una convenzione contro le doppie imposizioni tra l’Italia ed il paese estero occorre rifarsi a questa per comprendere se la persona è fiscalmente in Italia oppure nel paese estero. Senonché talvolta le convenzioni non sono dirimenti perché entrambi i paesi contraenti …non intendono mollare l’osso.

E’ il caso ad esempio:

  • della Convenzione Italia-Svizzera dove per l’Italia, se il soggetto non è iscritto all’AIRE anche se è in svizzera per più di 183 giorni l’anno si considera fiscalmente residente in Italia, mentre la Svizzera prescindendo dalla iscrizione nelle proprie anagrafi considera la suddetta persona fiscalmente Svizzera se risiede nel proprio paese più di 183 giorni l’anno;
  • della Convenzione Italia – Stati uniti dove, in quest’ultimo paese, se il soggetto ha la cittadinanza americana si considera ineluttabilmente residente fiscalmente negli Usa, mentre per l’Italia la cittadinanza non conta nulla.

In questi casi si deve seguire il cd. “Tie Breaker rules”, ossia la verifica tramite criteri gerarchici dei seguenti elementi, sulla base dell’articolo 4 del Modello Ocse:

  • presenza di una abitazione permanente, intesa come disponibilità a prescindere dal titolo giuridico di una abitazione a disposizione. Se in entrambi i paesi il soggetto ha una abitazione permanente oppure non ce l’ha in nessuno dei due, si passa al criterio successivo;
  • individuazione del centro degli interessi vitati, inteso come luogo in cui la persona ha i propri affetti o interessi economici; laddove il soggetto magari non sia sposato e  non abbia figli (assenza centro affetti) e abbia in entrambi i paesi interessi economici talchè questi non prevalgono in alcuno dei due paesi, si passa al criterio successivo;
  • residenza abituale, inteso come paese in cui la persona soggiorna abitualmente; se la persona soggiorna abitualmente in entrami, ovvero non soggiorna in nessuno dei due, si passa al criterio successivo;
  • la nazionalità: se il soggetto ha la nazionalità di entrambi i paesi, non resta che una (improbabile) soluzione.

I paesi “faranno del loro meglio per risolvere di comune accordo” il problema.

Vale a dire: non si accorderanno mai e ognuno pretenderà la tassazione di tutto il reddito ovunque prodotto nel mondo dal malcapitato professionista nel proprio paese.

 

 

 

  

Sottotitolo:
di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi