Detrazioni e deduzioni in dichiarazione per il 2024: la guida

Di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi

Si è ormai in piena stagione dichiarativa e tra gli aspetti da dover osservare con maggiore attenzione vi sono sicuramente gli oneri deducibili e detraibili, che possono consentire il contenimento del peso fiscale o addirittura l’emersione di un credito nel caso di rilevanti ritenute subite.

Come da tradizione, diverse sono le novità che si incrociano per l’anno 2024, sia interpretative (con i vari documenti di prassi emanati), che normative e anche della giurisprudenza della Cassazione, tutte da prendere in considerazione in aggiunta alle “tradizionali” indicazioni contenute nelle istruzioni dichiarative.

In prima battuta, però, è bene ricordare alcune regole basiche, onde poter “sfruttare” al massimo i benefici fiscali connessi:

  • Gli oneri rilevano “per cassa”, in funzione del relativo pagamento, ed hanno una fruizione c.d. “a capienza”, non potendo originare riporti a periodi d’imposta successivi, ovvero crediti e/o rimborsi. Di fatto, gli oneri deducibili vanno fruiti fino a capienza del reddito complessivo del contribuente, mentre gli oneri detraibili hanno come limite l’imposta lorda. Ne deriva che se, ad esempio, gli oneri deducibili hanno già abbattuto il reddito, è del tutto inutile attribuire al contribuente altri oneri, sia deducibili che detraibili, che sarebbero totalmente persi. L’azzeramento del reddito, infatti (al pari dell’azzeramento delle imposte), consente solo il recupero delle ritenute subite, ma non permette che gli ulteriori oneri possano originare benefici al contribuente, essendo impedito anche il riporto all’annualità successiva. Al che, in simili evenienze, è opportuno laddove possibile attribuire ad altri aventi diritto (solitamente il coniuge) gli oneri “in più”, in modo da ottimizzare i vantaggi fiscali. Ciò anche se sul piano sostanziale la spettanza dell’agevolazione dovesse diminuire in forza del reddito dell’altro avente diritto. Ad esempio, se il coniuge A, avendo reddito azzerato, non ha bisogno di detrazioni (immaginando che le stesse siano di importo pari a 700 euro), fermo restando quanto a breve diremo è conveniente attribuire, se possibile, le stesse all’altro coniuge B, pur nel caso di riduzione dell’ammontare effettivamente riconosciuto in forza del reddito del medesimo coniuge B (si pensi al coniuge B con reddito di 55 mila euro: in forza delle nuove regole del 2024, tra poco illustrate, vi sarà una riduzione di 260 euro delle detrazioni spettanti, ma in ogni caso nel nostro esempio si recuperano 440 euro di detrazione sul coniuge B);
  • Il pagamento e la spettanza del beneficio con il criterio di cassa comporta l’assoluta irrilevanza del riferimento temporale dell’onere. Ad esempio, nel caso del pagamento dei contributi obbligatori riferiti ad anni precedenti anche a seguito di contenzioso e/o riscossione, comunque è possibile fruire del relativo vantaggio fiscale nell’anno di pagamento;
  • Alcuni oneri spettano anche se sostenuti nell’interesse dei soggetti fiscalmente a carico. In queste ipotesi, l’onere può essere intestato direttamente a chi sostiene la spesa, ovvero ai soggetti fiscalmente a carico. Gli aventi diritto (i genitori di solito), detraggono le spese direttamente a loro intestate, mentre nel caso di spese riferite ai soggetti a carico hanno piena facoltà di suddivisione, anche a prescindere dalla modalità con cui hanno ripartito le detrazioni per carichi di famiglia. Anche in questo caso un esempio è di aiuto: due coniugi, con due figli e ripartizione al 50% delle detrazioni per carichi di famiglia. I coniugi sostengono le spese per i figli, con documenti intestati ai figli: i coniugi possono liberamente decidere come ripartire queste spese (100% al primo, ovvero all’altro coniuge, 20% ad uno e 80% all’altro e così via). Per raggiungere questa conclusione è sufficiente annotare sul documento di spesa chi ha sostenuto la stessa ed in che misura, anche a prescindere dalla modalità con cui è stato eseguito il pagamento (ben potrebbe accadere che sia stata usata una carta di credito intestata ad uno dei coniugi, ma questo non è vincolante in quanto i coniugi medesimi possono aver regolato autonomamente i propri rapporti finanziari).

Da quanto sopra è evidente come siano possibili dei margini di manovra, non eccessivi, ma che in ogni caso è bene tener presente per evitare di “perdere per strada” parte dei benefici spettanti.

Ciò posto, osserviamo le principali novità della dichiarazione per l’anno 2024, non solo normative ma anche di prassi e giurisprudenza.

 

L’abbattimento di 260 euro per le detrazioni al 19%

Una novità dichiarativa trasversale del 2024 riguarda le detrazioni al 19%, seppur con delle precisazioni. In particolare il legislatore prevede che per i contribuenti titolari di un reddito complessivo superiore a euro 50.000, da considerare al netto del reddito attribuito all’abitazione principale e alle relative pertinenze, l’ammontare della detrazione dall’imposta lorda spettante è diminuito di un importo pari a 260 euro.

Tale riduzione riguarda gli oneri la cui detraibilità è fissata nella misura del 19% (ad esclusione delle spese sanitarie), oltre alle erogazioni liberali in favore dei partiti politici e ai premi di assicurazione per rischio eventi calamitosi.

Secondo la circolare 2 del 2024, tale meccanismo di fatto si sovrappone alla decurtazione delle detrazioni per coloro che hanno redditi superiori a 120.000 euro, che dunque incontrano una doppia limitazione ai benefici fiscali:

  1. la prima in quanto entra in gioco un meccanismo di spettanza dell’agevolazione in maniera inversamente proporzionale al reddito del contribuente;
  2. la seconda in termini di “riduzione secca” di ulteriori 260 euro.

Il messaggio pratico che ne deriva è però un altro.

Posto che i calcoli predetti sono affidati ai software, bisogna sapere nell’approcciare la dichiarazione che se il contribuente ha un reddito oltre la soglia di 50.000 euro rischia di perdere ulteriori 260 euro.

Esiste un rimedio?

Laddove possibile, si ed è il seguente. Abbiamo evidenziato in premessa che per le spese sostenute nell’interesse dei familiari a carico, se il documento di spesa è intestato al medesimo familiare, è data facoltà agli aventi diritto di indicare chi, effettivamente, ha sostenuto la spesa e fruisce della detrazione. Si faccia dunque il caso di due coniugi, di cui uno attestato ad un reddito superiore a 50.000 euro, con due figli a carico. Per i due figli sono stati spesi anche 1.500 euro per spese scolastiche e 400 euro per le palestre, per un totale di 1.900 euro, con detrazione di 361 euro. In caso di attribuzione della detrazione al 100% al coniuge oltre 50.000 euro, la detrazione riconosciuta è pari a 101 euro. In caso di divisione al 50% delle spese, mentre il coniuge sotto i 50.000 euro avrà una detrazione pari a 180 euro, l’altro coniuge vedrà azzerarsi il beneficio fiscale. Ma la soluzione migliore è di attribuire le spese, al 100%, al coniuge con reddito più basso, in modo che potrà detrarre 361 euro, senza abbattimenti (fatta salva, ovviamente, la regola prioritaria della “capienza” della detrazione nell’imposta lorda). L’importante è che si possa attuare tale soluzione, che prescinde da altri fattori quali la modalità di pagamento (non interessa a chi sia intestata, ad esempio, la carta di credito usata), ovvero la ripartizione dei carichi di famiglia (che può essere tranquillamente al 50% tra i genitori). Quel che serve è che i documenti di spesa siano intestati ai familiari a carico, nel qual caso è possibile, secondo la prassi dell’agenzia delle entrate, indicare chi fruirà della detrazione tra i genitori aventi diritto ed in che misura.

 

Le detrazioni delle spese mediche rimborsate

Il tema delle spese mediche rimborsate è abbastanza particolare, posto che in linea di principio le agevolazioni per gli oneri spettano a condizione che la spesa abbia realmente inciso il contribuente: in caso di rimborsi, dunque, alcun beneficio dovrebbe essere riconosciuto. Il condizionale è d’obbligo, in quanto vi sono diverse casistiche in cui, al ricorrere di precise condizioni, l’onere pur se rimborsato resta agevolabile, come nelle ipotesi delle spese mediche. La casistica, invero, è duplice, perché bisogna distinguere tra spese mediche rimborsate da casse assistenziali esistenti nell’ambito del lavoro dipendente e spese rimborsate da assicurazioni sanitarie.

Nella prima ipotesi bisogna osservare se la contribuzione alla cassa assistenziale sia stata o meno dedotta all’interno del reddito di lavoro dipendente ed in che misura. La normativa fiscale prevede che sono esclusi dalla formazione del reddito di lavoro dipendente i contributi relativi all’assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro o dal lavoratore a Enti o Casse aventi esclusivamente fini assistenziali fino al limite di 3.615,20 €, mentre i contributi che eccedono tale soglia concorrono alla formazione del reddito. Tali importi sono identificabili nella Certificazione Unica rilasciata al contribuente:

  • se la contribuzione è stata totalmente esclusa da tassazione, allora si può affermare che nella loro interezza i premi versati hanno generato un beneficio fiscale (ossia un onere deducibile), divenendo pertanto non detraibili le spese mediche rimborsate da detti enti o casse;
  • se invece parte della contribuzione è stata tassata, in quanto eccedente, (ad esempio, contributi pari a 5.000 euro, con dunque dedotti 3.615,20 e tassati 1384,80), sarà necessario rapportare l’ammontare tassato al totale dei contributi (1384,80/5000), per determinare la percentuale con cui le spese mediche rimborsate (ad esempio, 10.000 euro), saranno in ogni caso detraibili. Nell’esempio, la percentuale di tassazione dei premi è pari a 27,7%, dunque 2.770 euro delle spese rimborsate restano in ogni caso detraibili.

Nell’ipotesi invece di spese rimborsate da assicurazioni private sanitarie la determinazione dell’importo detraibile è più semplice: infatti, non avendosi agevolazioni sui premi versati alle assicurazioni, la spesa medica sarà sempre detraibile pur se rimborsata. Sul tema si è sviluppato nel tempo uno strano “contenzioso”, dovuto all’interpretazione capziosa e fin troppo formale di qualche solerte funzionario dell’Agenzia delle Entrate. In pratica, posto che la norma consente la detrazione delle spese mediche rimborsate, a dire di tale funzionario è necessario che vi sia un sostanziale rimborso delle stesse e dunque la sequenza deve essere: pagamento della spesa da parte del contribuente/rimborso della spesa dall’assicurazione. Il problema è sorto a seguito della diffusione, sempre maggiore, della pratica assicurativa di “autorizzazione alla spesa” presso le strutture convenzionate con le assicurazioni medesime, laddove il servizio reso era anche di non far pagare il contribuente, provvedendo direttamente l’assicurazione al pagamento della spesa. Apriti cielo, secondo il solerte funzionario in questa ipotesi non si è in presenza di un rimborso e pertanto le spese mediche in questione non sarebbero detraibili. Fortunatamente la diatriba è finita nel corso del 2024, registrandosi non soltanto la presa di posizione dell’Agenzia delle Entrate, che con la risposta 43 ha chiarito come sia solo una modalità di regolazione finanziaria della spesa, essendosi in presenza pur sempre di una “spesa rimborsata”, ma anche e soprattutto l’approdo della Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 30611 del medesimo anno ha statuito, tacendo ogni dubbio, che la detrazione in tale situazione spetta sempre: la spesa medica, ai fini fiscali, resta detraibile in quanto rimborsata, pur se pagata direttamente dall’assicurazione. Inutile dire che a questo punto chi, negli anni passati, ha non detratto tali oneri, deve affrettarsi a recuperare le agevolazioni perse mediante apposite integrative, considerato che dal 2024 non ci sono più perplessità al riguardo.

 

Gli oneri edilizi

Il mondo delle agevolazioni connesse agli oneri edilizi è ormai estremamente vasto. Rinviando alle istruzioni dei redditi l’individuazione dei lavori agevolati nel 2024 e la misura dell’agevolazione, in questa sede riteniamo opportuno soffermarci sulle principali novità normative e di prassi che impattano sulla correttezza delle scelte operate, analizzando in particolare le seguenti tematiche:

  • la possibilità, o meno, di utilizzare ancora le opzioni per lo sconto in fattura e/o la cessione del credito;
  • i nuovi adempimenti derivanti dal DL 39/24;
  • la modifica della rateazione in essere per gli interventi del 2023.

 

Sconto o cessione: quando è valido e quando bisogna rimediare, optando se possibile per la detrazione

Per quanto concerne le opzioni, è ovvio che ai fini dichiarativi il tema interessa “al contrario”. Chi infatti non ha potuto più esercitare dette opzioni alternative, obbligatoriamente deve entrare in dichiarazione e fruire delle detrazioni (a partire dal 2024, in 10 anni). Orbene, tralasciando le eventuali previsioni “speciali” della norma (come nel caso degli immobili localizzati in aree terremotate), per la generalità dei bonus edilizi è stato stabilito con il DL 39/24 che il ricorso allo sconto in fattura (anche integrale), ovvero alla cessione dei crediti, era ancora possibile a decorrere dal 30 marzo 2024 in presenza di due condizioni:

  1. le comunicazioni di inizio lavoro asseverate (CILA), o l’acquisizione del titolo abilitativo devono essere antecedenti al 17 febbraio 2023;
  2. alla data del 30 marzo 2024, devono sussistere lavori avviati e spese sostenute almeno parzialmente, documentate da fattura.

L’agenzia delle entrate ha eseguito, nel corso del tempo, diversi chiarimenti, che devono essere osservati anche a posteriori per comprendere se il comportamento adottato nel corso del 2024 è corretto o bisogna porvi rimedio, magari anche valutando l’eventuale “ingresso” in dichiarazione per fruire della detrazione.

Sul punto è bene subito fare un distinguo:

  • in caso di cessione del credito, il committente ha pagato le spese con bonifico parlante, in aderenza alle condizioni normative per fruire dell’agevolazione. Laddove dovesse emergere che la cessione è stata eseguita in violazione di legge, se da un lato in cessionario dovrà rinunciare ai crediti (a breve si dirà con quali complicazioni), dall’altro il cedente/committente almeno ha la possibilità alternativa di poter subito detrarre in dichiarazione avendo sostenuto la spesa nel 2024;
  • in caso di sconto in fattura, invece, l’eventuale errore complica di molto la fattispecie. Da un lato, infatti, il committente non ha bonifici eseguiti e dunque non può accedere alla detrazione in dichiarazione e dall’altro il cessionario non può usare i crediti in questione. È evidente che oltre a dover risolvere i rapporti tra cedenti e cessionari, sorge anche la necessità di dover rimediare agli accordi iniziali raggiunti, in quanto in luogo dello sconto in fattura nasce l’esigenza di dover pagare le spese (con implicazioni nefaste: committenti che vorranno resistere evidenziando che mai avrebbero avviato i lavori; ditte che si ritrovano con il “cerino in mano”, avendo sostenuto spese importanti). Il tutto peraltro con una modifica circa la detrazione spettante (perché se anche si dovesse raggiungere un accordo, il bonifico sarebbe rifatto nel 2025).

In via preliminare è utile ricordare come, secondo l’Agenzia delle Entrate, si deve rimediare ad una cessione o ad uno sconto errato, dovendo osservare la situazione del cessionario ed i comportamenti adottati. Il cessionario infatti:

  • potrebbe non aver usato i crediti e, dunque, deve procedere alla rinuncia degli stessi, ma non avendo eseguito compensazioni non vi sono problemi ulteriori. In ambito civilistico invece le parti dovranno regolare anche la restituzione degli importi pattuiti per la cessione del credito (avendo evidenziato come invece sia più complicata la soluzione del rapporto tra committente e ditta in caso di sconto in fattura);
  • potrebbe aver già compensato delle imposte. In questo caso è necessario eseguire il ravvedimento operoso da parte del committente (risposta 440/23), che deve dunque “reintegrare” il credito oggetto di cessione (mentre nell’ipotesi dello sconto in fattura, deve ravvedere chi ha usato il credito – risposta 348/23 – con ulteriore “onere” da dover gestire tra le parti).

Vi è poi anche un ultimo scenario, affrontato dalla citata risposta 440/23, con il cessionario che non vuole rinunciare all’acquisto del credito (perché magari ha fatto un ottimo affare, pagando il credito con una buona percentuale di sconto). In questa ipotesi, ferma restando la necessità per il committente di ravvedere le eventuali compensazioni già eseguite dal cessionario, nel caso in cui i crediti ancora non siano stati utilizzati, per il committente sarà sufficiente “riversare” il credito, senza ravvedimento.

Chiarito, in sintesi, come si gestisce l’eventuale errore, vediamo adesso cosa ha precisato l’Agenzia delle Entrate sulle variazioni del DL 39/24 e perché potrebbe sorgere, in ritardo, il problema dell’errato sconto/cessione.

I punti da osservare sono:

  • Il rilascio della CILA o del titolo abilitativo in tempo utile (ossia ante 17 febbraio 2023);
  • Nonché al 30 marzo 2024:
    • L’avvio dei lavori;
    • L’emissione della fattura;
    • Il pagamento della spesa.

In ordine alla CILA o al titolo abilitativo, sono 2 i chiarimenti di prassi da tener presente (risposte 15 e 26 del 2025), che hanno evidenziato come:

  • nell’ipotesi in cui più interventi, ancorché autonomi, siano ricompresi nel medesimo titolo abilitativo (CILAS), la condizione normativa dei lavori avviati, fatturati e pagati, anche parzialmente, al 30 marzo 2024 è soddisfatta quando le spese pagate, documentate da fattura, si riferiscono anche ad uno solo degli interventi ivi indicati;
  • in forza della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 2 bis del DL 11/23, non rilevano eventuali variazioni alla CILAS. Pertanto si continua a fare riferimento alla data: 1) di presentazione dell’originaria CILAS; 2) di presentazione dell’originario diverso titolo abilitativo richiesto in ragione della tipologia di intervento da eseguire; 3)  della delibera di esecuzione dei lavori, in caso d’interventi condominiali. Inoltre, non rilevano variazioni al progetto, modifiche della ditta esecutrice, previsione di altri lavori.

Circa l’avvio dei lavori, in diversi documenti di prassi (tra cui le risposte 104 e 105 del 2025), l’Agenzia delle Entrate ha sempre ribadito lo stesso concetto: deve trattarsi di lavori edili. Non rilevano invece le spese professionali, gli oneri di urbanizzazione, le spese di preparazione cantiere, il pagamento dei progetti etc., ancorché trattasi di costi in ogni caso agevolati nel contesto dei bonus edilizi essendo strettamente connessi alla realizzazione degli interventi.

Per quanto concerne l’emissione della fattura, le precisazioni amministrative da richiamare sono invero quelle già emesse in occasione del passaggio della detrazione dall’anno 2023 all’anno 2024 (con grossa riduzione del superbonus dal 110 al 70%). In tale occasione, infatti, l’Agenzia ha affrontato la tematica della rilevanza della data della fattura (che in caso di sconto integrale, se emessa entro il 2023, consentiva la fruizione del 110%), rapportando la stessa alla tematica del corretto adempimento dell’invio allo SDI della fattura elettronica. Più precisamente è stato evidenziato che:

  • la data fattura rimane valida se l’invio è correttamente eseguito entro i 12 giorni successivi e se, in caso di scarto, si provveda al reinvio nei 5 giorni successivi (risposte 103 e 140 del 2024);
  • in caso contrario, rileva la data dell’invio allo SDI (risposta 146 del 2024), a prescindere dalla data della fattura (ad esempio, fattura del 30 marzo 2024, ma invio eseguito il 20 aprile 2024: rileva la data di invio, con dunque mancato rispetto di quanto stabilito dal DL 39/24).

In ultimo, quanto al pagamento, in applicazione del principio di cassa si prende in considerazione sempre la data di esecuzione del bonifico (risposta 137 del 2024) a nulla rilevando l’addebito dell’importo sul conto corrente (quindi sono salvi i pagamenti del 30 marzo, addebitati il 2 aprile). Sono ammessi anche i pagamenti da parte di eventuali subappaltatori (risposte 26, 104 e 105 del 2025). Nel caso degli sconti in fattura, rileva la data di pagamento se, ovviamente, si è in presenza di sconto parziale (risposta 15 del 2025), non rilevando la data di emissione della fattura (pertanto, fattura del 30 marzo, ma pagamento parziale del 2 aprile, norma non rispettata). Nel caso di sconto integrale, invece, fa fede la data di fatturazione. Per i condomini, rileva il pagamento da parte dell’amministratore, con la conseguenza che:

  1. se l’amministratore ha pagato entro il 30 marzo, sono “salvi” anche i condomini ritardatari nel pagamento della relativa quota;
  2. se, invece, l’amministratore ha eseguito il bonifico post 30 marzo, sono esclusi dagli sconti e dalle cessioni anche i condomini che avevano regolato la quota entro il predetto termine.

 

Nuovi adempimenti previsti dal DL 39/24

Il DL 39/24 non ha soltanto limitato le possibilità di cessione e sconto in fattura, ma ha anche introdotto nuovi adempimenti per gli interventi energetici e antisismici agevolati ai sensi dell’articolo 119 del DL 34/20 (c.d. superbonus), che possono portare a riflessi sanzionatori o, addirittura, alla perdita dell’agevolazione. Nello specifico, è stabilito che:

  • coloro che entro il 31 dicembre 2023 hanno   presentato   la comunicazione di inizio lavori asseverata ovvero l’istanza per l’acquisizione del titolo abilitativo previsto per la demolizione e la ricostruzione degli edifici, e che alla stessa data non hanno concluso i lavori;
  • coloro che hanno presentato la comunicazione di inizio lavori asseverata, ovvero l’istanza per l’acquisizione del titolo abilitativo previsto per la demolizione e la ricostruzione degli edifici, a partire dal 1° gennaio 2024;

devono inviare specifiche informazioni all’Enea (per gli interventi energetici, facendo riferimento al DPCM del 17 settembre 2024, articolo 4), ovvero al Portale Nazionale delle Classificazioni Sismiche (successivi articoli 5 e 6, come modificati dal DPCM del 29 ottobre 2024), indicando:

  • i dati catastali relativi all’immobile oggetto degli interventi;
  • l’ammontare delle spese sostenute nell’anno 2024 alla data di entrata in vigore del presente decreto DL 39/24 (ossia 30 marzo 2024);
  • l’ammontare delle spese che prevedibilmente saranno sostenute successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto negli anni 2024 e 2025;
  • le percentuali delle detrazioni spettanti in relazione alle spese di cui alle lettere b) e c).

Tali comunicazioni devono avvenire:

  • per le informazioni relative agli interventi di efficientamento energetico, entro gli stessi termini per l’invio all’ENEA delle asseverazioni previste ex lege;
  • per le informazioni relative agli interventi antisismici che non hanno concluso i lavori entro il 31 dicembre 2023 oppure che sono stati avviati nel corso del 2024, entro i seguenti termini perentori:
    • 31 ottobre 2024 per quanto riguarda le informazioni relative a tutti i SAL approvati entro il 1° ottobre 2024;
    • entro trenta giorni a partire dal giorno successivo a quello della approvazione del SAL, in tutti gli altri casi.

L’assenza di tale adempimento ha conseguenze a dir poco antipatiche. Infatti è espressamente previsto che l’omessa trasmissione dei dati nei termini dapprima indicati comporta:

  • l’applicazione della sanzione amministrativa di euro 10.000;
  • o in alternativa, per gli interventi per i quali la comunicazione di inizio lavori asseverata, ovvero l’istanza per l’acquisizione del titolo abilitativo previsto per la demolizione e la ricostruzione degli edifici è stata presentata a partire dalla data di entrata in vigore del DL 39/24 (come detto, 30.03.2024), la decadenza dall’agevolazione fiscale.

Inutile dire che nel secondo caso le conseguenze sono davvero nefaste.

Il cambio di rateazione per le spese del 2023

Infine, per il superbonus e in riferimento alle spese del 2023 per le quali il contribuente non è riuscito a fruire delle opzioni (sconto in fattura e/o cessione), viene introdotta la possibilità di optare, mediante integrativa e senza sanzioni e interessi, per la ripartizione in 10 rate (scelta irrevocabile). In pratica, in luogo della suddivisione in 4 rate che magari potrebbe arrecare problemi di “incapienza”, sarà possibile ripartire in 10 rate, ovviamente riversando l’eventuale maggior debito (o minor credito già fruito/rimborsato), ma senza sanzioni e interessi.

Ad esempio, con una detrazione di 100.000 euro da ripartire in 4 rate, un contribuente ha dovuto fruire, nel 2023, della quota di 25.000 euro. Laddove la propria imposta lorda fosse pari a 15.000 euro, ipotizzando l’assenza di altri oneri, tale detrazione ha causato la “perdita” di 10.000 euro di beneficio (non riportabile nella dichiarazione successiva). L’opportunità oggi concessa dal legislatore permette di modificare la scelta del 2023, portando la rata ad 1/10 della detrazione, dunque con importo pari a 10.000 euro. Operando in questo modo, la dichiarazione del 2023 torna a debito, posto che dall’imposta lorda di 15.000 euro, detraendo l’ammontare di 10.000 mila euro, residuano 5.000 euro da pagare.

In questa ipotesi, modificando la scelta sul 2023, sarà possibile avvantaggiarsi e ritornare ad essere “capienti”, dovendo riversare l’importo a debito (nell’esempio, 5.000 euro), ma senza sanzioni ed interessi.

La scelta da eseguire è irrevocabile e dunque, una volta passati a 10 rate, non è possibile alcun ripensamento. In dichiarazione per l’anno 2024 i contribuenti interessati troveranno una nuova colonna, da barrare proprio per evidenziare che trattasi di soggetti che hanno modificato il piano rateale.