di Andrea Dili
Per i liberi professionisti il nuovo anno porta in dote la neutralità fiscale dei processi di aggregazione e di riorganizzazione degli studi professionali.
Giunge così a compimento un lungo e articolato processo, iniziato nel lontano 2011 con il varo della società tra professionisti (STP). Se allora la maggioranza degli addetti ai lavori immaginava che l’esercizio delle professioni attraverso i modelli societari tipici dell’impresa si sarebbe rapidamente diffuso, rendendo più competitivo e sostenibile il comparto dei servizi professionali del nostro Paese, trascorsi poco meno di 14 anni occorre fare i conti con una storia assai diversa. Eppure, la necessità di favorire lo sviluppo del mercato dei servizi professionali, attraverso l’aggregazione di competenze specialistiche e multidisciplinari, avrebbe dovuto costituire la stella polare delle politiche da mettere in campo per la crescita delle professioni.
Un iter travagliato
La scarsa diffusione delle STP, invece, soprattutto negli anni immediatamente successivi alla riforma, è figlia di una serie di vincoli e pregiudizi che ne hanno rallentato l’affermazione. Tra i quali, evidentemente, lo scetticismo iniziale di alcuni ordini professionali e le lacune legislative e regolamentari, con particolare riguardo ai profili contributivi e tributari del modello STP. Come non ricordare, ad esempio, il noioso dibattito sulla natura del reddito, di impresa o di lavoro autonomo, prodotto dalle società tra professionisti?
Una volta colmate le carenze della norma istituiva delle STP, attraverso il varo del decreto ministeriale che ne ha disciplinato i principali aspetti operativi (2013), e chiarito che esse, ovviamente, sono soggette alla disciplina del reddito di impresa, il modello societario per l’esercizio della professione ha iniziato lentamente a diffondersi, ma continuando a registrare bassi tassi di crescita. Le ragioni dello scetticismo dei professionisti risiedevano nella presa d’atto dei numerosi vincoli del modello STP, restrizioni di natura primariamente fiscale e in parte previdenziale.
In primo luogo, infatti, va rilevato che, in assenza di una chiara disciplina della fattispecie, ai fini fiscali l’Amministrazione finanziaria considerava le operazioni di aggregazione degli studi professionali in STP alla stregua di cessioni, tassandone gli effetti. In secondo luogo, il particolare meccanismo di fatturazione delle prestazioni all’interno del modello societario (STP verso cliente, professionista verso STP) in alcuni casi può generare una duplicazione del cosiddetto contributo “integrativo”, con una iniqua penalizzazione di coloro che optano per l’esercizio della professione in STP che assumono la forma di società di capitali o cooperativa.
La neutralità fiscale
Con l’entrata in vigore del decreto Irpef-Ires (D. Lgs. 13 dicembre 2024, n. 192) il primo vincolo, finalmente, cade: dal 31 dicembre 2024, infatti, le operazioni di aggregazione e di ristrutturazione degli studi professionali possono essere effettuate in regime di neutralità fiscale. Il decreto, specificatamente, dà attuazione a uno degli obiettivi fissati dall’articolo 5 della legge delega per la riforma fiscale nell’ambito della riforma della disciplina dei redditi di lavoro autonomo, prevedendo l’applicazione universale del principio di neutralità.
Sul piano strettamente tecnico, infatti, la nuova disciplina abbraccia la globalità delle operazioni di aggregazione e riorganizzazione degli studi professionali, comprendendo tanto i conferimenti in STP e STA (società tra avvocati) quanto gli apporti in associazioni o in società semplici costituite per l’esercizio di arti e professioni, le operazioni straordinarie di trasformazione, fusione e scissione che interessano gli studi, i trasferimenti delle medesime attività per causa di morte o per atto gratuito.
A tal fine il decreto istituisce un nuovo articolo, il 177-bis, all’interno del testo unico delle imposte sui redditi (TUIR). In buona sostanza, la norma stabilisce che le citate operazioni – aventi a oggetto un complesso unitario di attività materiali e immateriali (compresa la clientela) e di passività riferibili ad attività professionali – non generano realizzo di plusvalenze o minusvalenze al ricorrere di due condizioni:
- il soggetto conferente assuma quale valore delle partecipazioni ricevute un importo corrispondente alla somma algebrica dei valori fiscalmente riconosciuti delle attività e passività conferite;
- il soggetto conferitario, in relazione a quanto ricevuto, subentri nella posizione del conferente e provveda a redigere un prospetto di riconciliazione con i dati esposti nelle scritture contabili e i valori fiscalmente riconosciuti.
I vantaggi delle STP
Si tratta, a ben vedere, dell’affermazione di un principio già valido per le operazioni messe in atto dalle imprese e che oggi diviene eleggibile anche per i liberi professionisti. Un avanzamento che, peraltro, non solo contribuisce a superare un orientamento privo di qualsiasi logica tributaria, ma che, finalmente, dovrebbe favorire lo sviluppo delle forme societarie nell’esercizio della professione. Progresso che, nel caso di specie, dovrebbe risultare particolarmente tangibile, considerando che, in una società globalizzata e connessa, la domanda di servizi professionali risulta orientata verso prestazioni sempre più specialistiche e personalizzate. Che poi, generalmente, sono quelle a più alto valore aggiunto.
Allora, la costituzione di STP, oltre ai classici benefici dovuti alle economie di scala, rende possibile godere dei vantaggi, anche economici, derivanti dall’aggregazione di professionalità e competenze eterogenee e altamente specializzate. Contribuendo, verosimilmente, ad aprire orizzonti diversi, sicuramente meno grigi, a molti professionisti italiani.
Resta il nodo previdenziale
Rimane tuttavia ancora da sciogliere, come accennato, il nodo previdenziale. Se, infatti, la scelta del modello STP in forma di società di capitali o cooperativa può risultare particolarmente vantaggiosa anche sul piano fiscale, non fosse altro che per il possibile incrocio con il regime forfettario dei soci professionisti, può rivelarsi penalizzante sul piano contributivo. In tali casi, i rapporti economici tra socio professionista, STP e cliente, infatti, sarebbero regolati – come sancito dalla stessa Agenzia delle entrate già nel 2018 – dalla doppia fatturazione della medesima prestazione professionale: prima la STP nei confronti del cliente, poi il socio professionista nei confronti della STP. Modalità che implica la duplicazione del contributo integrativo che i professionisti sono chiamati a versare, qualora siano iscritti a Casse di previdenza che ne dispongono l’applicazione sui corrispettivi rientranti nel volume d’affari Iva. A meno che siano previsti, ed è la minoranza dei casi, specifici sistemi di compensazione.
Un meccanismo, quindi, che per molte professioni (ad esempio, i commercialisti) continua a costituire un disincentivo all’aggregazione in STP, mettendo in discussione non soltanto il principio dell’unicità dell’obbligazione contributiva, ma anche l’equità di sistema e, più in generale, gli stessi fondamenti della ragionevolezza.
C’è da augurarsi, dunque, che il legislatore, dopo aver efficacemente risolto la questione fiscale, metta finalmente mano anche al nodo previdenziale, che attualmente, e soltanto per una parte della platea delle libere professioni, rappresenta l’unico ostacolo alla definitiva affermazione dei modelli societari.

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