Definizione liti fiscali, altra opportunità per chiudere le controversie con il fisco

Di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi

La manovra di bilancio 2023 prevede diverse disposizioni deflattive offerte ai contribuenti, anche professionisti:

  • sia per sanare eventuali errori commessi in termini di versamento;
  • sia per “recuperare” i debiti della riscossione;
  • sia, infine, per chiudere le liti in essere con l’amministrazione finanziaria.

La chiusura del contenzioso fiscale rappresenta senza dubbio una opportunità interessante, in considerazione se non altro della notoria aleatorietà che caratterizza le decisioni delle Corti di Giustizia Tributaria. Tra gli addetti ai lavori, con spirito goliardico, si usa dire che oramai “si vincono i ricorsi che si dovrebbero perdere e si perdono i ricorsi che si dovrebbero vincere”.

Di fatto viene prevista la possibilità di pagare, nella generalità dei casi, un importo pari al valore della lite (tranne il ricorrere di specifiche fattispecie di seguito illustrate), venendo meno le sanzioni e gli interessi; inoltre, a scomputo del dovuto, si possono conteggiare tutti gli importi che nel frattempo sono stati eventualmente pagati in forza della c.d. “riscossione frazionata” in pendenza del contenzioso. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.

 

I contenziosi definibili

La nuova disposizione permette di definire le liti in cui è parte l’Agenzia delle entrate o l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli pendenti alla data di entrata in vigore della norma (1° gennaio 2023). Cosa si intende per lite pendente?

La lite è pendente

  • se è stato prodotto ricorso avverso un atto dell’amministrazione finanziaria e lo stesso ancora non è stato deciso in maniera definitiva, o perché ancora manca un giudicato;
  • in quanto ancora non sono decorsi i termini per impugnare l’ultimo giudicato intervenuto.

Ovviamente la situazione deve essere cristallizzata al 1° gennaio 2023; questo significa che non rilevano ricorsi presentati successivamente, così come non rileva l’eventuale scadenza dei termini di impugnazione sempre in data successiva.

L’importante è che al 1° gennaio 2023 esistesse ancora una lite non passata in giudicato.

Orbene è di tutta evidenza che sono sanabili tutti i ricorsi prodotti avverso:

  • gli avvisi di accertamento ai fini delle imposte dirette ed indirette;
  • gli avvisi di rettifica;
  • gli atti di irrogazione sanzioni

In definitiva si tratta dei ricorsi aventi come controparte l’Agenzia delle Entrate.  Di rilievo è la novità del richiamare, quale controparte, anche l’Agenzia dei Monopoli, circostanza che permette di definire anche le controversie sorte in materia di gestione dei giochi ed accise.

 

I contenziosi non definibili

Per esplicita previsione normativa non sono invece definibili:

  1. i) le controversie relative alle imposte che costituiscono risorse finanziarie proprie degli organismi dell’Unione Europea (i.e., IVA sulle importazioni);
  2. ii) le liti relative al recupero degli aiuti di Stato ai sensi delle disposizioni dell’Unione Europea (ad esempio, le sovvenzioni ricevute ai sensi della normativa anticovid);

iii)        le controversie di cui non è parte l’Agenzia delle entrate o Agenzia delle Dogane e Monopoli;

  1. iv) ricorsi con sentenze passate in giudicato al giorno 31.12.2022;
  2. v) liti i cui ricorsi introduttivi siano stati notificati dopo il 1.1.2023.

 

I contenziosi son gli enti territoriali

Resta invece “nebulosa” la definizione nei confronti degli atti emessi dagli enti territoriali. Al momento il legislatore ha soltanto previsto che “Ciascun ente territoriale può stabilire, entro il 31 marzo 2023, con le forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti, l’applicazione dei commi da 186 a 204 alle controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte il medesimo ente o un suo ente strumentale”. Al dunque, ogni Ente ha piena facoltà di decidere se introdurre o meno una definizione delle liti e non resta che attendere che “l’oracolo si sciolga”.

 

Gli importi da pagare

La definizione delle liti passa da un assunto di fondo: non sono dovute le sanzioni e gli interessi, ma si paga solo la sorte capitale in termini di imposte. In realtà la norma si riferisce al valore della lite, che appunto nella stragrande maggioranza dei casi è rappresentato dalla sommatoria delle imposte richieste con l’atto introduttivo.

Senonché, possono poi sussistere anche liti che magari hanno riguardo solo alle sanzioni e nel prosieguo vedremo quale è la gestione scelta in questo caso dal legislatore.

I contenziosi con richiesta di maggiori imposte

È importante notare che nella definizione delle liti non hanno rilievo le vicende della riscossione in termini di “oneri” dovuti all’agente della Riscossione; durante il contenzioso, infatti, salvo che non sia stabilita la sospensione della riscossione, lo stesso procede mediante la c.d. “riscossione frazionata”. Dunque, ben potrebbero esservi delle cartelle di pagamento o degli atti di intimazione già notificate al contribuente e magari in corso di pagamento rateale. Al riguardo:

  • quanto pagato dal contribuente a qualsiasi titolo viene scomputato dall’importo dovuto per la definizione, anche se non possono originarsi somme a rimborso. Ciò significa che se per la sanatoria sono necessari 10.000,00 euro e nel frattempo già sono stati corrisposti 13.000,00 euro a titolo vario, ai fini della definizione nulla più è dovuto, ma non è possibile richiedere a rimborso il pagamento dei 3.000,00 euro eccedenti;
  • qualsiasi ulteriore importo “emerso” a seguito delle procedure della riscossione non è più dovuto (come gli aggi per la riscossione), posto che a seguito della definizione vi sarà lo sgravio di qualsiasi pretesa da parte del fisco.

Ciò detto, per giungere alla definizione è necessario corrispondere:

  • Il 100% del valore della lite. Tale importo è dovuto sia in caso di esito per il contribuente totalmente negativo del giudicato (sia primo che secondo grado), esistente al 31 dicembre 2022, sia in presenza di ricorso notificato all’agenzia delle entrate entro la medesima data ma ancora non iscritto a ruolo (il caso classico è rappresentato dal ricorso alla fine del 2022 con attivazione della procedura di reclamo/mediazione),
  • 90% del valore della lite se il ricorso pende nel 1° grado di giudizio (dunque vi è stata la Costituzione in giudizio, con l’iscrizione a ruolo e l’assegnazione del RGR);
  • 40% del valore della lite in caso di soccombenza dell’A.E. nel 1° grado di giudizio;
  • 15% del valore della lite in caso di soccombenza dell’A.E. nel 2° grado di giudizio;

Inoltre, in caso di accoglimento parziale del ricorso è dovuto l’importo del valore della lite al 100% per la parte di atto che è stata confermata e in misura ridotta per la parte di atto annullata con pagamento del 40% se trattasi di sentenza di primo grado o del 15% in secondo grado.

In termini pratici, si immagini un ricorso con un valore della lite per 100,000 euro, deciso con annullamento del 60% dei rilievi in primo grado e questa sia la sola sentenza esistente al 31 dicembre 2022. Per la definizione si dovrà procedere al versamento del 100% dell’importo perso (ossia 40.000 euro) e al 40% di quello vinto (dunque ulteriori 24.000 euro), per un totale dovuto di 64.000,00 euro.

Nel caso di controversia pendente in Corte di Cassazione e presenza di entrambi i giudicati di merito favorevoli al contribuente, la definizione si ottiene con il pagamento del 5% del valore della lite.

 

I contenziosi con richiesta di sole sanzioni

Come anticipato, il legislatore poi gestisce la definizione delle controversie relative agli atti di contestazione sanzioni. In questa ipotesi:

  • se le sanzioni, evidentemente irrogate con atto separato da quello di accertamento, sono collegate ai tributi (i cui rilievi sono contenuti in altro atto), non è dovuto alcun importo se nel frattempo avviene la definizione dei tributi (ossia la definizione in riferimento all’atto che contiene i rilievi in termini di tributi);
  • di contro, se trattasi di sanzioni non collegate a tributi (si pensi alle violazioni sul monitoraggio fiscale – quadro RW), è previsto il pagamento di un importo pari al:
  • 15% delle sanzioni nel caso di soccombenza dell’Agenzia delle entrate nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare, sul merito o sull’ammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio, depositata alla data del 1.1.2023;
  • 40% negli altri casi.

 

La procedura da seguire

La definizione si perfeziona con la presentazione di una apposita domanda. Detta domanda deve presentarsi per ciascuna controversia autonoma, intendendosi per tale il riferimento a ciascun atto impugnato. Ne deriva che in caso di riunione dei ricorsi, bisognerà comunque fare riferimento agli atti introduttivi del contenzioso.

Il pagamento dell’importo dovuto, come in precedenza determinato, deve essere versato in unica soluzione entro il 30.06.2023.

Se l’importo dovuto supera i 1.000 euro, è ammessa la ripartizione in un massimo di 20 rate trimestrali di pari importo (da versare entro il 30.6 il 30.9, il 20.12 e il 31.3 di ogni anno) e la quietanza della prima rata va trasmessa all’ufficio impositore entro 10 giorni. Nel caso di pagamento rateale, la definizione si perfeziona al pagamento della prima rata.

Se non risultano somme da versare, è sufficiente presentare la domanda.

Le controversie oggetto di definizione non sono automaticamente sospese a seguito della domanda di sanatoria; il contribuente ha però la facoltà di richiedere al giudice la sospensione dichiarando di volersi avvalere della norma. La sospensione è concessa fino al 10.7.2023 se il contribuente deposita presso l’organo giurisdizionale innanzi al quale pende la controversia la copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata. Di fatto la scelta del contribuente può essere ancorata a meri ragionamenti di convenienza. Ad esempio, in caso di esito di primo grado positivo e di fissazione dell’udienza di secondo grado nei primi giorni di febbraio, il contribuente potrebbe decidere in ogni caso di far procedere il contenzioso e poi, in funzione dell’esito dello stesso, decidere se sanare o meno sulla base della situazione esistente al 31 dicembre 2022. È di tutta evidenza, infatti, che:

  • in caso di esito negativo di secondo grado sarà conveniente procedere alla definizione versando il 40% dell’esito positivo di primo grado “cristallizzato” ai fini della sanatoria;
  • nell’ipotesi di ulteriore conferma favorevole in regionale magari il contribuente potrebbe decidere di non definire affatto e di ritenersi “blindato” in funzione dei giudicati intervenuti.

Se invece non vi è la volontà di eseguire questi ragionamenti e già si è convinti della scelta di definire, allora sarà conveniente richieder la sospensione del procedimento.

 

L’alternativa della conciliazione agevolata o della rinuncia al ricorso per Cassazione

Il legislatore comunque offre delle possibilità alternative rispetto alla definizione della lite, introducendo (totale novità rispetto al passato), la possibilità di transare con il fisco in via extragiudiziale.

Due le procedure attivabili:

  • la prima è quella della conciliazione, istituto noto nell’ordinarietà ma che nell’ambito delle definizioni avviene in maniera agevolata (in pratica, con la possibilità di ridurre le sanzioni al diciottesimo dei minimi edittali);
  • la seconda è la rinuncia al ricorso di Cassazione, con raggiungimento di un accordo transattivo con il fisco e sempre la riduzione delle sanzioni ad un diciottesimo.

Il vantaggio potrebbe essere interessante, dato lo scarso impatto delle sanzioni, oltre alla debenza degli interessi, che si accompagna (ulteriore punto di forza) ad una riduzione delle imposte dovute.

Ad esempio, si consideri un ricorso di primo grado iscritto a ruolo, con valore della lite pari a 60.000 euro (imposte recuperate a fronte di dichiarazione infedele).

Ebbene:

  • senza conciliazione agevolata, il contribuente dovrebbe corrispondere il 90% del valore, dunque un importo di 54.000,00 euro, eliminando sanzioni ed interessi;
  • con la conciliazione agevolata, il contribuente potrebbe ottenere la riduzione delle imposte accertate. Si pensi ad una riduzione delle imposte a 40.000 euro, con sanzione teorica di riferimento (da infedele dichiarazione), pari a 36.000,00 euro (90% delle imposte, quale sanzione minima). Ebbene è prevista la possibilità di pagare solo il diciottesimo, dunque 2.000,00 (5% delle imposte rideterminate), cui magari si aggiungono 4.000 euro di sanzioni, per un totale dovuto di 46.000,00 euro, minore dell’importo di 54.000,00 euro che invece si dovrebbe versare nel caso della definizione della lite.

Occhio dunque ai ragionamenti complessivi da eseguire, perché vi potrebbero essere differenze interessanti nella fruizione delle definizioni previste per il 2023.

 

L’estinzione del giudizio

A seguito della presentazione della domanda di definizione, in qualsiasi grado di giudizio di pendenza della controversia, il processo è dichiarato estinto con decreto del presidente della sezione o con ordinanza in camera di consiglio se è stata fissata la data della decisione. Le spese del processo restano a carico della parte che le ha anticipate.

Ovviamente l’Ufficio competente potrebbe avere qualcosa da obiettare in relazione alle definizioni intervenute ed ha, pertanto, la possibilità di notificare al contribuente l’eventuale diniego entro il 31.07.2024. L’impugnazione va proposta entro 60 giorni dinanzi all’organo giurisdizionale presso il quale pende la controversia. Poiché il diniego è motivo di revocazione del provvedimento di estinzione del giudizio, la revocazione è chiesta unitamente all’impugnazione del diniego della definizione entro 60 giorni dalla notifica di quest’ultimo.