Studio professionale, il titolare deve riaddebitare le spese comuni

Una sentenza della Cassazione dà ragione all’Agenzia delle Entrate. Se il titolare sceglie di sostenere tutti i costi per favorire collaboratori e tirocinanti, si tratta di una liberalità indiretta non deducibile dal reddito Accade frequentemente che il titolare di uno studio sostenga tutti i costi per favorire i propri collaboratori o tirocinanti. Ebbene, la Corte
Una sentenza della Cassazione dà ragione all’Agenzia delle Entrate. Se il titolare sceglie di sostenere tutti i costi per favorire collaboratori e tirocinanti, si tratta di una liberalità indiretta non deducibile dal reddito

Accade frequentemente che il titolare di uno studio sostenga tutti i costi per favorire i propri collaboratori o tirocinanti. Ebbene, la Corte di Cassazione con sentenza del 29 luglio 2015, n. 16035, dà ragione all’Agenzia delle Entrate sostenendo che anche se il titolare sceglie di sostenere tutti i costi per favorire collaboratori e tirocinanti, si tratta di una liberalità indiretta non deducibile dal reddito.

 

Ai fini della deducibilità è quindi necessario che il titolare dello studio riaddebiti le spese ai collaboratori e tirocinanti in proporzione all’utilizzo di ciascuno, in mancanza di tale ripartizione non potrà portare in deduzione i costi dal suo reddito.

 

Con questa sentenza la Corte di Cassazione ha in pratica condiviso la posizione espressa dall’Amministrazione finanziaria con le circolari 58/2001 e 38/2010.

 

Con la prima circolare viene affermato che “Il riaddebito, da parte di un professionista, delle spese comuni dello studio utilizzato da più professionisti non costituiti in associazione professionale, da lui sostenute, deve essere realizzato attraverso l’emissione di fattura assoggettata ad IVA. Ai fini reddituali, le somme rimborsate dagli altri utilizzatori comportano una riclassificazione in diminuzione del costo sostenuto dal professionista intestatario dell’utenza”.

 

Con la Circolare n. 38 del 23 giugno 2010, l’amministrazione finanziaria ha poi precisato che “Il reddito di lavoro autonomo è determinato dalla differenza tra i compensi percepiti e le spese sostenute. Ai fini reddituali le somme incassate per il riaddebito dei costi ad altri professionisti per l’uso comune degli uffici non costituisce reddito di lavoro autonomo e quindi non rileva quale componente positivo di reddito. E’ corretto ritenere che il costo sostenuto può essere dedotto dal professionista solo parzialmente, vale a dire per la parte riferibile alla attività da lui svolta e non anche per la parte riaddebitata o da riaddebitare ad altri. Infatti la parte di costo riaddebitata o da riaddebitare non è inerente alla attività da questi svolta e quindi non assume rilevanza reddituale quale componente negativo. Nella imputazione delle componenti reddituali al periodo d’imposta il reddito di lavoro autonomo segue il criterio di cassa, principio che può essere derogato solo nelle ipotesi previste. Pertanto il costo rimborsato al professionista dal collega per l’uso comune del locale di esercizio dell’attività nel periodo d’imposta successivo non può considerarsi rilevante ai fini reddituali per il professionista che lo riceve. Detto componente sarà invece rilevante per il professionista (collega), nel periodo d’imposta in cui effettivamente lo corrisponde per l’uso dei locali”.