Pendenze con il fisco, sei mesi di scelte da compiere

di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi

Ormai si è in procinto di entrare nella fase “operativa” delle diverse definizioni che sono state introdotte dal legislatore con la manovra del 2023. I primi chiarimenti sono giunti, sia con due circolari sia in occasione degli incontri con la stampa specializzata e, nel frattempo, sono stati emanati anche i primi provvedimenti operativi, avendosi tra l’altro disponibile:

  • il modello per la definizione delle liti pendenti;
  • la possibilità di produrre la domanda per la rottamazione quater.

Posto che sul fronte del saldo e stralcio delle cartelle fino a 1.000 euro nulla deve essere fatto, in quanto la relativa operatività sarà direttamente gestita dall’Agenzia della Riscossione, osserviamo le altre disposizioni con un’ottica particolare: dare qualche suggerimento utile per meglio indirizzare la scelta da compiere.

 

La definizione degli atti del controllo automatizzato

La prima disposizione che si incrocia attiene alla c.d. definizione degli avvisi bonari, invero terminologia impropria posto che:

  • sono definibili solo gli avvisi bonari collegati agli omessi od incompleti versamenti in materia di imposte dirette ed IVA;
  • non vi rientrano gli avvisi derivanti dal controllo esperito ai sensi dell’articolo 36 ter del DPR 600/73 (meglio noto come controllo formale della dichiarazione, ossia riferito al riporto delle ritenute e dei crediti, o ancora agli oneri deducibili e detraibili).

La norma si divide in due:

  • In primo luogo sono gestiti gli omessi od incompleti versamenti afferenti le dichiarazioni relative agli anni 2019, 2020 e 2021. Il richiamo alle “dichiarazioni” aveva destato non poche perplessità talchè è intervenuto il ministro Giorgetti per chiarire che vi rientrano anche le omissioni collegate alle LIPE. Semplice l’operatività. Le comunicazioni già pervenute, ovvero quelle che dovranno ancora pervenire, consentiranno di fruire della riduzione della sanzione, che in luogo di quella irrogata pari al 10% della violazione, sarà applicata nella misura del 3%. Di fatto, quando arriva l’avviso bonario, alla relativa scadenza (30 gg, ovvero 90 nel caso di avvisi telematici), sarà possibile pagare con la sanzione ridotta, anche avvalendosi della rateazione attualmente prevista fino a 20 rate a prescindere dall’importo. Sul punto, una domanda frequente attiene alla possibilità di fruire del ravvedimento agevolato, che consente la riduzione delle sanzioni nella misura di 1/18, laddove ancora non sia stato ricevuto l’avviso bonario. Ovvio il ragionamento: piuttosto che avere la sanzione al 3% è preferibile dividere la sanzione del 30% in diciottesimi, in modo da liquidare la sanzione dell’1,67%. Ebbene questa soluzione non è praticabile, stante la totale chiusura della circolare n. 2 del 2023. Al che deriva il consiglio successivo: qualsiasi omissione riguardante il triennio considerato dalla norma non deve essere ravveduto, perché piuttosto che liquidare la sanzione del 30% ridotta da 1/6 (anno 2019) ad 1/8 (anno 2021), è meglio attendere l’avviso bonario e ottenere la sanzione del 3%, con peraltro la possibilità di rateizzare il 20 rate.
  • La seconda parte della norma riguarda invece le rateazioni già in essere, senza riferimenti ai periodi d’imposta (quindi, ad esempio, anche per gli anni 2017 e 2018). In merito, è necessario che non sia intervenuta la decadenza dalla rateazione alla data di entrata in vigore della norma (1 gennaio 2023). Dopo di che, per tutte le rate con scadenza originaria successiva a tale data, è possibile:
  • sia ridurre la sanzione, pagando la misura del 3%;
  • sia “allungare” la rateazione, potendo giungere fino a 20 rate nel caso in cui la rateazione originaria era di massimo 8 rate.

Ultima notazione: se qualcuno non ha versato qualche rata in chiusura del 2022, confidando nella non decadenza vista la possibilità di fare ravvedimento entro la rata successiva nel 2023 e quindi, in funzione della norma in arrivo, risparmiare qualcosa in termini di sanzioni, ebbene lo sforzo non è stato premiato, perché l’Agenzia delle Entrate ha chiaramente evidenziato che se è vero che è possibile ravvedere e non decadere, è altrettanto vero che tale ravvedimento deve essere fatto in riferimento alla sanzione piena del 10%.

 

Gli errori formali

Sugli errori formali non vi è molto da dire, se non la raccomandazione di osservare le indicazioni di prassi (circolare 2 del 2023 e precedente “storico” della circolare 11 del 2019), riflettendo sulla circostanza che, di fatto, deve trattarsi di errore che almeno potenzialmente può impedire l’attività di controllo dell’amministrazione finanziaria. Non deve trattarsi di impedimento sostanziale, altrimenti non essendo possibile la risoluzione dell’errore formale occorre ricorrere al ravvedimento (ordinario o agevolato).

In termini pratici:

  • il primo spartiacque è rappresentato dalla modifica dell’imposta dovuta: in questi casi non si tratta di errore formale;
  • dopo di che deve riscontrarsi una duplice ulteriore circostanza:
  1. l’errore non deve aver alterato l’imposta;
  2. in ogni caso l’errore medesimo non deve “impedire” l’ordinario svolgimento dell’attività di controllo.

Ecco dunque che l’eventuale errore in materia di reverse, a parità d’imposta, è sicuramente un errore formale dato che non impedisce il riscontro del fisco; di contro, l’errata compilazione degli ISA, pur magari senza esiti in termini impositivi, non rientra nel novero degli errori formali se impedisce di comprendere la modalità di svolgimento dell’attività da parte del contribuente.

 

Il ravvedimento agevolato

Per esplicita previsione normativa, tale soluzione può essere usata per tutte le situazioni che non rientrano nella definizione degli avvisi bonari relativi al controllo automatizzato (dunque può essere usato per gli errori esposti al 36-ter) e nella rimozione degli errori formali. Di fatto, fino al prossimo 31 marzo, il ravvedimento agevolato rappresenterà una valida alternativa (se non l’alternativa sicura), al ravvedimento ordinario, atteso che ricorrono le stesse condizioni, prima fra tutte la necessità che non sia già giunto un atto di controllo del fisco (con l’eccezione del PVC, che non impedisce il ravvedimento), ma si portano a casa non soltanto le sanzioni ridotte nella misura di 1/18, ma anche la possibilità di pagare anche in numero massimo di 8 rate trimestrali. La norma è applicabile per tutte le violazioni riferite ai periodi d’imposta fino al 2021 ancora accertabili.

Sul tema si ritiene utile nuovamente rammentare che:

  • la riduzione agevolata non si applica agli omessi o incompleti versamenti, non solo del triennio 2019/2021 (come detto in precedenza), ma anche al successivo 2022 (perché la norma si ferma al 2021). In questi casi è possibile solo il ravvedimento ordinario (che però non conviene esplorare per le omissioni del triennio 2019/2021);
  • in diverse ipotesi (come nei pvc con rilievi reiterati), è conveniente attendere la fase dell’adesione al PVC, perché la relativa definizione conduce alla rateazione in 20 rate (anche se in definizione non è possibile la compensazione con eventuali crediti e dunque per conservare la riduzione delle sanzioni ad 1/18 forse è opportuno ravvedere in maniera agevolata);
  • dove non è possibile usare il ravvedimento agevolato, permane pur sempre il ravvedimento ordinario, come nelle casistiche di omessa compilazione del quadro RW ai fini del monitoraggio e delle patrimoniali sulle disponibilità estere.

 

Definizione delle liti potenziali

Nelle ipotesi di controlli del fisco ancora non confluiti in contenzioso, il legislatore offre la possibilità di raggiungere un accordo con l’amministrazione, ovvero di accettare i rilievi, avendo il beneficio della riduzione delle sanzioni ad 1/18 e della rateazione in massimo 20 rate. Inutile dire che tale disposizione non è applicabile a chi, prima del 2023, ha definito un atto di controllo (si pensi ad un’adesione su un avviso di accertamento), ed è attualmente in rateazione. Tale contribuente dovrà continuare a rispettare l’originario piano di rateazione, dovendo anche sopportare l’amara realtà di aver definito le sanzioni ad una misura elevata (nel caso delle adesioni, nella misura di 1/3).

Sul tema il suggerimento ottimale è di verificare l’esistenza di eventuali crediti da compensare. In tal caso, infatti, se è vero che non si ottengono le riduzioni alla misura di 1/18, è altrettanto vero che optare per l’adesione ordinaria (non dunque agevolata), permette di avere la possibilità di compensare. Ovvio che si riducono anche le rate trimestrali (8 o 16), ma almeno si ha la certezza di non perdere importi non altrimenti utilizzabili: è il caso, ad esempio, dei crediti legati al 110%, che come è noto richiedono un utilizzo annuo prestabilito e privo della possibilità di riporto ad annualità successive.

 

Definizione delle liti: gli incroci con gli accordi deflattivi e la rottamazione quater

La definizione delle liti transita per alcuni incroci particolari con altre possibilità offerte dal legislatore, dovendo tener presente almeno 3 scenari:

  • In primo luogo soccorre l’ammontare già versato nella c.d. riscossione frazionata. Questo aspetto è di non poco conto perché è possibile scomputare, dall’importo dovuto per la lite, qualsiasi versamento nel frattempo eseguito a titolo non soltanto di imposte, ma anche di sanzioni e interessi. Trattasi di fattispecie interessante soprattutto se è già intervenuto qualche grado di giudizio e dunque, presumibilmente, gran parte dell’importo dovuto per definire (se non tutto l’importo sufficiente allo scopo), magari è già stato versato. L’esempio classico è su “base 100”. Una lite, persa in primo grado, con 100 di imposte dovute per definire, avrà visto iscrivere a ruolo già 67 di imposte e sanzioni, oltre gli interessi. In secondo grado, invece, tutto è iscritto a ruolo e pertanto in entrambe le ipotesi è lecito attendersi un quantum dovuto molto ridotto (dipende dall’ammontare nel frattempo pagato), o pari a zero;
  • In secondo luogo va valutata l’alternativa con la rottamazione delle cartelle. Lo scomputo delle somme totali versate lascia propendere l’ago della bilancia verso la definizione delle liti, posto che nel caso delle cartelle può prendersi in considerazione solo la sorte capitale, ma magari vi sono situazioni in cui è ottimale procedere con la rottamazione. Senza dubbio il caso ricorre nelle ipotesi di contenziosi afferenti atti di irrogazione sanzioni che magari nel frattempo hanno raggiunto la Cassazione, con esito in regionale negativo per il contribuente: in tali ipotesi, infatti, mentre la definizione delle liti richiede il pagamento del 40% delle sanzioni, sul fronte della rottamazione si assiste all’eliminazione delle sanzioni medesime, esito che può divenire particolarmente interessante se nel frattempo il pagamento della cartella è stato appena avviato o è ancora fermo. Ma la scelta della rottamazione potrebbe aversi anche nelle ipotesi in cui, magari, si è indecisi sul da farsi circa la definizione delle liti, mentre la rottamazione offre “maggiori sicurezze”, come nelle ipotesi in cui il ricorso è palesemente inammissibile e si teme il rischio del diniego della definizione;
  • Infine, devono valutarsi le alternative deflattive del contenzioso, ossia la conciliazione agevolata e la rinuncia al ricorso in cassazione a seguito di accordo transattivo. Entrambe le soluzioni consentono da un lato di ridurre le imposte e dall’altro di ottenere le sanzioni ridotte ad 1/18: questo mix di risultati potrebbe essere conveniente rispetto alla definizione delle liti, soprattutto se la prospettiva è di pagare il 100% del valore della stessa. Occhio però alla modalità con cui verrà data attuazione allo scorporo delle somme già versate. Mentre nella definizione della lite tutti gli importi sono scomputati dall’ammontare dovuto (quindi sanzioni, interessi e capitale), nelle ipotesi deflattive restano dovuti, oltre al capitale, sia gli interessi che le sanzioni (pur se ridotte ad 1/18). Il problema riguarda soprattutto le sanzioni e ritorniamo all’esempio su base 100. Se 100 è il valore della lite e si è perso in secondo grado, con imposte pagate al momento della definizione per 67, sanzioni per 60 ed interessi per 5, la definizione della lite si ottiene senza esborsi di denaro, ma senza restituzione delle eccedenze versate. Nel caso invece della conciliazione potremmo avere un effetto “strano”. Pur ad esempio riducendo le imposte a 70, con sanzioni pari a 3,5 e interessi pari a 7, per un totale di 80,5 che è inferiore ai 100 dovuti per la definizione, l’eventuale “abbinamento” dei versamenti, senza scomputi per ammontari complessivi, porterebbe il contribuente ad essere debitore ancora di 3 per le imposte e 2 per gli interessi, con l’evidente anomala ma ragionevole conclusione che è meglio non conciliare.

 

Regolarizzazione degli importi dovuti per le precedenti definizioni ordinarie con il fisco

Sicuramente è la disposizione più enigmatica delle definizioni previste, ma va presa per quella che è, cercando di evitare di commettere errori che potrebbero essere sanguinosi.

In primo luogo bisogna stare attenti al pagamento degli importi. L’agenzia ha precisato, nella circolare 2 del 2023, che questa regolarizzazione si ottiene solo con l’integrale versamento del quantum dovuto in termini di imposte: quindi se si dovesse optare per le 20 rate, solo al termine del versamento dell’ultima rata la regolarizzazione si può dire completata.

Tale circostanza può determinare un effetto alquanto anomalo. Si pensi, ad esempio, ad un accertamento con adesione chiuso con 8 rate da pagare, di cui le prime 2 pagate, la terza e la quarta omessa (ma senza cartella di pagamento), e le restanti 4 da pagare nel 2023.

A condizione che ancora non sia giunta la cartella di pagamento per l’intervenuta decadenza, il contribuente può affrettarsi a regolarizzare le 2 rate in questione, optando però per il pagamento in 20 rate, che di fatto finirebbe nel 2027. È di tutta evidenza, però, che nel frattempo la rateazione originaria è terminata, sforzo che potrebbe essere inutile se poi la regolarizzazione non dovesse perfezionarsi: tale circostanza, infatti, confermerebbe le “omissioni” della terza e quarta rata confermando altresì l’intervenuta decadenza dal piano rateale, con iscrizione a ruolo e sanzione maggiorata sull’importo residuo da pagare. Insomma, sicuramente trattasi di un errore da evitare.

In secondo luogo si suggerisce di gestire con attenzione una situazione particolare che attiene alla conciliazione. In questa ipotesi non è necessario il pagamento della prima rata ed infatti la norma di definizione usa l’inciso “anche rateali”, per individuare gli importi sanabili, con ciò lasciando intendere che è sanabile anche l’intero ammontare eventualmente omesso. Orbene, per chi ha firmato la conciliazione e non versato la prima rata alla scadenza ordinaria, di fatto si è in presenza, sul piano teorico, di due potenziali definizioni: i) dell’intero importo; ii) solo della prima rata. Al momento l’agenzia ancora non si è espressa, ma pur ritenendo pacifica la possibilità di definire l’intero importo (con grosso risparmio di sanzioni e interessi), a scanso di equivoci ed in attesa di chiarimenti il suggerimento ottimale è di procedere al pagamento della quota capitale della prima rata; se poi dovesse essere confermata la possibilità di sanare l’intero importo, sarà possibile continuare con le restanti rate senza sanzioni ed interessi. Altrimenti, se in maniera inopinata l’agenzia dovesse dire che anche per la conciliazione la definizione può riguardare solo le singole rate, allora si riprenderà la rateazione originaria alle relative scadenze, pagando gli importi pieni emergenti dal piano di rateazione.