Professioni, AdEPP: Gap di genere tocca il 45%

Presentato a Roma, lo scorso 12 luglio, il focus "Donne Professione". Il presidente Oliveti: La componente femminile nel lavoro, la nostra chance di rilancio. La nota AdEPP

Professioni sempre più rosa e gap di genere che tocca il 45%, sono questi alcuni dei dati emersi dal focus “Donne Professione” presentato lo scorso 12 luglio a Roma. “Il focus, elaborato dal Centro studi dell’Associazione, sottolinea non solo quanto già più volte denunciato ma evidenzia un aspetto del problema che ha radici antiche, legate anche al territorio e al contesto sociale in cui opera la libera professionista”, si legge nella nota diffusa da AdEPP.

REDDITI. La differenza di reddito dovuta al genere è riscontrabile in tutte le fasce. Già al momento dell’ingresso nel mercato del lavoro – il reddito delle professioniste “under 30” è circa il 20% in meno dei colleghi uomini. Altro elemento di valutazione, trova evidenza nella “storicità ” della presenza più massiccia delle donne all’interno di alcune categorie professionali come quelle dei biologi, psicologi, infermieri e veterinari, dove le differenze tra uomo e donna in termini reddituali fino ai “30 anni” sono piuttosto contenute (mediamente il 10%). In linea più generale un fattore che sicuramente incide sul valore medio reddituale è il costante processo di femminilizzazione delle libere professioni; infatti, nel periodo 2007-2021, la percentuale di iscritte donne è cresciuta notevolmente, passando dal 30 al 42% del totale ma con grosse differenze per fasce d’età con la conseguenza che l’eta media delle donne professioniste è di circa 45 anni, contro i 50 degli uomini, e tra gli “under 40” le donne sono circa il 54%, percentuale che decresce con l’aumentare dell’età.

CURA DELLA FAMIGLIA. Alla domanda di chi si occupa dei figli mentre lavori, il 66% degli uomini ha risposto che è la compagna a occuparsene. La stessa domanda posta alle donne ha ricevuto il 17% delle risposte riferite al proprio compagno. Stessa riflessione vale per le professioniste che si dedicano anche alla cura di genitori anziani e/o familiari non autosufficienti: la questione non attiene specificamente alla maternità ma più in generale a tutte le tipologie di cure domestiche.

NORD CENTRO SUD. La maggioranza delle professioniste – sia con figli che senza figli, sia del Nord, sia del Sud – ha dichiarato che l’urgenza che andrebbe prioritariamente affrontata per ridurre le disparità è quella legata all’area geografica in cui si esercita la professione e solo dopo quella legata al genere. Una professionista che esercita la sua attività al Nord, è coadiuvata maggiormente nella gestione familiare da figure esterne all’ambito familiare – ad esempio baby sitter, asili, centri ricreativi per l’infanzia – mentre al Sud, poichè le infrastrutture sociali sono meno presenti e inevitabilmente i servizi sono più carenti, l’aiuto della famiglia risulta ancora indispensabile per garantire la conciliazione vita-lavoro. Pertanto, un elemento determinante nell’aggravare la situazione occupazionale delle madri è l’inaccessibilità dei servizi educativi per la prima infanzia. Sia per una carenza di strutture, sia per questioni economiche.

DINAMICITA’. A fronte del 15% degli uomini del Sud che si trasferisce al Nord e del 10% che si trasferisce al Centro, si registra una percentuale ben più elevata delle donne che si trasferiscono: il 21% delle donne del Sud si trasferisce al Nord e il 18% si trasferisce al Centro.

 

“Questa indagine – ha sottolineato durante la presentazione dello studio Tiziana Stallone, vicepresidente AdEPP e presidente Enpab – ha scardinato alcune idee preconcette sul gap reddituale di genere, mettendo in evidenza le reali esigenze delle donne. Questo è stato possibile perché siamo andati ad intervistare direttamente le libere professioniste e a colpirci non è stato il senso di discriminazione, le donne infatti non si sentono discriminate, ma la mancanza di un sostegno infrastrutturale per permettere alle professioniste di affrontare situazioni oggettive, quali la genitorialità o la cura dei propri genitori”.

“Tra le finalità di questa indagine – ha aggiunto la presidente Stallone – vi è la volontà di individuare un’evoluzione futura del nostro welfare. Ci stiamo interrogando su quanto le nuove tecnologie, come ad esempio infrastrutture digitali per svolgere la professione online, possano essere di utilità, così come una guida ad un modo diverso di svolgere la professione, in forma aggregata, per far sì che si crei un’alleanza tra professionisti.

“Le professioniste dedicano meno ore all’attività professionale: a fronte del 59% degli uomini che dedicano più di 8 ore al giorno, le donne si fermano al 40% – ha spiegato la presidente dell’Istituto di previdenza dei giornalisti, Marina Macelloni – questo perché da una parte devono dedicare molte più ore alla cura dei figli e dei familiari non autosufficienti e dall’altra non sempre possono usufruire di infrastrutture sociali adeguate. Inoltre, anche a causa dell’invecchiamento progressivo della popolazione vengono a mancare gli aiuti attualmente offerti dalle famiglie di origine”.

“Quando nel questionario abbiamo chiesto secondo te qual è l’urgenza maggiore e dove dobbiamo intervenire? E’ interessante vedere le risposte –- perché le differenze legate al genere toccano solo il 24% degli intervistati, il grosso del gap che viene percepito dai nostri iscritti è la differenza legata all’area geografica. E questo ci dice che chi esercita la professione al centro – nord ha più opportunità rispetto a chi vive al sud, sia in termini di reddito ma soprattutto per le infrastrutture presenti. L’assenza di welfare, asili nido per esempio, ha un effetto diretto sul lavoro delle donne”.

Linda Laura Sabbadini, ex direttrice del dipartimento Istat per lo sviluppo di metodi e tecnologie per la produzione e diffusione dell’informazione statistica, evidenzia alcuni punti fondamentali contenuti nello studio AdEPP. Per Sabbadini, “quello che emerge è una realtà inerente alle libere professioniste ma anche a tutte le donne lavoratrici. Le criticità del percorso lavorativo delle donne, e in particolare la forte penalizzazione dovuta dal carico familiare, risiedono proprio nell’impossibilità di sviluppare il proprio lavoro come vorrebbero”.

“Noi abbiamo una barriera all’ingresso e alla permanenza del mondo del lavoro molto elevata – ha continuato la dottoressa Sabbadini – In Italia metà delle donne non hanno indipendenza economica e autonomia. Siamo il Paese che nella classifica europea è ultimo per tasso di occupazione femminile e il peso che ha una donna con o senza figli in Italia è maggiore rispetto a Germania e Francia ma anche alla Grecia”.

“Dobbiamo uscire dalla logica che questi siano problemi delle donne – ha chiosato Antonella Polimeni, rettrice della Sapienza Università di Roma – Il tema della conciliazione e della necessità di politiche di welfare deve essere ancora strutturato e in alcune regioni non esiste proprio. Il problema della denatalità non lo affronteremo mai se non capiamo che il lavoro femminile è Prodotto interno loro. Le donne studiano di più, si laureano con voti più alti ma dopo registriamo una dispersione rispetto alla collocazione lavorativa. L’università deve essere un luogo di sperimentazione di politiche di genere ed è lì che invece notiamo la difficoltà delle donne a fare carriera. I professori ordinari donne non superano il 26%”.

“I problemi legati al genere sono molteplici e questo studio fotografa esattamente la realtà. Dalla differenza di reddito, dopo 5 anni dall’inizio del lavoro la donna guadagna il 20% in meno del collega uomo, al difficile ottenimento di incarichi apicali – ha sottolineato Mirja Cartia D’Asero, amministratore delegato de Il Sole 24 Ore – Professione per scelta, non dettate dalla strategia ma dal gusto, dalle preferenze e mai dal possibile riscontro economico a differenza degli uomini. Ancora troppo pochi ingegneri o laureate in matematica. Oggi per fortuna alcune professioni, vedi la medicina, si stanno femminilizzando. Inoltre le libere professioniste spesso non lavorano da sole ma presso altri studi.  Siamo in una fase di cambiamento? Sì, ma ancora a livello di eccezione perché le posizioni apicali sono prettamente ricoperte da uomini”.

“Tre parole: Focus, Donne, Professione – ha infine detto il Presidente dell’AdEPP e dell’Enpam, Alberto Oliveti – In esse c’è già una sintesi importante. Credo che la componente femminile nel lavoro sia la nostra chance di rilancio. Per il nostro Paese e per la nostra società. Credo addirittura che il destino del servizio sanitario nazionale passi per l’azione delle donne e si giocherà sulle loro gambe. Nel campo del mondo del lavoro due sono i temi che devono essere sottolineati: uno è l’accesso al lavoro e l’altro è il mantenimento qualitativo. Credo che il futuro si giochi sulle competenze, sulla battaglia di cultura, soprattutto nelle professioni intellettuali, sulle motivazioni. Così come farà perno sulla flessibilità, che non è soltanto una questione soggettiva, ma ambientale, sociale, di contesto. Importante il concetto di conciliazione che è famiglia, prole, congiunti, con figlie che poi diventano ‘madri’ dei propri genitori. E infine un’altra parola fondamentale è Pil. Alla fine tutto si gioca sulla potenzialità di finanziamento. Per trovare il finanziamento a certe politiche di conciliazione dobbiamo fare prodotto interno lordo”.