Credito anno zero

La politica monetaria restrittiva della Banca centrale europea rischia di portare l’Europa in recessione. La scelta di continuare ad aumentare i tassi di interesse danneggia imprese, professionisti e famiglie e favorisce solo gli istituti di credito. È arrivato il momento di intervenire con politiche economiche e finanziarie choc, azzerando i tassi per gli investimenti. Come propone il presidente di Fidiprof, Ezio Maria Reggiani, che lancia l’idea di un Istituto ad hoc

di Nicola Adavastro (da il Libero Professionista Reloaded #16).

«Siamo all’anno zero…è semplicemente inaccettabile pensare di sostenere le politiche di crescita economica con tassi di interesse equivalenti a quelli che sino a pochi mesi fa venivano applicati al credito al consumo». Ezio Maria Reggiani, bergamasco, delegato al credito di Confprofessioni nazionale e presidente di Fidiprof (confidi dei liberi professionisti) è un professionista di lungo corso, con anni di attività e di impegno nel mondo associativo professionale, oltre che nel volontariato sociale, e con un passato non banale nell’ambito del Credito Cooperativo. Nella sua agenda la data del 14 settembre 2023 è evidenziata in rosso. A Francoforte si riunirà il Consiglio direttivo della Banca centrale europea (Bce) che dovrà decidere se inasprire ulteriormente la stretta monetaria per ridurre l’inflazione, continuando quindi ad aumentare i tassi d’interesse che nel giro di un anno soo passati dall’1,50 al 4,50%. Le previsioni di molti analisti ed economisti indicano un maxi aumento di 75 punti base, dopo che ad agosto l’Eurostat ha stimato una crescita dei prezzi annuale pari al 9,1%, rispetto all’8,9% di luglio.

Ritiene valide le teorie economiche che vengono richiamate dalla Bce per l’aumento dei tassi?

Per nulla. La Bce perdura in questa politica restrittiva motivandola con l’obiettivo di assicurare il ritorno dell’inflazione al 2% nel medio termine. Sarà anche così ma oramai è evidente a tutti come di questo passo si stia percorrendo una strada che porta inevitabilmente alla recessione in tutta Europa e, in tal caso, l’Italia sarebbe uno dei Paesi Ue tra i più esposti ai venti di una pesante crisi economica e sociale.

Presidente, perché “siamo all’anno zero”?

Ma perché qui c’è ancora chi pretende di far teorie sulle politiche di sviluppo proprio quando il sistema bancario pratica agli operatori economici (a chi investe in capitale fisso e lavoro) tassi di interesse reali che possono anche andare oltre il 10%: gli stessi tassi che sei mesi fa venivano applicati, senza fare una piega, ad un consumatore per l’acquisto di un elettrodomestico.

Quindi?

Oggi, dopo ben tre accordi internazionali di Basilea, il Sistema monetario ha incorporato misure rapide, quanto dure, per bloccare ogni sia pur minima fessurazione nella tenuta della stabilità monetaria globale. La stabilità bancaria è il principale dogma che nessun politico al mondo può permettersi di ignorare o, peggio, di aggirare. Questo assioma genera però anche rigidità. Nel cuore dell’Europa è in corso una guerra che purtroppo non sembra possa finire a breve e che nel frattempo ha fatto impazzire i prezzi delle materie prime (già stressate dalla pandemia) e di quelle energetiche, fattori che scatenano un incendio inflattivo su scala mondiale, ma soprattutto nell’area euro, con una sensibile ricaduta sulla determinazione interna dei prezzi. Si tratta quindi di un’inflazione indotta da contesti esterni, tuttavia (in attesa di un armistizio, che non sembra alle porte) le banche centrali si premurano immediatamente, o quasi, di alzare il tasso di sconto ad un livello tale da scoraggiare, chiunque, anche a varcarla la soglia d’ingresso di una banca.

La Fed americana e la Bce stanno picchiando duro con i messaggi, “erga omnes”, sottolineando che se l’inflazione non scende al 2% le banche centrali “faranno quel che ci sarà da fare…”, ovvero aumenteranno i tassi. Ma esistono altre eventuali misure di contrasto all’aumento dell’inflazione?

Ho l’impressione che la situazione americana sia diversa da quella europea (e sarebbe interessante approfondire anche le scelte di politica economica anti inflazione messe in atto dal Giappone, pur con una realtà sociale, economica e industriale del tutto particolare). Negli Usa l’economia sembra voglia prendere il treno diretto per la ripresa, insomma si è messa a correre, ha bisogno di rifornimenti e il governatore della Federal Reserve, Jerome Powell, ha deciso di tagliare appunto i rifornimenti per salvare il potere di acquisto delle famiglie, almeno così dice lui. In Europa, invece, le cose stanno in modo del tutto diverso: qui come detto siamo alle porte di una recessione vera e propria, qui c’è la guerra. È chiaro che l’inflazione è esogena e che per domarla servirebbero misure politiche di dimensione internazionale. Francamente è incomprensibile l’accanimento della Bce sui tassi, sapendo bene che si dà un colpo mortale non solo alle tenui speranze di ripresa dell’economia ma anche allo stesso Pnrr che tante attese aveva suscitato solo due anni fa.

Ci faccia capire meglio…

Gli studi di grandi economisti, penso ad esempio a Giorgio Fuà, hanno messo in chiaro che le difficoltà del nostro Paese sono quelle tipiche dei Paesi a “industrializzazione tardiva”. È necessario riuscire a riprendere la corsa per colmare questo ritardo. L’intervento dello Stato e dell’Unione europea, in termini strutturali può, in determinati casi, consentire una transizione positiva generando economie esterne, abbattendo o contenendo costi fissi strutturali che, date determinate condizioni storiche negative – ad esempio l’indisponibilità di manodopera qualificata, di risorse naturali abbondanti, di infrastrutture civili avanzate – avrebbero un impatto penalizzante.

Questo suo richiamo a chi nella storia del nostro Paese ha assegnato un ruolo importante allo Stato nella programmazione economica, secondo Lei potrebbe avere una valenza rilevante anche ai giorni nostri, quando mi pare vanno abbastanza di moda i sostenitori dello “Stato leggero”.

Mah… non sarei tanto sicuro della sua affermazione a proposito di tali sostenitori. Il punto è riuscire a produrre una politica creditizia che sostenga adeguatamente un programma di sviluppo del nostro Paese. Il nostro Confidi vorrebbe poter lavorare alla elaborazione collettiva di una proposta che possa far fare un passo avanti a tutto il Paese.

Sentiamo…

La proposta sulla quale stiamo ragionando prevede di azzerare, ribadisco azzerare, l’impatto dei tassi bancari sul costo del denaro destinato agli investimenti, intesi in senso lato ovviamente, non solo chi compra acciaio, come accade oggi con la c.d. legge Sabatini, alla quale peraltro i liberi professionisti non possono accedere.

Mi verrebbe da pensare che questo aprirebbe una forsennata discussione tra i tecnici, ovvero se tutto sommato non si stia facendo rientrare la spinta inflattiva dalla finestra…

Purtroppo in Italia, il cluster del “fabbisogno finanziario totale annuale” destinabile alla voce “immobilizzi materiali e immateriali” non è neppure commensurabile con le voci afferenti alla totalità di tutte le altre attività economiche, ovvero alla finanza che alimenta la routine di sistema. Perché gli Stati dell’Unione dovrebbero investire 750 miliardi di euro, messi a disposizione dal programma Next Generation Eu, se poi non si accompagna questo poderoso sforzo pubblico con una altrettanto elevata crescita del settore privato, con i conseguenti benefici economici e sociali che ne derivano? Sarebbe insensato se ai cantieri pubblici seguisse una vera e propria moria di attori economici privati a causa di una miriade di motivi e il più rilevante è costituito dalla modifica strutturale delle condizioni di accesso ai mercati dei servizi, che sta diventando un dominio quasi esclusivo dell’alta finanza: fondi aggressivi che vanno alla ricerca di occasioni profittevoli e soprattutto che sono alla ricerca di attività anticicliche con le quali bilanciare le ormai crisi di sovrapproduzione globali. Tuttavia è chiaro che il sempre maggior peso della finanza nei mercati tradizionali è esiziale in quanto comporta la contrazione alla radice e alla lunga il soffocamento dell’economia basata su soggetti economici diffusi molecolarmente sul territorio.

Colgo una certa sensibilità per i destini dei soggetti economici minori o mi sbaglio?

Certamente. Guardiamo soprattutto al destino di quel 1,4 milione di liberi professionisti, e gli oltre 4 milioni di imprenditori, le Mpmi – le micro, piccole e medie imprese – attività economiche in gran parte organizzate in strutture con una dimensione inferiore ai 10 addetti. Questo è il tessuto connettivo del Paese: ci teniamo a che questa rivoluzione tecnologica, che è tutto eccetto che neutrale, questo tessuto, questo ordito secolare non lo si “sbrecci” ulteriormente, soprattutto lo sottometta definitivamente al potere finanziario. Questa per i liberi professionisti, e non solo, dev’essere una battaglia di principio, anzi, di libertà.

Bene, ma come ci arriviamo, senza scompaginare i conti dello Stato, a rendere concreta e realistica la sua proposta di azzeramento dei tassi per gli investimenti limitatamente a liberi professionisti e Mpmi?

La proposta è di mettere assieme, inizialmente, tutte le risorse che oggi si ritrovano erogate, con diverse metodologie, diversi fronti: dalla Sabatini all’Artigiancassa, a tutte le provvidenze variamente distribuite dentro quel lenzuolo infinito che è la finanziaria. A mio parere occorrerebbe realizzare una infrastruttura, che potremmo chiamare “Istituto Italiano per gli Investimenti”, sulla quale vengano canalizzate risorse sufficienti per ottenere il risultato di “azzerare, l’impatto dei tassi bancari sul costo del denaro destinato agli investimenti”. Su un ulteriore aspetto occorre essere chiari: meccanismi come quelli della Sabatini, che pure stanziano un tasso virtuale del 3,575% nel caso di investimenti in tecnologia digitale, non corrispondono appieno a quanto noi chiediamo.

Mi scusi, e come mai?

Perché lasciano fare alle banche “il loro gioco”: perciò si parla di “tasso virtuale Sabatini” perché viene dopo (si sottrae) al tasso bancario (che è dato, dall’euribor a 3 mesi + lo spred a sua volta applicato secondo un rating che colloca il grosso degli attori economici in terza fascia (tra 4 e 6) ovvero con pricing, ad oggi, tra il 6% sino ed oltre il 10%.

Ma gli istituti di credito potrebbero ribattere tranquillamente che i loro soldi li danno a chi ritengono, investono in chi credono, o no?

Partiamo da un dato di fatto importantissimo: oggi questo Paese opera sulle linee di credito destinate al sistema economico solo quando le stesse sono accompagnate da coverage, se capienti e, spesso, con il Fondo Centrale di Garanzia; questo “Grande Pilastro” è alimentato direttamente con fondi dello Stato. Bisogna, in termini di stabilizzazione del sistema saper valorizzare questo assunto: ovvero che tutti gli investimenti sono garantiti all’80% a perequazione zero, quindi il rischio è già significativamente ridotto. Come si è fatto con il Covid ci si potrebbe accordare su un prezzo che remuneri accettabilmente i costi operativi delle banche, un costo che potrebbe essere fissato attorno all’1%.

Rimarrebbe fuori il funding…

Si, certo; non a caso abbiamo parlato di contributo necessario dell’Europa: noi riteniamo che l’esperimento dei Tltro, (quali finanziamenti agevolati mirati – Targeted – concessi dalla Bce alle banche europee a lungo termine e finalizzati all’erogazione del credito alle famiglie e alle imprese non finanziarie) debba poter continuare soprattutto predisponendo un pacchetto di risorse destinate, tramite le banche, a fornire risorse, i finanziamenti necessari, al sistema delle Mpmi e dei liberi professionisti, anche se solo limitatamente alla sfera degli investimenti, a tasso zero, o prossimo allo zero: l’Unione avrà solo vantaggi da questa misura, perché essa fornirà l’innesco per una potente spinta alla ripresa alimentata, ma anche condizionata, dalle risultanze della scienza e delle nuove tecnologie che fanno intravvedere grandi opportunità.

Lei dice che le risorse necessarie non sarebbero ingenti e possono essere reperibili, oltre che adeguando gli stanziamenti ad un programma di crescita effettiva del Paese sotto il profilo della sua dotazione di capitale fisso, inizialmente anche con un utilizzo più razionale di quanto oggi è già stanziato ogni anno ma sta disperso in provvedimenti a pioggia. È così?

Di fatto le risorse destinate agli investimenti sono una parte del servizio del debito che dovrebbe essere ragionevolmente contenuto rispetto ai flussi finanziari complessivi assistiti dal sistema bancario, insomma la routine, il circolante: stiamo parlando di stock di risorse non paragonabili. Su questo punto siamo certi che la nostra proposta è realistica e soprattutto è sana: basti pensare anche solo al carico d’Iva (peraltro imposta comunitaria) che si recupererebbe immediatamente con una forte campagna di investimenti a 360 gradi.

Ma perché dovrebbe servire un Istituto ad hoc, una infrastruttura per gestire questo prodotto finanziario?

Le risorse impegnate saranno comunque importanti, ma è evidente che verranno erogate tempo per tempo e occorrerà quindi un sistema di controllo sia sul merito dell’operazione sia nel durante. Tutte queste operazioni devono rimanere un problema delle banche e dello Stato, non degli attori economici. In ogni caso l’istituzionalizzazione di un ente per gli investimenti potrà essere utile anche, in sinergia con il Fondo Centrale di Garanzia, per migliorare la strumentazione tecnica oggi di uso comune anche per meglio adeguare l’impeto innovativo che pure deve essere messo in atto: su tutto ciò sento assolutamente necessitante uno sforzo di innovazione anche sotto il profilo della strumentazione creditizia…

E quali potrebbero essere i vantaggi economici?

Dobbiamo necessariamente parlare di trattamenti medi, perché, come è noto, le banche non sono tutte uguali, non praticano tutte la medesima offerta sul mercato. Partiamo dal dato di fatto che un finanziamento destinato ad investimenti per un importo di 100 mila euro e ammortato in sette anni (84 mesi), coverage mcc 80%, tasso 1%, avrebbe un costo complessivo per interessi di euro 3.582,47; se invece applichiamo i tassi medi correnti, attorno al 6% (terza fascia mcc) la spesa è cui si va incontro è di euro € 22.711,86. La nostra proposta non è di stanziare la differenza, 19.129,39, ma di eliminare in partenza questo costo contenendo i costi di provvista. Di quanto? Noi diciamo azzerandoli, poi ovviamente questo andrà contrattato con la Ue e con lo Stato: insomma tutti ci dovranno mettere qualcosa: ma come appare evidente dall’esempio i valori che vengono scaricati sul mercato dall’attuale politica monetaria della Bce sarebbero devastanti. È necessario tornare a una politica creditizia ragionevole, ribadisco, almeno per quel che riguarda gli investimenti. Noi auspichiamo una discussione aperta e onesta, coraggiosa anche, che aiuti tutti a fare un passo avanti in una direzione che possa farci ritrovare il sentiero della crescita e del benessere.