di Camilla Lombardi e Giulia Palma – Osservatorio libere professioni
La maternità è un ostacolo che rischia di compromettere la carriera di una libera professionista. E anche per questo motivo un sempre maggior numero di donne che operano nell’ambito delle professioni legali, sanitarie, economiche e tecniche, tende ad avere il primo figlio oltre i 30 anni. Sono due dati allarmanti che emergono da un’indagine su “Le priorità strategiche per la parità di genere nelle libere professioni” condotta dall’Osservatorio delle libere professioni nel 2024, che è stato presentato lo scorso 11 marzo 2025 durante l’evento: “Parità di genere e differenziale retributivo. Le professioniste”, promosso da Confprofessioni e da Noi Rete Donne. L’indagine condotta dall’Osservatorio delle libere professioni nel 2024, su un campione di circa 1.300 professionisti iscritti alla Gestione Professionisti di Ebipro, ha analizzato le tutele esistenti e l’impatto della genitorialità sulla carriera, evidenziando criticità e possibili interventi per favorire la parità lavorativa.
La paura di far figli
Il primo dato che balza all’occhio è la percezione della maternità sulla carriera: quattro professioniste su cinque ritengono che diventare mamma possa compromettere la carriera, con una sensazione più marcata tra le donne più giovani (83%). Ma anche tra le over 45 la percentuale resta alta (77%), suggerendo un problema strutturale nella compatibilità tra maternità e sviluppo professionale. Non meraviglia, dunque, che le libere professioniste dedicano di spostare in là negli anni la nascita del primo figlio. Dall’indagine emerge che l’età media delle donne alla nascita del primo figlio è pari a 32,5 anni, in linea con il dato nazionale del 2023. Un dato che conferma la tendenza a posticipare la maternità per motivazioni legate alla carriera e alla stabilità lavorativa. Inoltre, analizzato la condizione occupazionale delle donne al momento della nascita dei figli emerge come il 61% delle donne era libera professionista, mentre il 34% era dipendente e ha successivamente cambiato inquadramento. Questo permette di distinguere tra chi ha potuto beneficiare delle tutele del lavoro dipendente e chi ha vissuto la maternità con minori garanzie.
L’impatto della maternità
L’impatto della genitorialità sull’attività professionale presenta differenze di genere significative. Solo il 36,6% delle donne dichiara di non aver subito cambiamenti dopo la nascita di un figlio, contro il 68,3% degli uomini. Le donne sono più frequentemente costrette a modificare gli orari di lavoro (16,2%), delegare attività (13,8%) o comprimere i tempi lavorativi (13,2%). Gli uomini, invece, riportano cambiamenti meno incisivi: solo il 10% ha dovuto delegare compiti e l’8,2% ha ridotto il tempo dedicato al lavoro (Figura 1).
Le differenze nell’impatto della maternità sull’attività professionale non sono solo per sesso, ma anche per profilo professionale. Infatti, distinguendo tra libere professioniste e lavoratrici dipendenti, emerge che il 39,7% delle professioniste non ha subito cambiamenti, ma una quota rilevante (18,8%) ha dovuto delegare parte del lavoro. Tra le ex dipendenti, il 29,2% ha modificato gli orari di lavoro, evidenziando la necessità di maggiore flessibilità nelle professioni autonome. Anche perché le tutele esistenti risultano poco conosciute e poco utilizzate, soprattutto tra e libere professioniste. Infatti, il 74% delle donne non ha usufruito di misure di sostegno alla genitorialità. Circa la metà delle donne dichiara di non esserne a conoscenza, il 32% indica che le misure non erano previste dal proprio contratto, mentre il 12% non ha potuto accedervi a causa degli impegni lavorativi. Questo evidenzia una grave carenza informativa e strutturale nelle politiche di supporto (Figura 2).
I supporti alla genitorialità
La principale fonte di sostegno per le libere professioniste è rappresentata dalle Casse di previdenza (82%), seguite dall’Inps (17%). Tuttavia, la percezione di adeguatezza di queste misure è estremamente bassa: il 77% delle rispondenti le giudica insufficienti, solo il 13% ne ha un’opinione positiva e il 10% non ha una posizione chiara.
L’indagine evidenzia una chiara necessità di interventi mirati a migliorare il supporto alla genitorialità tra i liberi professionisti. La scarsa conoscenza delle tutele esistenti e la loro inadeguatezza richiedono interventi mirati, sia a livello informativo che strutturale. Le politiche future dovrebbero puntare su una maggiore diffusione delle informazioni relative alle tutele, sull’ampliamento delle misure di conciliazione vita-lavoro e su incentivi economici per supportare la genitorialità nelle libere professioni. Solo attraverso un approccio integrato sarà possibile garantire pari opportunità lavorative e una migliore qualità della vita per i professionisti con figli.

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