Nobel per l’Economia a Claudia Goldin, studiosa del lavoro femminile

La teoria della "curva ad U" è uno dei risultati più importanti dell'economista statunitense

dal Bollettino dell’Osservatorio sulle libere professioni n.4 – ottobre 2023

Lo scorso 9 ottobre, è stato assegnato a Claudia Goldin, professoressa di Economia all’Università di Harvard e dottorato dell’Università di Chicago, il premio Nobel 2023 per l’economia “per aver migliorato la nostra comprensione dei risultati del lavoro femminile”. La ricerca e gli studi di Goldin sono da sempre dedicati alla disparità di genere e all’evoluzione storica della stessa. Uno dei risultati più importanti dell’economista statunitense è quello della cosiddetta “curva ad U”, teoria secondo la quale la partecipazione femminile al mercato del lavoro non ha avuto una tendenza crescente negli anni, ma ha seguito per l’appunto una forma a “U”, con un calo in corrispondenza del periodo di transizione dalla società agricola a industriale all’inizio dell’Ottocento, seguito da un aumento corrispondente alla crescita del settore terziario nel ‘900. Nel corso degli anni i fattori che influenzano la partecipazione delle donne al mercato lavorativo cambiano con l’evolversi della società. L’articolo è dedicato all’occupazione femminile e illustra alcuni dei principali dati riferiti a quegli elementi che Golin individua come fondamentali per spiegare le differenze di genere nel mercato lavorativo all’interno delle società moderne.

Uno degli indicatori più importanti di partecipazione femminile al mercato lavorativo è il tasso di occupazione, misura particolarmente interessante se rapportata al suo equivalente maschile. Per quanto tra il 2009 e il 2022 la differenza tra il tasso di occupazione maschile e femminile sia diminuita per quasi tutti i paesi dell’UE, ad eccezione di Romania, Irlanda, Ungheria, Svezia e Repubbliche Baltiche, i valori rimangono ancora molto elevati e denotano una forte disuguaglianza di genere nel campo del mercato del lavoro, particolarmente evidente in Grecia (21,0 punti percentuali), Italia (19,7 pp) e Romania (18,6 pp).

È interessante notare come la stessa misura, osservata in riferimento al solo lavoro part-time, assuma valori completamente diversi, generalmente maggiori in termini assoluti, ma in questo caso negativi. Ciò sottolinea il ricorso massivo al tempo parziale da parte delle donne in comparazione agli uomini ed evidenzia nuovamente un forte divario di genere. Tale differenza si osserva anche nei dati più recenti: nel 2022, infatti, per la metà dei paesi dell’Unione Europea tale gap supera i 10 punti percentuali a favore della componente femminile e la media UE è pari a -20,2 pp. L’osservazione congiunta dei due gap occupazionali è utile perché fornisce un quadro più completo del mercato lavorativo in ottica di genere; paesi che manifestano un basso gap occupazionale totale possono esprimere un alto gap occupazionale nel lavoro part-time. Osservando solo la prima misura si sarebbe indotti ad affermare che in quel dato paese non vi sia differenza di genere in ambito lavorativo, ma si tratterebbe di una conclusione errata. Viceversa, può succedere, come nel caso della Romania, che a fronte di un alto gap occupazionale totale quello part-time sia molto basso o nullo; in questo caso la lettura della seconda misura risulta comunque importante poiché assicura che la differenza fra occupazione femminile e maschile osservata a livello generale rispecchi quella effettiva.

Un altro punto messo in luce da Goldin riguarda le differenze salariali fra uomini e donne, il Gender Pay Gap, inteso come differenza fra i salari medi orari lordi percepiti dai dipendenti uomini e donne ed espresso in termini di percentuale del salario maschile, nei paesi europei nel 2009 e nel 2021. Nel corso del tempo vi è stata complessivamente un’attenuazione delle differenze salariali fra uomini e donne. Al 2021 il Lussemburgo risulta essere il paese più “equo” con un Gender Pay Gap pari a -0,2, e inoltre quello che esprime il maggior calo dell’indicatore rispetto ai valori del 2009. Al contrario, sempre in riferimento al 2021, i paesi in cui le disparità salariali risultano più marcate sono: Estonia, Regno Unito ed Austria, dove il Gender Pay Gap assume valori fra il 19 ed il 21.

Le differenze tra i salari maschili e femminili potrebbero essere in parte imputabili alle posizioni lavorative ricoperte dalle due parti; la quota di donne che occupano posizioni apicali nei paesi europei è, soprattutto in alcuni casi, particolarmente bassa. Fra il 2012 e il 2022 si assiste tuttavia a un forte aumento dell’indicatore, soprattutto per quel che riguarda le posizioni nei consigli di amministrazione. Al 2022 l’Italia è uno dei paesi con la più alta quota di donne membri dei consigli amministrativi ed è lo stato che fa registrare l’incremento maggiore rispetto ai valori di dieci anni prima (31,8 punti percentuali di differenza); anche le “quote rosa” fra i dirigenti aumentano, seppur in misura minore, malgrado il dato assoluto sia fra i più bassi in Unione Europea.

La ricerca di Goldin sottolinea come le disparità di genere nel mercato del lavoro vengano particolarmente accentuate dalla genitorialità. Rispetto agli uomini, infatti, le donne risentono in misura molto superiore la nascita di un figlio in termini di partecipazione al mercato del lavoro e molte di loro subiscono un’interruzione di carriera. Al crescere del numero dei figli le differenze fra tassi di occupazione maschili e femminili aumentano vertiginosamente. Nella condizione “nessun figlio” il range in cui varia il gap occupazionale va da -3 punti percentuali in Finlandia a 11 pp in Grecia e nel 50% dei paesi comunque non supera il valore di 2 pp; nel caso di “tre figli e più” invece il valore minimo del gap occupazionale aumenta a 6 pp in Danimarca e il massimo a 46 pp in Italia e la metà dei paesi esprime valori superiori a 26 pp.

Come già detto in precedenza l’osservazione congiunta dell’occupazione totale e a tempo parziale fornisce un quadro più completo ed esplicativo delle disparità di genere sul mercato del lavoro. All’aumentare del numero di figli non solo aumenta il gap occupazionale fra uomini e donne, ma vi è anche un incremento importante del tasso di occupazione femminile part-time; ciò significa che la gran parte delle poche donne che ancora lavora pur avendo più figli, comunque lo fa a tempo parziale. La differenza fra il tasso di occupazione part-time per donne con “tre figli e più” e donne con “nessun figlio” è particolarmente forte in paesi quali Germania (50,0 punti percentuali), Austria (47,3 pp) e Regno Unito (45,8 pp), mentre è meno rilevante per paesi quali Portogallo (-0,4 pp), Lettonia (1,9 pp) e Grecia (-2,9 pp).

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